San Gerardo Maiella
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Cammino di missione

Capitolo VIII

“amatevi come io vi ho amato'

È bella la Carità! È significativo ricordare lo slogan indicato da papa Benedetto XVI per la Giornata Missionaria Mondiale del 2006. Una frase che è tutto un programma!!! "Dio Amore sorgente della missione"... Ma è vero!!! Se non ami, come puoi partire per aiutare gli altri? Se non ami, come fai ad annunciare l'Amore? Se non ami, come capisci chi è che ti invia? Se ti guardi intorno, hai migliaia di esempi. E chissà quanti già ne conosci anche tu! Prima di tutti pensa a Maria S.S. che va a trovare Elisabetta. Lei va per aiutarla ma non si sarebbe mai messa in movimento, se questo sentimento così grande e generoso non le avesse toccato il cuore. Anche san Gerardo vive alla grande l'esperienza missionaria; sapessi quanto gli è costato! Sta male, ma continua ad amare i suoi fratelli, proprio come ama il suo Gesù. Ama, quindi, senza risparmiarsi, senza pensare mai a se stesso. Ha davvero messo in pratica l'inno alla carità di San Paolo! Tutto spera, tutto sopporta in nome di Gesù: perfino la calunnia! Sì, ad un certo punto della sua vita, una donna, Nerea Caggiano, per vendicare il suo orgoglio ferito, per essere stata rimandata a casa dopo un'esperienza negativa in convento, accusa Gerardo di mostrare attenzione per una sua coetanea. Sant'Alfonso, per punirlo gli intima il silenzio, gli proibisce di ricevere l'Eucaristia e lo invia a Ciorani (Salerno); san Gerardo accetta imperturbabile ogni cosa. Non pronuncia mai una parola in sua difesa né per esprimere rancore verso Nerea o disappunto verso il suo Superiore: la sua unica sofferenza è di non poter fare la Comunione.
Non è amore, questo? Gerardo ama come ci ha amati Gesù sulla Croce. Dovremmo imparare da Lui a mettere da parte tutti quei sentimenti così poco cristiani: solo così sapremmo andare verso tutti i nostri fratelli, anche e soprattutto verso quelli che ci odiano. Altrimenti, "che meriti ne avremmo?" La pesca di Fratel Gerardo è così ampia e miracolosa che nón si può calcolare: Egli è non solo padre dei poveri nel senso materiale, ma ancor più in quello spirituale. Soccorre Cristo nel povero, ma ama Cristo anche nel peccatore. È questo amore, che entrando nell'anima e combattendo contro il male, fa sì che la Grazia possa trionfare e il sangue sparso da Cristo, possa portare i suoi copiosi frutti. "Un tardo pomeriggio, mentre Gerardo percorre una strada attraverso le aspre colline intorno a Montemilone (PZ), si imbatte in un mezzo brigante in cerca di espedienti per vivere. Questi, minaccioso, lo costringe a scendere da cavallo e gli intima di consegnargli il denaro. Tuttavia, l'uomo, impressionato dalla figura di Gerardo, dal suo volto scarno e dallo sguardo penetrante, gli chiede: - Chi sei tu? Sei forse un fattucchiere? Gerardo, sicuramente ispirato, risponde: - Come hai fatto a capirlo? Io sono un negromante e anche potente! - Senti: sai tu dove trovare tesori nascosti? - Altro che! - risponde Gerardo - È proprio la mia specialità! - E perché non me ne fai trovare uno? - Si potrebbe fare. Ma ci vuole coraggio... Tu ne hai? - Certo che ne ho! Io ho avuto il fegato di fare... E comincia a raccontare i suoi eroici misfatti. - Figurati! Non mi confesso da sei anni. Questo è proprio quello che convince Gerardo a proseguire la sua commedia.
Sei proprio disposto a fare quello che ti dico per trovare il tesoro? Allora vieni con me. Lasciata la via maestra, si inoltrano nel bosco. Lo scenario è proprio sinistro: le ombre della sera, il vento negli alberi, i lugubri richiami degli uccelli notturni. Camminano per circa un'ora. Il silenzio di Gerardo è impenetrabile. Ad un certo punto, mormora con voce arcana e solenne: ci siamo, questo è il luogo del tesoro. Un certo spavento si impadronisce del brigante che si immagina di vedere chissà quali diavoli e streghe. Intanto, Gerardo si toglie il mantello stendendo come un tappeto sull'erba con gesti sacrali. Comanda al brigante di fare lo stesso, poi lo fa inginocchiare ... Infine, sfila dalla tonaca un crocifisso e lo fa balenare davanti allo sguardo smarrito del bandito: - ECCO FRATELLO MIO, IL TESORO DI TUTTI I TESORI; IL TESORO CHE TU DA TANTO TEMPO CERCAVI! AFFERRALO, POSSIEDILO, STRINGILO E NON LO CAMBIARE MAI PIÙ CON LE SOZZURE DELLA TERRA! Il povero uomo è preso da grande commozione, che spezzandogli la tensione, lo fa sciogliere in lacrime mentre la sua anima viene illuminata dalla divina Grazia. Si possono udire i suoi lamenti di pentimento nella boscaglia. Gerardo lo lascia sfogare e poi lo abbraccia cercando di placare i suoi singulti. Lo porta poi al convento ai piedi di un confessore".1 Un'altra volta, in una strada che attraversa i boschi di S. Agata di Puglia, si imbatte in un uomo avvolto in un nero mantello, dallo sguardo cupo. Gerardo, ispirato da Dio, ferma il cavallo, scende di sella e gli si fa incontro. - Dove stai andando? Seccato quegli risponde: - E a te che importa? Fatti gli affari tuoi come io mi sto facendo i miei.

