San Gerardo Maiella
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La gravidanza

Capitolo 4

Tutto stava andando per il meglio. Il lavoro in farmacia mi piaceva e mi dava grandi soddisfazioni. Ero contenta di essere entrata a far parte di quell'ambiente che si rivelava giorno dopo giorno un luogo pieno di sorprese. Avevo trovato accoglienza e disponibilità da parte della titolare e delle colleghe, ma soprattutto avevo scoperto che Milano, pur essendo una grande città, una vera e propria metropoli, al suo interno in realtà ogni zona poteva essere considerata come un paese a sè. Un paese della grandezza di un quartiere, ma pur sempre un paese. Dove tutti conoscono i vicini, i dirimpettai, i negozi. Dove la routine crea inevitabilmente conoscenze, amicizie, riti. Il caffè alla solita ora con l'amico/a, il giro con il cane, la spesa dal fruttivendolo, il pane al negozietto, la sosta in edicola. Per non parlare dei ritmi quotidiani di chi va a scuola e al lavoro. Avevo imparato che potevo stabilire se ero puntuale o in ritardo al lavoro a seconda delle persone che incontravo in metropolitana e nel tragitto a piedi. Incredibile. Eppure anche la grande, fantomatica, anonima, fredda, efficiente Milano era a misura d'uomo se sapevi osservarla e viverla senza pregiudizi, semplicemente con curiosità e ottimismo. Non mi ero così integrata da conoscere tutti ed essere piena di amicizie. No, certamente no. Non sarebbe stato nemmeno possibile se si considera che dopo il lavoro dovevo occuparmi della casa, Filippo e il bimbo in arrivo. E' però un fatto che il lavoro in farmacia implicava il contatto quotidiano con molta gente, per lo più residenti in zona, e ciò mi permise di conoscere parecchie persone. Inevitabilmente venni a conoscenza di tanti pezzi di storie che per forza mi fecero sentire una di loro, una del quartiere, non più un'estranea trasferitasi per ragioni di lavoro. Per non parlare delle attenzioni che ricevetti dopo un paio di mesi, quando si seppe che ero incinta. Mi sembrava quasi di essere nella mia Avellino, dove tutti si sentono in dovere di fare un commento, un complimento o dare un consiglio su tutto, ma proprio tutto. Niente scatena le attenzioni e le premure femminili come la notizia di una gravidanza. Perfino le signore più timide, o quelle apparentemente più snob, avevano una parola gentile al riguardo. Si passava dal Che bella notizia!, A quando l'evento?, Hai le nausee?, Riesci a dormire?, Sapete già se è maschio o femmina?, a veri e propri consigli del tipo Mi raccomando mangia molta verdura, Cerca di non sollevare pesi, Non bere caffè che innervosice il bambino. C'era anche una percentuale di donne che mi raccontava per filo e per segno la loro esperienza di gestanti, come se avessero partorito pochi mesi prima, e i loro figli erano già sulla trentina!

La gravidanza procedeva bene e non mi dava molti disturbi. Raramente mi svegliavo con la nausea, che comunque mi permetteva di fare colazione. La notte dormivo tranquillamente e non mi sentivo particolarmente stanca. Il primo grande cambiamento che avvertii fu l'aumento dell'appetito. Avevo sempre fame. Avrei mangiato qualsiasi cosa in ogni momento della giornata, soprattutto dolci. Filippo mi comprava torte e pasticcini per soddisfare le mie voglie e mi prendeva in giro. Diceva che nostro figlio avrebbe avuto bisogno del dentista già coi primi denti perchè non potevano spuntare che cariati con tutto lo zucchero che mangiavo. Io ridevo e mangiavo.

