L'autobiografia di un Santo
Capitolo XXIX
Era un venerdì di giugno, quando, verso l'imbrunire, Gerardo saliva la collina di Materdomini, così chiamata dal piccolo santuario mariano al quale si addossa il lungo edificio dei Padri Redentoristi allora in costruzione. Chiesa e collegio dominano la città di Caposele, bagnata dalle acque limpide del Sele che nasce a pochi passi dalle sue mura e scorre nella valle omonima, tra una selva di ulivi. O meglio, scorreva, perché oggi il fiume, incanalato in un superbo acquedotto, porta le acque alle genti assetate delle Puglie.
Il santo si recò subito in chiesa a ringraziar la buona Madonna per i tanti dolori sofferti e per il silenzio che aveva accompagnata la sua venuta. Ormai egli pensava di esser lasciato per sempre nella cara solitudine a piangere i suoi peccati, senz'altra preoccupazione che di amare il suo caro Dio. Amarlo di giorno e di notte, senza che il sonno interrompesse il colloquio amoroso. Lo rivelò il mattino seguente al dottor Santorelli in una di quelle risposte più significative, perché non preparate dalla riflessione.
L'amico che saliva ogni giorno dalla sottostante cittadina per partecipare alle funzioni di chiesa e spesso alla vita di comunità, quando lo vide, credette sognare. Dopo alcune esclamazioni di stupore l'abbracciò con molto affetto, ringraziando la Vergine di avergli concesso di rivederlo qui in terra. Poi, placati i loro reciproci entusiasmi, il Dottore che era di buon umore, gli chiese: « Beh, come hai passata la notte ? Le pulci ti hanno fatto dormire ? ».
Le terribili pulci di Materdomini erano note a tutti i congregati e anche al fondatore che, per distruggerle, consigliava nelle stanze un pavimento a lastricato, invece dei soliti mattoni. (Lettere, I, 278).
Gerardo rise di cuore : « Le pulci ? Io le debbo ringraziare, perché mi danno più tempo per pensare al mio Dio».
Era una battuta spiritosa che diede l'avvio a una delle giornate più luminose del santo. Infatti, poco dopo, il cuore gli si apriva a un'ondata di gioia, quando il padre Giovenale gli annunziò per l'indomani la santa comunione. Diede in grida, in eplosioni di allegrezza, ripetendo a se stesso e agli altri : « Domani farò la comunione ! ». E iniziò alacremente la sua preparazione.
A sera, non si credette completamente pronto e chiese il permesso di passare in ritiro tutto il tempo che precedeva l'incontro con Dio. L'ottenne e si chiuse nella sua stanzetta a pregare. Al mattino era in coro con gli altri, ma, dopo la meditazione comune, scomparve senza che nessuno gli badasse. A una cert'ora, un confratello ebbe bisogno di lui e lo cercò. Non trovandolo, passò la voce agli altri e, in breve, tutti si misero in moto.
Bussarono alla sua porta. Silenzio assoluto. Entrarono : il letto era spianato, il berrettino bianco da notte giaceva intatto sul guanciale; la sedia, il tavolino, tutto in ordine, ma di lui nessuna traccia. Lo chiamarono, lo cercarono in ogni nascondiglio: niente. Il padre Giovenale non sapeva più che dire. Pensò che Gerardo avesse ripetuto il gesto di Deliceto quando si nascose per tre giorni dentro un tino per attendere più tranquillamente alla preghiera. In tal caso, gliel'avrebbe data lui la meritata lezione!
Mentre così rifletteva, sopraggiunse il Dottore e si affrettò a comunicargli la cosa
« Caro don Nicola, la sapete la nuova ? Abbiamo perduto fratel Gerardo ».
« No; non è possibile. Fate le ricerche ». « Le abbiamo fatte, ma senza risultato». « Sarà sotto il letto ».
«Ho già fatto rovistare tutta la sua stanza». « Adesso ci vado io ».
E si avviò con fratel Nicola Sapia, ma il successo non fu migliore.
«Non importa», concluse il Dottore, « vedrete che all'ora della comunione sbucherà fuori da qualche parte».
E così fu. Verso le nove, lo videro in mezzo al corridoio, con le vesti in disordine e la corona tirata sulle reni. Andava avanti con l'aria più tranquilla del mondo e stava già per imboccare la sagrestia, quando fu chiamato dal padre Strina e condotto davanti al padre Giovenale che s'intratteneva col Dottore e altri padri nel cortile, vicino alla cisterna, all'ombra della chiesa.
Il superiore lo investì subito con parole roventi; poi, sbollita l'ira, gli disse: « Io ti comando, in virtù di santa ubbidienza, di dire dove sei stato ».
«In camera», rispose senza scomporsi.
«Come in camera, se ti ho fatto cercare da tutti i fratelli e non ti hanno trovato né in camera, né altrove ? Fai dieci croci con la lingua per terra».
Il povero Fratello si chinò sul terreno bagnato, inzaccherandosi di fango. Si rialzò sorridente, come se niente fosse stato, e si ritrovò davanti gli stessi occhi infuocati del superiore che continuava a inveire: « Ti farò stare un mese senza comunione e un mese a pane e acqua».