Ma Gerardo, di scatto, lo afferra con un braccio e gli dice con energia: - Lo so chi tu sei. Sei un disperato e stai per dare la tua anima al diavolo. Infatti quell'uomo ha deciso di andarsi a gettare nel fiume per mettere fine alla sua travagliata esistenza. - Come fai a saperlo? - Dio mi manda apposta per te. Orsù, abbi fiducia, non è niente: la Madonna ti aiuterà. Il raggio della carità di Gerardo penetra in quel cuore disperato e opera il miracolo della conversione.2 Intanto, ascolta questa preghiera che segue: <grida!> mi sussurri nell'intimo del cuore e mi inviti a raccontare le tue meraviglie. I prodigi del tuo amore non li hai operati perché io li chiuda nel segreto ma perché diventino grido che si trasmette al mondo: che gli annunzi la potenza, la salvezza della tua redenzione. Troppe volte cammino per le strade del mondo senza gridare; senza annunciare il tuo messaggio, la tua gloria. Voglio testimoniarlo a tutti che sei il pastore buono che non vuole che nessuno dei suoi piccoli vada perduto. Lo hai operato in me, vuoi farlo per tutti solo che ti conoscano e sappiano che sei il Padre redentore di tutti.3 Ecco ancora un episodio di amore: "Questo desiderio di "gridare" a tutti l'amore del Padre si agitava nel cuore di Suor Irene. Per questo si era fatta missionaria.

