Il grande gioco della croce
CAPITOLO XVII
Ma fu la prova di una calunnia atroce, che lo vide mortificato e castigato dal fondatore sant’Alfonso, a fornire a Gerardo l’occasione di esprimere la sua umiltà e la capacità di silenzio sofferto e offerto. Il desiderio di vedere amato «il suo caro Dio» gli comunicava un particolare zelo per le anime consacrate. Quando notava un germe di vocazione monastica in qualche giovanetta, si prodigava a coltivarlo, impegnandosi perfino nel procurarle la dote per l’ingresso in monastero.
Tra le Benedettine di Corato, le Carmelitane di Ripacandida, le Redentoriste di Foggia si trovavano ragazze guidate dallo zelo di Gerardo. Tra queste ultime, una certa Nerea Caggiano. Non era fatta per il monastero: resistette tre settimane, e furono molte. Bisognava giustificare il suo ritorno in famiglia, a Lacedonia: le suore... e quel benedetto fratello Gerardo... L’insinuazione fece nascere il sospetto; la gelosia completò l’iniquo disegno. Nerea accusava Gerardo di tenerezza per una sua coetanea, Nicoletta Cappucci. Anche don Benigno Benincasa credette a Nerea.
Una lettera raggiunse sant’Alfonso. «Non è possibile!», esclamò il fondatore. Però la controfirma dell’amico sacerdote Benincasa faceva fede. Davanti a sant’Alfonso, Gerardo restò estasiato: «Padre, voi avete una faccia di paradiso!», gli disse, ma non sapeva cosa lo aspettava. Alla lettura della lettera, segue un grande silenzio. «Non ti dimetto, ma ti proibisco di parlare e di scrivere a chiunque, e ti proibisco di ricevere l’Eucaristia». Gerardo tace ancora.