Ed egli: « Padre mio, fatemelo fare per amore di Gesù Cristo!». E si ritirò in chiesa.
Se ne usci più tardi tutto raggiante. Nella sagrestia s'incontrò col Dottore e gli sussurrò all'orecchio: « Non lo sai, neh ? Aggio fatta la comunione! ».
Il Dottore, prendendolo per un braccio: « Gerardo, dimmi proprio la verità : dove sei stato ? ».
« In camera!».
« Ma che Dio ti faccia santo, come e possibile se io e fratel Nicola abbiamo messa sottosopra la tua camera, e non ti abbiamo trovato ? ».
« Vieni con me» disse Gerardo e lo condusse a braccetto nella stanza: « Ecco qui », soggiunse indicando un seggiolino di paglia accanto alla porta, « io ero proprio li! ».
« Ma anche lì abbiamo guardato e non ti abbiamo visto ! ».
« Non mi avete visto perché alle volte io mi faccio piccirillo! ». Anche il padre Giovenale con più calma volle tornare sull'argomento: « Ma si può sapere che cosa mi combini ? ».
E Gerardo : «Vi avevo chiesto il permesso di passare in ritiro tutto il tempo che precedeva la comunione. Per non esser disturbato, ho chiesto al Signore di rendermi invisibile ».
« Che misteri son codesti ? », interruppe bruscamente il superiore, « per questa volta ti perdono, ma guardati dal ripetere siffatte preghiere ! ».
Rimasto solo, il padre Giovenale, ancora sbalordito, si mise a ripensare a quanto era accaduto sotto i suoi occhi: « Possibile », diceva tra sé, « che Dio lo ricolmi di tanti doni, se è colpevole ? ».
E riandò col pensiero agli anni di Deliceto, quando lo aveva conosciuto ed ammirato per l'illibatezza della sua coscienza che fuggiva l'ombra stessa della colpa. Era semplice ed ingenuo, incapace di un pensiero, o di una tentazione relativa alla purezza.
Un giorno gli aveva chiesto : « Gerardo, perché non tieni gli occhi bassi ? ».
Ed egli: « E perché dovrei tenerli bassi ? ».
«Perché voglio così». Ed aveva troncato un discorso che poteva turbar tanto candore. Eppure il prudente direttore doveva moderare il suo ardore di crocifiggere quella carne già da se stessa ubbidiente ai richiami della ragione e della fede. Per quale motivo ? Uno solo : Gerardo amava Gesù e voleva assomigliare al Martire Divino.
Una volta il Padre aveva voluto mettere alla prova il suo amore. Accortosi che, ricevuto il Signore, usciva dai sensi, gli aveva comandato di servirgli la messa appena fatta la comunione.
« Ma, Padre... », aveva risposto timidamente.
« Che Padre ?... Non vuoi far l'ubbidienza ? Fai la comunione al principio della messa e poi me la servirai».
Il povero Fratello aveva tremato, poi, facendosi una violenza disperata, era arrivato alla fine. Non ne poteva più e cadde dietro l'altare, in estasi silenziosa. Per tutta la messa aveva lottato contro Dio, pur di ubbidire.
Perché l'ubbidienza era allora la virtù caratteristica di quell'anima. E il padre Giovenale ricordava un autentico miracolo operato in virtù di santa ubbidienza.
Un giorno, allora egli era superiore interino, gli fu annunziato che Gerardo giaceva a letto in preda a una febbre violentissima. Andò difilato nella sua stanza e « Come ? », gli disse, « c'è tanto da fare e tu te ne stai a poltrire sotto le coperte ? Su, su ! In virtù di santa ubbidienza, fatti passare la febbre, e mettiti al lavoro ».
Un momento dopo, l'ammalato, completamente guarito, era al lavoro. Ma portava uno scrupolo sulla coscienza: fino a quando dovesse restare in buona salute. Ed era tornato dal superiore a chiedere spiegazioni: « Padre, dunque non debbo farmi tornare più la malattia ? » .
Il Padre, che era per partire, rispose: «Finché io non torni dalle missioni, voglio che tu stia bene» .
Tali ricordi gli tornavano in mente e lo commovevano ancora. Sì, diceva tra sé, lo rivedo dopo due anni, e due anni sono pur qualche cosa; ma è mai possibile che un'anima simile possa cadere non dico in una colpa, ma in una leggerezza pienamente avvertita ? E, in questo caso, come mai Dio continua a gratificarlo di doni straordinari ?
Assillato da questo pensiero, decise di conoscere a fondo lo stato di quella coscienza: cioè, le sue intenzioni, i suoi desideri, i suoi sentimenti, i suoi propositi, rendersi conto esatto se fosse Dio che operava tanti fenomeni meravigliosi o il demonio travestito da angelo di luce. Perciò, gli ordinò di mettere fedelmente in iscritto tutto ciò che passava nella sua anima: dai mezzi esterni con cui macerava la carne a tutto quel mondo di pensieri, di affetti, di ideali con cui nutriva lo spirito e lo spronava verso la santità.