Trasferiamoci per un momento con lei in Kenya; è il 1916 e c'è la guerra. Suor Irene ha venticinque anni e si trova in un ospedale da campo. Forse, di ospedale ha solo il nome perché rassomiglia più a un letamaio dove arrivano uomini distrutti. Questi malati passavano giorni di cupa tristezza. I più disperavano di tornare a casa vivi. Quel ritrovarsi in un ospedale dove tanti morivano, li impressionava, togliendo loro ogni coraggio. E allora molti si chiudevano in un mutismo rabbioso, rifiutando cibo e medicine. Tra i pazzi o i presunti tali, ce n'era uno di cui non si conosceva neanche il nome. Da due mesi si era chiuso in un ostinato mutismo e dalla sua bocca non uscivano che indistinti mugolìi. Ultimamente s'era fissato a non voler mangiare. Se gli lasciavano le mani libere, impastava il cibo con terra e paglia e inghiottiva queste pallottole con avidità bestiale; se gliele legavano, sputava via tutto. Gli infermieri, arcistufi, tennero consiglio. - Che si fa? - Lasciamolo morire... - Anzi aiutiamolo a morire un po' più in fretta. Tanto anche il dottore ha detto che è spacciato e non vale la pena di occuparsi di lui. Sghignazzavano cinici, decisi a disfarsi di quell'incomodo, ma Suor Irene li riprese con severità. - È una creatura di Dio. Ha diritto al nostro aiuto. Lo prendo sotto la mia protezione: guai a chi lo molesta. Lei sola si ricordava che il poveretto era al mondo. Le premeva che non morisse così, come un cane. Voleva costringerlo a uscire da quel mutismo disperato; voleva accendere in lui la speranza di una vita più bella, nella pace del regno di Dio. Ogni giorno, con la ciotola della pappetta in mano, cercava di persuaderlo. - È buona, sai... Non c'è veleno. Non aver paura. Vedi, la mangio anch'io. Ne mandava giù qualche cucchiaio, per convincerlo. - Adesso la mangi anche tu, un cucchiaio a me, uno a te - proprio come si fa con i bambini.

Il giovane non si convinceva e rifiutava sempre. - Dimmi, hai male? Che cosa posso fare per te? Egli la guardava con diffidenza, torcendo il capo dall'altra parte. Gli portava ciò che poteva fargli piacere: caramelle, biscotti, frutta, pane. Rifiutava tutto allo stesso modo. Un giorno gli portò una scatola di sigarette: - Ti piace fumare? - Senza attendere la risposta gliene cacciò una tra le labbra, sfregò un fiammifero e gliel'accese. - Tira ragazzo, su tira, per favore. L'infelice fece una brutta smorfia e sputò via la sigaretta spenta. Suor Irene tornò alla carica l'indomani. Le pareva che se riusciva a farlo fumare, la crisi si sarebbe risolta. - Figlio mio, insisteva, è possibile che tu non sappia fumare? Se proprio non sai, ora ti insegno io. Guarda... Parve che un lampo di intelligenza brillasse nello sguardo dell'uomo, perché la fissò con attenzione, seguendone tutte le mosse. Ella si fece coraggio e rise. Rise di se stessa, forse, mentre accendeva la sigaretta che s'era messa in bocca e tentava di buttar fuori una boccata di fumo. Ma per quanto gonfiasse le gote o tirasse su dalle narici, la fumata non veniva. Adesso ridevano tutti gli infermieri, divertitissimi, e lei, che non aveva tolto gli occhi di dosso al malato, vide o le parve di vedere per la prima volta un'ombra di sorriso umano su quel volto sfigurato. Allora, prontissima, gli passò la sigaretta, gliel'accese, e oh, meraviglia, il malato aspirò profondamente una volta, due, tre, buttando fuori nuvolette odorose di fumo. Suor Irene batté le mani contenta. - Lo dicevo io che tu sei un fumatore... — gli slegò il braccio, con precauzione: l'uomo, con la mano libera, prese la sigaretta tra le dita e, lentamente, rimosse la cenere. Gli infermieri guardavano a bocca aperta. Era il primo atto razionale che compiva dopo tante settimane. Tutti erano stupiti, meno lei che rideva contenta. Il malato non diceva nulla, ma i lineamenti del volto si distendevano, l'occhio si rischiarava. Accettò di fumare un'altra sigaretta, si lasciò persuadere a mandare giù un po' di brodo. Lo slegarono, non smaniava più, anche se non parlava ancora.