Presi la cosa un pò alla leggera, soprattutto perchè mi affidavo completamente ai nostri detti popolari: Devi mangiare per due, Non sei sola, mangia questo per il bambino, Il bambino deve crescere... Mia madre mi chiamava praticamente ogni sera e dovevo farle il resoconto di cosa avevo mangiato durante la giornata. Mia suocera si controllava, chiamava solo due volte a settimana, la domenica e il mercoledì. Però so che ogni sera si sentiva con mia madre per avere gli aggiornamenti, quasi fosse una telenovela dai colpi di scena quotidiani. Questo suo atteggiamento non mi dava fastidio, anzi mi faceva tenerezza e lo consideravo un modo per manifestare quanto ci tenessero a noi. Mio marito è figlio unico e so quanto fosse importante per i suoi genitori diventare nonni. Inoltre apprezzavo e apprezzo tuttora gli sforzi che hanno fatto per essere presenti, ma non invadenti. Da quando ci eravamo trasferiti a Milano apprezzavamo di più tante piccole attenzioni che avevamo sempre dato per scontate e ora ci mancavano. L'attenzione, la gioia e la vicinanza delle nostre famiglie fortunatamente non sono mai venute meno. Le due future nonne si allearono e il pacco di viveri che ricevevamo ogni mese da Avellino con conserve, sottaceti, salumi, caciotte, biscotti e ogni ben di Dio, raddoppiò. Ora arrivava due volte al mese: Perchè ora siete in tre e la roba deve essere fresca. Neanche il bimbo fosse già nato e mangiasse come un adulto. Ci facevano piacere tutte queste attenzioni e ci davano un senso di sicurezza e appartenenza alla famiglia tale da infonderci fiducia e buonumore. Inotre ora che anch'io lavoravo ci faceva molto comodo sapere che potevamo sempre contare su una scorta di viveri a disposizione.

Un'altra fonte di sicurezza per il nostro nascituro era sapere che tutto il parentado di genere femminile si era messo in moto per il corredino. Ad Avellino avevamo una rete parentale che stava mettendo insieme tutto il necessario per un neonato. Tutine, magliette, calzine, culla, sdraietta, carrozzina e accessori di cui ignoravo l'esistenza, tutte coloro che avevano avuto un bambino mettevano a disposizione qualcosa. Grazie a questa gara di solidarietà non solo non si sarebbe reso necessario fare acquisti per il nascituro, ma certe cose erano pure da scegliere. Via Whatsapp mi arrivavano foto di carrozzine, ben 4, culle: 3, seggioloni: 2, sdraiette: 5. E così via. Io dovevo scegliere, come da un catalogo. Un pò mi spiaceva non avere l'opportunità di andare con Filippo in un negozio per bambini e scegliere quello che più ci piaceva per il nostro primogenito. Però sapevo che tutti si sarebbero offesi terribilmente se non avessimo accettato quell'aiuto che veniva dato con il cuore e l'entusiasmo di accogliere un nuovo membro della famiglia.

Senza contare che, egoisticamente, ci faceva comodo trovare tutto pronto e non dovercene occupare perchè la nostra vita milanese era piuttosto piena e il poco tempo libero ci piaceva passarlo senza dover pensare a questioni pratiche. Non trascuriamo il fatto che un giorno, per renderci conto di come sarebbe stato fare noi gli acquisti per il bambino, passammo un pomeriggio in un negozio specializzato dove si trovava tutto per la prima infanzia. Girammo tra i vari espositori e scelto per gioco quello che ci sarebbe piaciuto per il nostro piccolino. Filippo, con foglio e penna in mano, segnava gli articoli che ci piacevano con a fianco i prezzi. Dopo due ore tirammo le somme e ci venne un colpo: quasi 2.000 euro. Senza nemmeno scegliere le cose più care e lasciando perdere accessori che ci parevano inutili. Uscimmo sconvolti. Ricordo che appena fuori dal negozio ci guardammo e cominciammo a ridere. Non riuscivamo più a smettere.

Una volta calmati andammo in una chiesetta lì vicina e accendemmo una candela in segno di ringraziamento per l'appoggio, anche concreto, che le nostre famiglie ci davano. Fu dopo quella giornata che iniziai a leggere con più attenzione la rivista di San Gerardo. Arrivava ogni mese, gli davo un'occhiata veloce, poi la buttavo. Filippo nemmeno la sfogliava. Eppure San Gerardo era entrato nella nostra vita. Mia suocera, da quando ero incinta, terminava ogni telefonata con queste parole: Riguardati e non ti preoccupare che prego San Gerardo perchè tutto vada bene.

Volli approfondire chi fosse questo santo. Andai su Google e digitando "San Gerardo Maiella", con mia grande sorpresa comparvero circa 250.000 risultati. Appresi che era originario di Muro Lucano e apparteneva ad una famiglia di umili origini. Nato nel 1726, ultimo di cinque figli, aveva una salute cagionevole, ma un animo forte, devoto e generoso. Voleva dedicarsi alla vita religiosa, ma i frati cappuccini della sua città non lo accoglievano per via della sua salute cagionevole. Così nel 1748 scappò di casa e si unì ad un gruppo di sacerdoti redentoristi che erano di passaggio. Alla madre lasciò un biglietto con scritto: Mamma, perdonami, vado a farmi santo. Seguiva in dettaglio la vita, non priva di fatti prodigiosi, di questo umile frate che morì a soli 29 anni il 16 ottobre 1755. E' il patrono delle gestanti, le mamme e i bambini. A Materdomini, in provincia di Avellino, si trova il santuario a lui dedicato.

