Santa Emulazione
CAPITOLO XXVIII
Il Majella aveva sempre il dono di scrutare i cuori. Perciò allo stesso P. Giovenale angustiato per il timore di essere caduto in peccato, egli, dopo di essersi confessato da lui, disse di "star sereno, perché in grazia di Dio". Invece quando lo stesso Rettore confessò un penitente, il Santo disse al Superiore che quel tale era sacrilego e che quindi procurasse di richiamarlo. In realtà, Gerardo aveva letto sul libro di quella coscienza, la quale poi si rimise in pace con un'altra Confessione.
Al canonico Leonardo Rossi, che si trovava ospite alla casa di Materdomini ed era angustiato per ciò che succedeva a Melfi, il Majella, senza essere da lui interrogato,disse:
-Signor Canonico, siate allegro perché a Melfi tutto è superato.
Questa rivelazione fu quindi, per il Canonico, una nuova prova che l'anima del Santo fosse ricca di doni soprannaturali. Nel riconoscere la provata innocenza di Gerardo, S. Alfonso era rimasto profondamente commosso e al P. Francesco Margotta, venuto a Pagani per affari della Congregazione, disse:
-Ora conosco le virtù di questo "fratello". Se non avessi altra prova della sua perfezione, basterebbe quella data recentemente.
Allora il P. Margotta, che aveva bisogno di un aiutante, chiese Gerardo al Fondatore. -Si! -accondiscese S. Alfonso. -E' buono: che venga quindi con voi, anche perché sia compensato delle patite sofferenze ...
Quando si scrisse al Majella di "passare a Pagani prima di andare a Napoli'", il Fondatore volle rivederlo e parlargli.
Edificante e commovente il secondo incontro di due Santi, in un'atmosfera di mutua comprensione, in un clima di paradiso. Era l'incontro di un tenero Padre con il migliore dei "figli'", che aveva saputo conservare il tremendo segreto per tanto tempo e subire un castigo così immeritato senza proferir parola, mentre avrebbe potuto giustificarsi e sottrarsi all'onta della infame calunnia suggerita dal re della menzogna per intaccare il suo onore di Religioso avviato alla santità.
Come se nulla fosse avvenuto, il Majella si presentò al Fondatore in atteggiamento di filiale rispetto, umile, sereno, ossequiente, S. Alfonso, ammirato delle sue insigni virtù, intenerito e gioioso, lo interrogò.
-Figlio mio, perché non dirmi neppure una parola per la tua innocenza?
E Gerardo, con la semplicità di un bambino:
-Padre mio, come potevo io farlo, se la Regola impone di non scusarsi e di soffri. re in silenzio le mortificazioni provenienti dal Superiore?
-Bene! -concluse S. Alfonso con voce venata di commozione. -Va' ora, figlio mio, e che tu sia benedetto!
La dimora del Majella a Napoli fu di appena cinque mesi, ma questi furono densi di avvenimenti vari e meravigliosi. Egli abitò, con il P. Margotta, all'Ospizio dei Redentoristi.
Poco dopo il suo arrivo a Napoli, giunse una circolare del Fondatore. Tra le altre raccomandazioni, che S. Alfonzo faceva ai suoi "figli'", sono importanti le seguenti':
"Fratelli miei, scriveva, facciamoci santi e amiamo assai Gesù Cristo, perché se lo merita. Amiamo un Dio morto per il nostro amore, ravvivando la fede, poichè pochi giorni dovremo stare quaggiù e ci aspetta l'eternità. Perciò non dobbiamo vivere a noi o al mondo, ma solo per Dio, per l'eternità e per farci santi. Chiediamo a Gesù il suo santo amore e, per ottenerlo; procuriamo d'innamorarci della sua Passione. Siamo avari del tempo per impiegarlo nell'orazione e nel visitare il SS. Sacramento, affinchè Gesù faccia di noi ciò che vuole e preghiamo la SS. Vergine di ottenerci il gran tesoro dell'amore di Gesù Cristo'".
Queste esortazioni furono provvidenziali anche per Gerardo e il Margotta tra la dissipazione di Napoli. Fiorì tra loro una santa emulazione sostenuta dalla conformità delle loro aspirazioni. I due Redentoristi "andavano a gara per superarsi nel crucciar se stessi ", come scriveva il Tannoia, Per il P. Margotta, "il corpo era come un cavallo indomito, che bisognava sforzare affinchè non desse calci ": quindi come materasso bastava la nuda terra, cilici addosso e mortificazioni a mensa, quando non restavano digiuni.
Vestivano dimessamente per essere immagini viventi della Povertà religiosa; spesso erano beffeggiati dai "lazzaroni", perché si confondevano con i poveri per domandar l'elemosina all'Oratorio dei Filippini.
Perché la maggiore occupazione del Majella consisteva nel preparare la mensa, egli passava tutto il tempo disponibile, come il P. Margotta, nel frequentar quelle chiese dove si faceva l'adorazione al Santissimo. Là dentro pareva che il cuore del Santo palpitasse in un'atmosfera di Cielo.
Durante il tempo disponibile, Gerardo frequentava anche il laboratorio di un modellatore, che costruiva in cartapesta Crocifissi e busti di Gesù appassionato. Perché l'artefice era devoto, nel vedere che il Santo desiderava coadiuvarlo, lo accettò quale apprendista e il Majella approfittò talmente di quella scuola, da divenire "maestro ". Si conserva, come saggio dell'arte sua, un espressivo "Ecce, Homo! ", che si dice sia opera delle sue esperte mani.
Edificante pure la carità verso i poverelli. P. Margotta si spogliò, una volta, della talare per donarla a un pezzente il quale non aveva che cenci addosso. Ma Gerardo non si lasciava vincere dal generoso Confratello, perché, avuto del denaro per allestire il desinare, incontrato per via un povero rivendugliolo squattrinato, comperò da lui alcune pietre focaie per soccorrerlo. Invece perciò di ritornare all'ospizio con le vivande, pose sulla tavola quelle pietre con sorpresa del P. Margotta.
-Non temete! -gli disse il Santo, dopo di avergli spiegato l'enimma._ Sediamo lo stesso a mensa, che il buon Dio provvederà.
Difatti, mentre i due commensali parlavano di argomenti edificanti, fu bussato all'entrata, dove comparve una persona con un canestro di vivande mandate da uno sconosciuto.
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