Era estremamente debole. Suor Irene lo circondò di premure: ora gli portava del latte, ora gli offriva del tè, del cioccolato, tutto ciò che di meglio aveva. Gli parlava, persuasiva e buona, inginocchiata presso di lui, perché la udisse bene. L'uomo non articolava parola. Però quando Suor Irene si allontanava, la seguiva con l'occhio e si faceva triste. Si rasserenava soltanto quando tornava vicino: allora la guardava con intensità, quasi volesse pronunciare una parola. Obbediva soltanto a lei. Dagli infermieri non accettava nulla, non voleva nulla. Da lei tutto. E finalmente un giorno la lingua si snodò. Il povero sconosciuto era debolissimo e sentiva che la vita gli sfuggiva; inutile che lei lo avesse aiutato a riprendere coscienza di sé, perché tanto moriva. - Inutile figlio mio? Non sai che tutto comincia proprio adesso e che sei vicino a un giorno eterno di felicità, purché tu lo voglia? Lo sorreggeva tra le braccia e gli parlava forte, vibrando di commozione. Il senza nome era debolissimo, ma capiva; seguiva le parole di Suor Irene, aprendo il cuore a quell'incomparabile mistero di vita che gli veniva annunciato adesso che tutto finiva per lui. - Di', vuoi essere battezzato? - Voglio, voglio... mormorò. Lo battezzò poco più tardi. Il volto gli si compose in una pace serena, piena di speranza. Le porte del Regno si erano spalancate anche per lui e cominciava il giorno luminoso senza più terrori di guerra".

Pronto... PRONTO?
Sei ancora in linea?
Senti, amico mio, anzi fratello mio, oggi tocca a noi...

Tiriamoci fuori dal nostro mutismo esasperato verso la vita; dimentichiamoci degli orrori di una sorda guerra di ipocrisia che esaspera la nostra giovinezza; moriamo al nostro vecchio modo di vedere le cose, entriamo nella LUCE della verità... Maria, la Madre, ci cura con infinito amore ci vuole portare a Dio... Amiamo come Lui ci ha amato e tendiamo la mano verso un fratello...

TOC, TOC. - CHI È?

Timidamente si affaccia fratei Gerardo nella camera di un giovane ospite del suo convento. Sta seguendo gli esercizi spirituali, ma no, non ha nessuna intenzione di cambiare le sue abitudini. - Ora sono giovane, sta pensando fra sé, e me la spasso; poi... si vedrà. Gerardo entra nella camera. - Ma cosa ti passa per la testa fratello mio? Egli lo ha letto nella mente!!! Il giovane resta scosso. Cambia pensiero. Cambia vita. Mah! Questi santi.. .non si fanno mai gli affari loro... Sempre a tendere le mani verso un fratello. Facciamo un volo in un altro continente: in Oceania, nelle isole Hawai e, precisamente, nel villaggio di Kanopapu. È il 1864 e Padre Damiano ha soli ventiquattro anni. Il suo cuore arde d'amore per questi indigeni chiamati "Kanaki"e a loro vuole dare tutto se stesso in nome di Cristo. "Un giorno, mentre celebrava la Messa nel bosco, fra gli eucaliptus intravide una orribile figura: era un lebbroso. Anche i suoi amici cristiani lo avevano visto.

- È Moai, un cattolico, ma tu non puoi avvicinarlo, dissero terrorizzati. È solo, non tarderà a morire. "È solo, non tarderà a morire", ripeteva tra sé, con commozione profonda il missionario. Poteva, per paura del contagio, lasciar morire un fratello? Gli riuscì finalmente di scoprire dove abitava Moai, il lebbroso. Il primo incontro fu così commovente che il Padre Damiano non potè trattenere le lacrime! Moai era cattolico, ma la malattia e l'abbandono gli avevano fatto dimenticare la fede. Pensò il missionario a ravvivarla in quel misero! Oh, le parole buone e tenere del Padre, quale fervore e quale pace sconosciuta portavano nel cuore del lebbroso! Padre Damiano lo visitava spesso, e assisteva con vero dolore alla distruzione che la lebbra operava in quello sventurato. Però, quanto più si consumava per la malattia il suo corpo, tanto più si abbelliva la sua anima. Di precauzioni igieniche Padre Damiano, nell'avvicinarsi a Moai non ne prendeva. Non poteva prenderne! Non voleva che il misero pensasse che il Padre, nell'avvicinarsi a lui, compisse un atto eroico, o che sentisse ribrezzo. Se una precauzione il padre prendeva, era quella di recarsi da lui di nascosto, perché sapeva bene che tanto i cattolici, quanto i pagani, non solo disapprovavano quelle visite, ma avrebbero poi avuto paura di avvicinarsi a lui per paura del contagio! Siamo ancora nel 1860 e non c'erano rimedi contro questo terribile morbo. Ben presto, Padre Damiano divenne l'amico, il consolatore, il confidente del povero lebbroso. Chinandosi su di lui ne lavava le piaghe cancrenose ripiene di vermi, e le fasciava con le bende, con delicatezza materna. Tutto era puzzolente e fetido nella capanna di Moai e Padre Damiano sentiva spesso la tentazione di fuggire per respirare l'aria pura e profumata del bosco, ma la sua volontà ferrea lo tratteneva presso il giaciglio del lebbroso.