Quindi era il santo delle donne incinte, ecco perchè mia suocera lo pregava.

Mi ritengo una persona religiosa non solo perchè vado a messa regolarmente, ma anche perchè credo nei valori cristiani e in una entità divina che esiste al di là di questo nostro mondo terreno. Confesso che ho sempre considerato scetticamente quelle forme di culto per i santi che spesso rasentano il bigottismo. Tuttavia da quando ero incinta, nonostante stesse procedendo tutto per il meglio, iniziai a sentirmi più vulnerabile, forse perchè avvertivo la responsabilità di un'altra vita. Fu in quei primi mesi di gravidanza che non mi limitai più a sfogliare la rivista di San Gerardo, ma iniziai a leggerla con maggiore attenzione. In particolare colpì la mia curiosità una pagina dal titolo "La stanza dei fiocchi", ne seguiva la foto e la sintesi di un'esperienza di gravidanza difficile, affidata a San Gerardo e conclusasi bene.

L'immagine era sempre la stessa, un'enorme stanza con le pareti tappezzate di migliaia di foto di bambini e innumerevoli fiocchi di annuncio nascita che pendevano anche dal soffitto. Ce n'erano di tutti i tipi, azzurri, rosa, ricamati. Al centro della stanza c'era una raffigurazione di San Gerardo con una mamma e un bambino. Mi colpì molto. Un giorno ne parlai con Veronica, lei si mise a ridere e mi prese in giro. Disse che la gravidanza stava facendo emergere il mio lato più infantile, quello che crede, o vuole credere, alle favole e a Babbo Natale. Liquidò così l'argomento. Ci rimasi male. Ne parlai con Filippo che minimizzò la cosa. A suo avviso l'argomento religione, credere o non credere, è molto personale e spesso le persone non se la sentono di parlarne. Per pudore, riservatezza o perchè non ne sono abituate. Secondo lui parlare di questi argomenti implica mostrare agli altri la propria fragilità e debolezza, cosa che nella nostra società non è considerato positivo. Significa confidare a un altro le nostre convinzioni, ma anche le paure. E' un argomento delicato e bisogna rispettare chi non se la sente di affrontarlo. Filippo pensa che chi non ne vuole parlare a volte abbia dentro di sè più domande e incertezze di noi, per questo non va giudicato, ma accettato. Dopo il suo discorso provai a mettermi nei panni di Veronica.

Pensai a come avrei reagito io se mi fosse capitata la sua esperienza, anch'io mi sarei affidata completamente alla ragione? La conclusione fu che non lo sapevo, non ero in grado di dirlo. Per sapere come si reagirebbe veramente in certe situazioni bisognerebbe viverle. Non ci tenevo proprio a trovarmi in una situazione simile, preferivo rimanere nell'ignoranza.

Invece di lì a poco mi sarebbe toccato vivere un'altro tipo di esperienza. La gravidanza procedeva bene, almeno in apparenza. Non avevo problemi particolari, le analisi andavano bene, la prima ecografia aveva confermato che tutto procedeva per il verso giusto, ma in soli tre mesi ero ingrassata di 9 kg. Ben 3 kg al mese. La ginecologa mi sgridò. Aumentare troppo di peso non va bene nè per la mamma, nè per il bambino. Disse che poteva crearmi problemi di salute, ma non me ne preoccupai troppo, complici anche le mie parenti che non vedevano niente di anomalo nell'aumentare di peso, anzi per loro significava che il bambino stava bene. Ero combattuta. Da un lato la ginecologa mi aveva messo a dieta, dall'altro mamma, suocera, zie e cugine la deridevano e sostenevano che avrei fatto peggio a trattenermi dal mangiare perchè sarei rimasta musona e nervosa, trasmettendo emozioni negative al bambino. Filippo non si sbilanciava, all'inizio non aveva focalizzato bene il problema. Così per un altro mese buono proseguii a mangiare come prima, la mia fame era davvero incontenibile, minimizzando gli avvertimenti della dottoressa e sorridendo a San Gerardo.

