Il "Santo pazzerello"
Capitolo X
A questo punto della vita del nostro Santo, vorremmo avere la pretensione di scendere con delicata -anche se inesperta -analisi nella sua anima per studiarvi il lavorio meraviglioso della grazia, che, sulla trama dei continui insuccessi della sua giovinezza, inutile e scialba, secondo gli schemi convenzionali del mondo, andava tessendo il prodigioso ordito della santità.
L'ideale di Gerardo era poter servire e amare Dio fino alla follia, ricambiandolo con la stessa sua divina misura. Lo aveva appreso e assimilato fin dall’età di tredici o quattordici anni, quando aveva cominciato a leggere due libretti spirituali, doni di suo zio P. Bonaventura da Muro: L'Anno Doloroso e Meditazioni per tutti i giorni dell'anno sulla Via Dolorosa di N.S.G.C. del P. Antonio da Olivadi, missionario Cappuccino. Le scene della passione di Gesù, descritte vivo e con suggestivi particolari, lo commovevano profondamente; e di volta in volta il suo cuore puro ne assaporava con tanta voluttà, tutta la tragica espressione, mentre a di struggente desiderio di poter rendere al suo appassionato Signore amore per amore, sangue per sangue.
Gli erano sempre presenti le parole della meditazione del 19 luglio: Considera che cosa ha sofferto il tuo Signore davanti ai tribunali; è accusato ingiustamente, disonorato, insultato, percosso, preso per pazzo. Ecco quello che anche tu devi desiderare. L’abiezione, il disprezzo, l’umiliazione, essere preso per pazzo per amor suo.
La immediata onestà di Gerardo, non equilibrata da una direzione spirituale, lo portava a dare una interpretazione strettamente letterale a quelle impressionanti parole. Da qui le sue sante stranezze, da farlo prendere nel paese per un autentico pazzo. Non contento delle frequenti confessioni e comunioni, egli restava delle mattinate intere, dimentico del lavoro e di tutto, a servire le messe nella chiesa della Madonna del Soccorso del duca di Gravina, o nella Cattedrale.
Assetato sempre di preghiera e di restare più tempo possibile con Dio, aveva convinto il sacrestano ad affidargli la chiave della Cattedrale; e spesso, là dentro, quando riusciva ad evadere la vigilanza di mamma Benedetta, passava intere nottate. Che cosa combinava in quelle ore tutte sue nel silenzio della notte ed in intimità assoluta col suo amato Bene?
Da qualche accenno fatto da Gerardo stesso prima di morire e da alcune tradizioni popolari, è giunta fino a noi qualche rara notizia. Sappiamo così che questi inconsueti e notturni slanci di fervore di Gerardo provocavano delle volte la reazione del demonio. E allora in una atmosfera di tregenda vi erano delle apparizioni infernali di orripilanti creature. Oppure si ingaggiavano tra Gerardo e satana delle furibonde risse, a suono di poderosi colpi di candelabri e angioloni di bronzo che ornavano le pareti e l'altare della chiesa. Gerardo naturalmente riusciva vittorioso, anche se esausto: poteva contare sull'aiuto del suo antico amico guerriero S. Michele! E poi andava a ricantare la letizia del suo soprannaturale peana a Gesù nel Sacramento e lo faceva con tutta la sua folle esuberanza ...
Tanto che una volta dalla custodia, Gesù gli gridò:
- Pazzerello, pazzerello … ma che mi combini?
E Gerardo, sornione e felice gli rispose:
- Però, caro Signore, voi siete più pazzo di me, ché per amor mio vi siete ridotto prigioniero in questo tabernacolo!