Spesso avvicinava l'orecchio alla bocca pestilenziale di Moai per ascoltarne la confessione, e qualche volta, di nascosto dai suoi cristiani, gli portava la Comunione. Un giorno Moai non rispose più con la sua debole voce ai richiami del missionario che lo trovò morto. Era volato là dove con sempre più ardore desiderava tornare".

Come è bella la Carità, come è
GRANDE la carità come è dolce la carità...
E la rugiada che disseta i cuori è il raggio di
sole che rischiara il mattino è la brezza che increspa l'onda della vita.
Chi non l’apprezza,
chi non la desidera,
chi non la spera?
E una forza delicata e potente che muove le corde
del nostro segreto e le fa soavemente vibrare...
E la calamita che ci afferra che estrae dal nostro
interno ciò che c'è di più buono, di più nobile, di più grande...
Chi siamo, dove andiamo senza Amore?
Siamo astri senza luce, cielo senza stelle, volto senza sorriso.
Chi siamo, dove andiamo senza amore?
Siamo voce senza suono, gabbiano senza ali, albero senza frutti.
BEATO,
Beato chi sa amare perché assomiglia a Dio.

Una volta, anche fratei Gerardo deve superare se stesso davanti a qualcosa di raccapricciante: la gamba cancrenosa di un giovane che chiede il suo aiuto. Vincendo il ribrezzo, gli si inginocchia davanti, immerge il volto in quel marciume, attacca le labbra alla carne marcita e ne succhia l'abbondante pus... Dopo rifa la fasciatura e dice al giovane che ha assistito attonito alla scena: - Tutto è aggiustato, non ti preoccupare: tu guarirai e non avrai più dolore. Ora riposati in Convento, ripartirai con il tuo amico domani mattina, con l'aiuto di Dio. L'indomani, quel giovane fortunato può riprendere la via del ritorno camminando spedito e senza aiuto.6 Eh sì, Fratel Gerardo se la cava coi miracoli, ma che vuoi, al buon Dio piace così! La carità, tuttavia, non è sempre strepitosa; ci sono piccole carità che piacciono molto al Signore e lo rallegrano quanto le grandi. Lui guarda l'intenzione del cuore, l'intensità dell'amore. Ecco l'esperienza di una giovane novizia, S. Teresa di Gesù Bambino: "Ricordo un atto di carità che il Signore mi ispirò quand'ero ancora novizia. [...] Fu al tempo in cui Suor Sanpietro andava ancora in coro e in refettorio. All'orazione della sera stava di faccia a me: alle sei meno dieci bisognava che una religiosa si muovesse per condurla in refettorio, perché le infermiere allora avevano troppe malate per venire a prenderla. Mi costava molto offrirmi per questo piccolo servizio, perché sapevo che non era facile contentare questa buona Suor Sanpietro, la quale soffriva tanto che non gradiva cambiamenti di accompagnatrice. Eppure non volevo perdere un'occasione tanto bella per esercitare la carità. [...] Mi offrii perciò umilmente per condurla e ci volle del bello e del buono per fare accettare i miei servizi! Finalmente mi misi all'opera, e con tanta buona volontà che riuscii perfettamente. Ogni sera, quando vedevo Suor Sanpietro scuotere la sua clessidra, sapevo che quel gesto voleva dire: Partiamo! E incredibile quanto mi costava scomodarmi, specie all'inizio, tuttavia lo facevo immediatamente, e poi cominciava tutta una cerimonia. Bisognava smuovere e portare il panchetto in un certo modo, soprattutto senza fretta; dopo aveva luogo la passeggiata. Si trattava di seguire la povera inferma sostenendola alla cintola; lo facevo con quanta più dolcezza mi era possibile, ma se, per disgrazia, ella muoveva un passo falso, le pareva subito che io la reggessi male e