Incontro alla morte
CAPITOLO XXVI
A padre Caione, che vedendolo - al ritorno a Materdomini - smunto e arso dalla febbre, non poté trattenere le lacrime, disse: «Padre mio, è volontà di Dio; perciò state allegramente, perché la divina volontà deve farsi sempre allegramente».
All'esterno della sua porta fece appendere una tabella con la scritta: «Qui si sta facendo la volontà di Dio, come vuole Dio e per tutto il tempo che piace a Dio». Tra le quattro anguste pareti l'estasi della sofferenza lo innalzava a vertici di amore: «Se mi trovassi su un'alta montagna, vorrei incendiare il mondo con i miei sospiri», esclamava. E ancora a padre Caione: «Padre mio, io mi figuro che questo letto sia la volontà di Dio, e che io vi stia inchiodato come se stessi inchiodato alla medesima volontà di Dio: anzi mi figuro io e la volontà di Dio siamo diventati la stessa cosa». Ecco un breve testamento pronunziato davanti a Cristo viatico: «Mio Dio, voi sapete che quanto ho fatto e detto, tutto l'ho fatto e detto per gloria vostra. Muoio contento, nella speranza di aver cercato solo la vostra gloria e la vostra santissima volontà».
Ma le ultime ore del crocifisso con Cristo non erano senza sofferenze. Il dolore e il lamento rassegnato del Figlio di Dio riecheggiavano sulle labbra morenti dell'uomo: «Signore, aiutatemi in questo purgatorio in cui mi avete posto!... Sto sempre dentro le piaghe di Gesù Cristo, e le piaghe di Gesù Cristo stanno dentro di me!... Patisco continuamente le pene e i dolori della passione di Gesù Cristo!... Patisco assai, ma tutto è poco, o mio Dio, per voi che moriste per me!». Le ultime parole udite furono: «Mio Dio, mi pento... Voglio morire per fare la vostra volontà!». Aveva desiderato morire abbandonato da tutti, e l'aveva ottenuto. Per una casuale coincidenza il confratello che lo assisteva s'era allontanato per prendere dell'acqua da lui richiesta. Gli altri di comunità non prevedevano imminente la fine. Quando il fratello ritornò con l'acqua, Gerardo boccheggiava, piegato su un fianco. Era l'una e mezza di notte del 16 ottobre 1755.
La notizia della scomparsa del santo fratello volò sulle ali del vento. Una grande folla assalì la chiesetta e si strinse intorno al feretro. Si piangeva per impetrare protezione con la certezza di avere un nuovo protettore in cielo. Piangeva di commozione fratel Carmine Santaniello, incaricato di suonare le campane a morto; alla vista di tale spettacolo di fede lo tradì la commozione e dalle sue mani uscirono scampanii di gloria che si diffusero echeggianti nella vallata del Sele. Con quel suono iniziava una nuova alba pasquale.
Quello che conosciamo di san Gerardo Maiella lo dobbiamo ai suoi confratelli, ma anche alle numerose testimonianze di amici e devoti che lo conobbero in vita o sperimentarono il suo patrocinio dopo la morte. Il suo sepolcro divenne subito meta di pellegrini.
Insieme alla tomba si cominciò a venerare la sua stanza, testimone di preghiere, di penitenze, di sofferenze, di estasi e della visione confortatrice della Vergine Maria prima di volare al cielo. Padre Francesco Santoli la descrive così: «Piccola e disadorna: misurava m. 4 di lunghezza e 3 di larghezza e di altezza. Al lato sinistro un lettino formato da due cavalletti di ferro, sormontati da due rozze tavole di castagno e un duro pagliericcio (saccone di cartocci di granturco).
In un altro angolo un tavolo dozzinale con lucerna ad olio e qualche libro spirituale. Un paio di sedie in legno ed un catino per lacqua. Alle pareti sospese quattro immagini cartacee... Fra la mobilia di Fr. Gerardo non mancava anche un teschio da morto sul tavolo, per il ricordo continuo di sorella morte temporale».