Ero ormai al quinto mese. Ora la pancia si vedeva bene, ero cresciuta di 16 kg. La mia vita procedeva normalmente senza sostanziali cambiamenti. Eravamo a maggio, aveva iniziato a fare caldo ed è stato proprio a questo cambiamento climatico che imputai qualche giramento di testa, i piedi gonfi alla sera, un vago senso di spossatezza. Non me ne preoccupai troppo fino a quando le analisi di controllo evidenziarono che alcuni valori erano sballati. Mi agitai tantissimo. Mai mi aveva sfiorata l'idea che qualcosa potesse andare storto. Filippo cercò di tranquillizzarmi, ma ero preda di crisi d'ansia come mai mi era capitato prima. Mi ero guardata allo specchio con occhi diversi e avevo visto una donna incinta, obesa. Iniziai a piangere. Perchè ero stata così stupida da assecondare quella fame spropositata? Cosa sarebbe successo ora che ero decisamente sovrappeso? Avevo paura. Razionalmente sapevo che stavo esagerando perchè non c'era nessun pericolo immediato e avrei potuto proseguire la gravidanza con le dovute accortezze. Ma vedevo la gestosi e altre brutte patologie dietro l'angolo, compresi problemi e scompensi per il mio bimbo. Avevo paura. Ero in preda ad una vera e propria crisi emotiva, piangevo in continuazione. Non volevo assolutamente parlarne con quelli di Avellino, conoscendoli avrei messo tutti in allarme e amplificato ulteriormente la situazione. Mi appoggiai a Filippo e Veronica. Filippo fu bravissimo. Mi abbracciava, mi rassicurava, mi riempiva di attenzioni. In casa collaborava più del solito, tutti i mestieri pesanti li svolgeva lui, non mi permetteva più di fare sforzi. Ma era emotivamente coinvolto. Era il padre del bimbo, il nostro primo figlio, era tutto nuovo, sconosciuto. La gravidanza continuava a riempirci di gioia, ma iniziava anche a intimorirci. Avevamo paura di non essere all'altezza, di non riuscire a gestire la situazione. Per quanto cercasse di dissimulare, avvertivo che la paura aveva contagiato anche Filippo. Avevo paura. Mi mancavano mia madre, mia sorella, le mie amiche. Mi mancava Avellino. Mai come in quel periodo sentii nostalgia della mia terra. Fu allora che la mia amicizia con Veronica si rafforzò.

Veronica si dimostrò fondamentale per il mio equilibrio emotivo. Le raccontavo le mie paure, i miei timori, lei sorridendo razionalizzava ogni cosa, con poche parole semplificava, sminuiva, risolveva. Mi alleggeriva di pesi in realtà inesistenti, ma per me schiaccianti, demoralizzanti, faceva svanire paure che si autoalimentavano in me. In poche parole mi faceva stare bene e le ero grata di questo. Mi tranquillizzavo e di riflesso si tranquillizzava anche Filippo. Non esagero se dico che grazie a lei riuscimmo a contenere e gestire le emozioni di quella fase così delicata della nostra vita. Grazie al suo sostegno conservammo un nostro equilibrio e, cosa da non sottovalutare, a mantenemmo sani rapporti con i parenti di Avellino. Già erano in subbuglio per noi, figuriamoci se avessero saputo che qualcosa non andava. Grazie all'appoggio di Veronica riuscii a seguire la dieta che la dottoressa mi aveva prescritto, con il suo aiuto riuscii a superare il terrore che mi prendeva quando sentivo la parola gestosi. Come diceva lei: Primo, non è certo che ti venga, Secondo, puoi regolarti meglio con il cibo e fare in modo di stabilizzare il tuo peso, Terzo, se anche ti dovesse venire, pazienza, viene a molte donne, più spesso di quanto si immagini, vorrà dire che l'affronterai. Ecco, Veronica era riuscita a farmi capire che nella vita ci sono eventualità che possono verificarsi, ma anche no, non sono obbligatorie. Tutto sta a non farsi prendere dai timori e agire in modo tale da evitare che si verifichino. Ovviamente per quanto è in nostro potere fare. La mia alimentazione era una faccenda decisamente in mio potere, sotto il mio controllo.