che stesse per cadere."Ah, mio Dio! Lei va troppo svelta, mi fracasserò". "Ma faccia attenzione, mi segua! Non la sento più la sua mano, m'ha lasciata andare, casco; ah, lo dicevo io che lei è troppo giovane!" Finalmente arrivavamo senza incidenti al refettorio; là sopravvenivano altre difficoltà, si trattava di far sedere Suor Sanpietro e di agire per non ferirla, bisognava tirarle su le maniche (anche questo in un certo modo), e dopo ero libera, potevo andare. Con le sue povere mani storpiate, sistemava il pane nella ciotola, come poteva. Me ne accorsi, e ogni sera, prima di lasciarla, le facevo anche questo piccolo servizio. Siccome lei non me l'aveva chiesto, fu molto commossa per la mia premura, e con questo mezzo che io non avevo cercato, guadagnai del tutto le sue buone grazie e soprattutto (l'ho saputo più tardi) perché dopo averle tagliato il pane, le facevo il mio più bel sorriso prima di andar via. [...] Una sera d'inverno stavo assolvendo come al solito, il mio piccolo compito, faceva freddo, era buio... A un tratto intesi in lontananza il suono armonioso di uno strumento musicale e mi raffigurai un salone brillante di luci e di ori, vidi delle fanciulle eleganti le quali si trattavano graziosamente a vicenda con piglio di mondo; poi lo sguardo cadde sulla povera malata che sostenevo, invece di musica udivo ogni tanto i suoi gemiti, invece degli ori vedevo i mattoni del nostro chiostro austero, rischiarato appena da una pallida luce. Non posso esprimere ciò che avvenne nell'anima mia: il Signore la illuminò con i raggi della verità i quali superarono talmente lo sfolgorio delle feste della terra che non finivo di credere alla mia felicità. Ah, per godere mille anni di feste mondane, non avrei dato dieci minuti del mio umile ufficio di carità.''

L'amore ci fa camminare. E san Gerardo cammina tanto.
Sta percorrendo un pezzetto di strada anche con noi.
Ci regalerà un po' del suo essere?
Un po' della sua fede?
O della sua smisurata fiducia nella Provvidenza?
Ci ricorderà i suoi tre grandi amori: il Crocifisso, l'Eucaristia, la Madonna?
"Così come li ha definiti, sua Eccellenza Mons. Giuseppe Vairo nella prefazione al mio libro: S. Gerardo Maiella, Santo del Popolo, Ed. Valsele, 1995"

Ci trasmetterà il fulcro della sua santità: fare "la bella volontà di Dio"?

Ci contagerà almeno un po' il suo desiderio di annuncio, il suo traboccante spirito di carità, la sua purezza di cuore e la sua mitezza?

Ci metteranno in discussione la sua ubbidienza, il suo totale abbandono a Dio?

E, poi, ci rallegrerà con la sua gioia, la sua dolce pazzia?

Ci farà crescere attraverso la sua sofferenza e la sua accettazione? Egli è partito per il Cielo. Siamo noi, ora, capaci di
"partire", almeno su questa Terra?

Partire
Partire è anzitutto partire da sé.
Rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro «io».
Partire non è lasciarsi chiudere negli angusti problemi del piccolo mondo cui apparteniamo. Qualunque sia l'importanza di questo nostro mondo, l'umanità è più grande ed è solo essa che dobbiamo servire.
Partire non è divorare chilometri, attraversare mari, volare a velocità supersoniche.
Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro.
Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre, significa mettersi in marcia e aiutare gli altri a cominciare la stessa marcia per costruire un mondo più giusto e più umano.
(dom Helder Camara)

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Ultimo aggiornamento 27/07/2021