Crogiuolo
CAPITOLO VIII
Quando Gerardo discese dal convento dei Cappuccini, dove stava così bene, per ritornare verso la sua squallida casetta, la vita gli parve più mesta e disagevole di prima, benchè illuminata dal mesto sorriso della buona mamma vedova e povera.
Egli si confortava però al pensiero di essere "soldato di Cristo"': perchè tale, comprendeva la necessità di lottare e soffrire per l'ideale della Croce, alla luce dello Spirito santo. che abitava nel suo cuore innocente e serafico.
Prima di appagare il suo ardente desiderio di essere religioso, avrebbe dovuto passare per il crogiuolo delle prove per diventar come oro puro tra le mani del divino Artefice ed essere cesellato, quale prezioso candelabro, per la celeste Gerusalemme.
Da notarsi che Mons. Albini abbisognava di un domestico, perchè, per il suo carattere impulsivo, egli indisponeva la servitù, che non resisteva alle sue sfuriate. Mentre trascorreva le ferie a Muro, il Vescovo propose a Gerardo di sostituire un domestico e il Majella accettò la proposta dichiarandosi disposto a servirlo con la massima ,fedeltà.
Ma dopo alcuni giorni passati alle dipendenze del nuovo padrone, anche Gerardo
constatò ch'egli era intrattabile, perchè estroso, incontentabile e perfino manesco. "Perchè tuttavia, come scriveva il biografo Tannoia, Gerardo desiderava rendersi simile a Gesù, non lasciò mezzo per imitarlo. Dacchè considerava il Salvatore divenuto servo per noi, si assoggettava a tutti e godeva nel vedersi umiliato ".
"Gli strapazzi che sopportava, dichiarava D. Cesare Peloso, lo rendevano degno di compassione a ognuno e tutti ammiravano la sua resistenza alle sofferenze. Quel tacere con umiltà tra le più aspre e immeritate correzioni, quell'accettarle con viso dimesso e sereno dimostravano quanto fosse ormai radicata in lui la pazienza cristiana. Oltre ai maltrattamenti, Gerardo era anche visitato dal Signore con infermità e dolori, ma egli continuava a martoriarsi con aspri cilici. Austerissimo con se ste5so, era benevolo e affabile con tutti specialmente se poveri, che soccorreva con quanto era riservato a lui".
"Specialmente ammirabile la sua modestia nell'andar per la città e nel trattar con le persone ... -scriveva il biografo Landi. Esemplari la sua compostezza esteriore e la riverenza con cui stava per ore intere dinanzi al Santissimo'".
Agli altri domestici, che lo consigliavano di abbandonare il servizio per i maltrattamenti del Vescovo, Gerardo rispondeva che "il padrone lo amava teneramente perchè, quantunque meritevole di essere cacciato dall'episcopio per le sue molte e continue mancanze, era da lui sopportato con molta pazienza. Si diceva perciò disposto a servirlo, il meglio possibile, fino alla morte".
Ma oltre a questo martirio morale, il Santino s'imponeva anche quello della penitenza volontaria. Benchè potesse disporre di un vitto abbondante, continuava a cibarsi di poco pane raffermo e di legumi. Soltanto alla festa prendeva minestra, ma l'aspergeva di assenzio. La pietanza e la frutta erano riservate agli indigenti e ai malati, che visitava quotidianamente al loro misero domicilio, ch'egli illuminava con la sua carità e con l'angelico sorriso.
Edificati perciò dal suo contegno, tra i cittadini di Lacedonia si diceva che'"Gerardiello non era un giovane, ma un Angelo e un Santo'". Ciò anche perchè lo si vedeva devoto, semplice, sereno e ilare specialmente con i ragazzi che istruiva nella religione, assisteva durante i loro trastulli e accompagnava poi alla chiesa per insegnar loro a pregare con fervore, come faceva egli stesso veramente serafico in ardore. La sua fama di santo crebbe anche per un fatto straordinario e che sembrerebbe fiabesco se non fosse confermato da tante e ineccepibili testimonianze.
Un giorno, mentre Mons. Albini era assente dall'episcopio, Gerardo ne chiuse a chiave l'appartamento per avviarsi verso il pozzo ad attingere acqua. Posata la chiave sulla ghiera, attaccò il recipiente alla catena e poi cominciò a far girare il bindolo. Intanto però, per quel movimento, non si accorse che urtava la chiave, la quale cadde dentro il pozzo. Costernato alla prospettiva di vedere il Vescovo adirarsi per tale contrattempo, il Majella si rivolse con fiducia al Cielo, "affinchè il buon Dio 'risparmiasse questa pena a Monsignore'". Era così raccolto in tale supplica, che l'orante non si accorse neppure delle donne colà convenute per attingere e curiose di sapere cosa mai fosse accaduto. Ma Gerardo ebbe, a un tratto una luminosa idea: quella di servirsi di una statuetta per rimediare al penoso incidente.
Corse alla sagrestia dell'attigua chiesa, da cui prelevò il Bambino di scagliola che si esponeva alla venerazione dei fedeli la notte di Natale. Ritornato quindi al pozzo, legò la statuina alla catena e poi sussurrò al Bambino:
-Tu solo puoi rimediare al guaio e impedir così che Monsignore s'inquieti. Scendi perciò e riportami su la chiave.
La fiducia del giovane era ferma e la curiosità delle astanti quasi febbrile.
Poco dopo, ecco riapparire la statuetta con la chiave ripescata. Allora si gridò al miracolo e, a memoria del fatto, si chiamò "pozzo di Gerardiello " quella cisterna.
Qualche anno dopo, morì il Vescovo e la sua scomparsa, che gli altri domestici consideravano quale liberazione, causò molta pena al Majella "dolente, come disse egli stesso, di aver perduto il suo migliore amico'". Così la fede gli faceva considerare il sacro carattere episcopale e apprezzar le umiliazioni quali tesori, di cui sapeva arricchir la eletta anima sua.