Bocca di Paradiso
CAPITOLO XXIX
Anche verso gli infermi il Santo esercitava la più premurosa e disinteressata carità.
"Visitato l'ospedale degli incurabili, scriveva il Tannoia -se ne innamorò. Passava presso il loro capezzale per animarli alla pazienza e anche per prepararli alla morte".
Visitava anche i pazzi, che talvolta radunava in cortile per istruirli e regalar loro confetti. Era tanta la soddisfazione dei dementi, che tutti volevano stare con Gerardiello, perché "diceva loro tante cose belle e aveva una bocca di Paradiso'". Un giorno, non volevano lasciarlo più partire e lo tenevano perciò stretto tra loro. Ma ne fu liberato da un pazzo nerboruto, che "non voleva troppa confidenza con il suo Gerardiello ".
Specialmente la sua carità verso i peccatori era così straordinaria, che, come scriveva lo stesso biografo, "non passava giorno,in cui il Majella non facesse qualche pescagione'".
Perché incaricato, per commissioni, di girar per le librerie e tipografie, egli approfittava di quelle occasioni per esortare i giovani librai e tipografi alla fuga del peccato, alla frequenza dei Sacramenti e alla devozione verso la Madonna .. Preparato così il terreno, mandava i ben disposti a confessarsi dal P. Margotta. "Così -osservava il Tannoia -l'ospizio dei Redentoristi diveniva come un'anticamera della penitenza".
Tali conversioni derivavano specialmente dal dono di scrutare i cuori, di cui era dotato il Santo, come quando, entrato in un negozio per comperare medaglie, al negoziante che gli parlava di Dio per affarismo, Gerardo rivelò il cattivo stato della coscienza di lui.
Sorpreso per la rivelazione di essere in peccato mortale noto soltanto a Dio e a lui, l'affarista decise di confessarsi. Ma il Majella aveva anche il dono di vedere le cose lontane e un giorno informò il
P. Margotta della morte del P. Latessa avvenuta il 5 di ottobre al collegio di Materdomini.
-Ecco che in quest'ora è andato in Paradiso il nostro P. Latessa ... -disse al Margotta.
Al 14 dello stesso mese, incontrato pervia il concittadino Pasquale, gli confidò che "a Muro si era massacrato l'arciprete D. Coccicone ".
Questi fatti straordinari lo resero famoso a Napoli specialmente presso i Religiosi, che perciò andavano a lui per visitarlo e parlargli a scopo di edificazione personale. Divenuto così amico del P. Pepe, un gesuita meritamente stimato per virtù e dottrina, ottenne da lui una "indulgenza plenaria per chiunque si fosse comunicato ogni otto giorni". Con questo mezzo, Gerardo innamorò migliaia di anime per Gesù sacramentato.'"Così, dicevano i Padri Caione e Giovenale, il Majella ottenne quanto non avrebbero ottenuto cento predicatori'".
Di questa preziosa indulgenza e di altre parziali, il Santo rese partecipe, mediante una lettera tuttora conservata, anche la Priora del Monastero del SS. Salvatore di Foggia, con facoltà di estenderle a tutte le Suore dell' avvenire.
Ormai era divenuto il consigliere d'innumere persone, che andavano a lui anche per raccomandarsi alle sue preghiere.
Tra i visitatori, c'erano anche eminenti personalità del clero secolare e regolare, che ammiravano la scienza infusa in lui, perché Gerardo non la cedeva ad alcun teologo come quando, interrogato circa il mistero della SS. Trinità, egli rispose mirabilmente con sorpresa dei più illustri dotti e teologi.
Ma preoccupato della fama che andava ampliandosi a Napoli, il Majella procurava di spregiarsi, come allorchè, cercato da un valletto della duchessa Maddaloni per la guarigione della figlia, egli incaricò il messo di riferire alla duchessa che "Majella era scemo e quasi pazzo'".
Nell'incontrarlo però, al mattino seguente, alla chiesa dello Spirito Santo, la duchessa gli raccomandò di pregare per la sospirata guarigione-. Ma Gerardo le indicò il tabernacolo e le disse:
-Ecco Chi dispensa grazie e opera prodigi!
-D'accordo! -replicò la duchessa. Chiunque sia il taumaturgo, io voglio la grazia.
Allora il Santo pregò secondo la intenzione di lei e la grazia venne sollecita e completa.
Ma il Majella divenne ancor più famoso per un miracolo avvenuto alla presenza di tanti testimoni.
Mentre, come scriveva il Landi, Gerardo si trovava, per divina disposizione, al lido di Napoli, presso la così detta "pietra del pesce", scorse una barchetta che non poteva approdare per la tempesta ed era in procinto di naufragare. Commosso dalle grida dei naufraghi, il Majella accorse sollecito, si fece il segno della Croce e poi, entrato sul mare come se questo fosse stato di ghiaccio, avvicinò la barchetta, che tirò al lido come se fosse di carta. Allora tutti gridarono al miracolo, ma Gerardo si sottrasse all'entusiasmo degli accorsi, che lo acclamavano quale Santo taumaturgo.
Quasi che avesse perpetrato un delitto, Gerardo si nascose presso un ottonaio suo conoscente, con il quale rimase fino a notte per non venire riconosciuto e acclamato.
-Ma come facesti a tirar la barchetta al lido?! -gli domandò il P. Margotta quando apprese la notizia di quello straordinario accaduto.
-Eh, Padre! -rispose l'interrogato. Quando Dio vuole, si può tutto. E al P. Caione, curioso di sapere come avesse fatto, precisò:
-Afferrai la barcuccia con due "ditelle "e la tirai a terra.
Non solo il popolo, ma perfino la duchessa d'Ascoli, che aveva avuto occasione di ammirare nelle Puglie la santa e portentosa vita del Majella, desiderava vedere e parlare con lui. Ella domandò quindi al P. Margotta una visita di Gerardo, che questa volta "dovette andare a quel fastoso palazzo dov'era atteso anche da altre nobildonne dell'aristocrazia napoletana".
Perché egli preferiva trovarsi con gli umili, i poveri e gli sventurati, si trovò a disagio di fronte a quelle persone che vestivano di seta, ma che, al suo sguardo perspicace di Santo, erano spiritualmente inferiori ai suoi prediletti poverelli.