Nessuno mi obbligava a ingozzarmi di dolci o a servirmi doppia porzione di spaghetti. Il problema vero era dominare l'appetito smisurato che mi era venuto. Anche questa volta furono provvidenziali le parole di Veronica: Pensa alla tua fame come a una richiesta del tuo bambino. Se ti chiede un gelato glielo prendi, ma se poi ne vuole altri tre glieli neghi. Non perchè sei una mamma cattiva, ma perchè hai delle responsabilità e lo devi educare anche a una corretta alimentazione, a regolarsi. Non credo proprio che lo lasceresti ingozzare di tutto quello che vuole. Impara a dialogare con la tua fame, pensa che siano i primi no educativi che dici al tuo bimbo. Non so come abbia fatto Veronica, ma con questo semplice ragionamento non ebbi più problemi a contenermi a tavola. Da quella stessa sera iniziai la dieta senza più sgarrare, sotto gli occhi stupiti di Filippo che da giorni mi stressava con discorsi infiniti per convincermi a seguirla. Non so coma fa Veronica, ma lei è così. Ti sorride e ti dice quelle due cose, calma, sicura, e sono proprio le due cose che hai bisogno di sentirti dire. Sono quelle che riescono a entrare dentro di te facendoti capire cosa è giusto fare. Ti danno quella spinta interiore di cui hai bisogno. Ti rasserenano. Penso che il suo sia un dono, una capacità innata di capire le persone e tradurre questa comprensione in parole. Forse questa sua capacità è stata alimentata dall'esperienza personale, dal suo vissuto. Non lo so. Di sicuro c'è. Spesso la utilizza senza nemmeno rendersene conto, anche al lavoro, in farmacia. Più di una volta mi è capitato di vedere clienti entrare con il viso preoccupato, parlare con lei, esporre le loro preoccupazioni e poi uscire rasserenate. Confesso che ogni tanto ho origliato qualche conversazione e sono sempre rimasta colpita dalle parole che riusciva a trovare Veronica per rassicurare. La ammiro molto per questa sua capacità.

Quando terminarono i 6 mesi di lavoro, e devo dire per fortuna perchè ero diventata molto ingombrante e avevo qualche problema a stare in piedi parecchie ore di seguito, la nostra amicizia proseguì. In farmacia era rientrata Matilde, aveva avuto un bimbo, Matteo, che curava sua mamma mentre lei era al lavoro. Mi spiacque lasciare la farmacia, era un luogo di lavoro dove andavo volentieri, avevo conosciuto persone simpatiche, fatto amicizie e vissuto parte della mia gravidanza. Non so se fossero gli ormoni a rendermi particolarmente sensibile, ma l'ultimo giorno di lavoro mi commossi al momento dei saluti e piansi. Furono molto carini con me, mi abbracciarono e rassicurarono, mi dissero di passare a trovarli ogni tanto. Veronica mi accompagnò fino a casa. Qualche volta tornai in farmacia, ovviamente era diverso essere lì per un saluto rispetto a passarci la giornata. Con Veronica invece rimasi in contatto, la nostra amicizia è continuata. Ci sentivamo regolarmente, quasi ogni giorno. Intanto la gravidanza procedeva. Ero riuscita a contenere l'aumento del peso, ma avevo la pressione sballata. Mi sentivo sempre stanca e mi si gonfiavano le gambe. Gli ultimi due mesi dovetti prendere delle pastiglie per la pressione e stare a riposo. Furono due mesi lenti, passati quasi sempre in casa, ma li vissi serenamente grazie a Filippo, ai miei familiari che mi chiamavano tutti i giorni, a Veronica che passava regolarmente a trovarmi, ma soprattutto alla mia bimba: Sara. Avevamo saputo di aspettare una bambina e deciso che si sarebbe chiamata Sara, come la mamma di Filippo. Dal settimo mese iniziai ad avvertire distintamente i suoi movimenti dentro di me e da allora non mi sentii più sola. Accarezzavo la pancia, le parlavo, le volevo già bene. Da qualche parte lessi che durante la gravidanza le emozioni della mamma passano al bambino, come se le vivesse anche lui. Non so se questa teoria sia fondata, nel dubbio cercavo di essere allegra, stare bene, per passare a Sara solo sensazioni positive.

Per passare il tempo leggevo, guardavo la televisione, facevo la settimana enigmistica. Ogni tanto mi veniva qualche crisi d'ansia, specie quando vedevo le mie gambe gonfie e mi girava la testa. Se Filippo era a scuola telefonavo a qualcuno per non angosciarmi troppo e pensare ad altro. Confesso che qualche volta mi ha aiutato molto sedermi davanti al quadretto di San Gerardo e affidargli tutti i miei timori. Sarà stata una cosa stupida e infantile, ma esporgli le mie preoccupazioni, chiedergli di vegliare su di noi, mi rasserenava. Forse mia suocera mi aveva condizionata continuando a nominarlo. Sta di fatto che questa cosa mi dava fiducia e speranza, forza e ottimismo. Un paio di volte sorpresi anche Filippo di fronte a quel quadretto, in qualche modo San Gerardo era con noi.

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Ultimo aggiornamento 27/07/2021