Da questo comando del superiore, abbracciato con docilità e senza reticenze, è nato quel Regolamento di vita che è l'indice più completo della spiritualità di Gerardo, maturata dalla prova.
Il Regolamento procede dall'esterno cioè dalle mortificazioni più frequenti nel giorno, nella settimana e nell'anno. Ma avvertiamo subito che la parola esterno ha un significato convenzionale, perché tali mortificazioni mirano a piegare lo spirito davanti alla grandezza di Dio: quindi, sono essenzialmente atti di adorazione e di amore che iniziano il giorno e le azioni importanti del giorno, o ringraziano Dio dei privilegi concessi ai suoi santi.
Così, appena alzato, Gerardo si stenderà bocconi per terra, strisciando nella polvere nove volte la lingua a forma di croce, in onore della Santissima Trinità.
Appena vestito, nasconderà sul petto una maglia di punte ferrate a forma di croce, a simboleggiare la repressione degli affetti terreni, i quali devono mantenersi nella purezza voluta da Dio.
Cospargerà il cibo di erbe amarissime per trasformarlo in sacrificio di lode.
Intensificherà queste mortificazioni il mercoledì in onore dell'abitino del Carmine; il venerdì in onore della passione del Signore; il sabato, in onore della Madonna. In tali giorni inizierà il suo pasto strisciando nove volte la lingua per terra; mangerà in ginocchio, in atteggiamento di preghiera; cospargerà il cibo di assenzio e lascerà le frutta. Il sabato lo passerà a pane ed acqua. La sera si stringerà sulla fronte e sulla coscia una piccola rete di ferro, irta di punte, larga quattro dita ; si stenderà per dormire su un'altra rete di punte, larga un palmo e lunga tre palmi ; e si cingerà le braccia con anelli di punte ferrate.
In tutte le novene di Gesù, di Maria Santissima e dei suoi santi protettori, alle anzidette mortificazioni aggiungerà ogni giorno una disciplina con funi nodose spalmate di cera; mentre una volta durante la novena, si batterà con punte acuminate di ferro. Altre penitenze straordinarie le chiederà, volta per volta, al suo superiore.
Dalle strettoie della carne si slarga una visione potente di altissimo respiro che s'innalza fino a Dio sulle ali dell'amore, ma di un amore che abbraccia nel suo volo di ascesa le creature della terra e del cielo : « Dio mio, io vi amo con tutti gli atti di amore fattivi da Maria Santissima e da tutti gli Spiriti beati dal loro principio fino adesso e dai fedeli di tutta la terra; con quell'amore che Gesù Cristo porta a se stesso, a tutti i suoi diletti e a Maria Santissima ».
Ma quest'amore affettivo non resta fine a se stesso ; si consuma in un'estasi d'immedesimazione alla divina volontà: «Amare assai Dio; unito sempre a Dio; fare tutto per Dio, amare tutto per Dio; conformarmi in tutto al suo santo volere; patire assai per Dio».
Amare, fare, patire, è un trinomio che procede di pari passo amare in Dio, agire in Dio, soffrire in Dio, partendo sempre dalla stessa molla iniziale: la volontà di Dio. La volontà di Dio è lavoro, orazione, contemplazione, santità, tutto : « Pensa che non ti farai santo con lo stare in continue orazioni e contemplazioni: la migliore orazione è stare come piace a Dio ; essere santo col divino volere, cioè in continui impieghi per Dio, questo Dio vuole da te».
Impieghi per Dio: cioè impieghi avuti da Dio, esercitati per Dio e in vista di Dio, senza tener conto dei giudizi più o meno fallaci del proprio orgoglio e di quelli interessati di tutto il mondo. Gerardo vuole agire commisurando le proprie forze con le forze stesse di Dio che rende infinite le risorse della natura: « Non metterti soggezione di te stesso e di tutto il mondo : basta avere Dio presente nei detti impieghi ed essere sempre in Dio. Voglio operare in questo mondo come fossimo io e Dio».
Se Dio è con lui, egli non teme nulla, perché allora la sconfitta è vittoria; il dolore, un premio: « è pena infinita il patire e non patire per Dio. Patire tutto e patirlo per Dio non è niente. Niuna pena è pena, quando si opera davvero».
A questa santità, che è conquista giornaliera, Gerardo sprona, momento per momento, la propria volontà: « Una volta ho la bella sorte di farmi santo; se la perdo, la perdo per sempre».
Ma lo sprone più efficace sono i suoi propositi che vogliono tradurre nella pratica le aspirazioni infiammate della sua anima. In che modo ? Con l'umile confidenza in Dio e la diffidenza di se stesso, perché la volontà umana, da sé, non è capace che di frapporre indugi all'azione della grazia. Perciò i suoi propositi sono spesso formulati a guisa di preghiera: escono dal cuore, non come energia autonoma, ma come grido d'implorazione all'Altissimo. Implora l'aiuto del suo Gesù da cui tutto spera; poi dello Spirito Santo che sceglie « per consolatore e postulatore di tutto » ; poi della Vergine Santissima: « E tu, unica mia gioia, Immacolata Maria, tu ancora mi sii seconda protettrice e consolatrice in tutto quello che mi accadrà. E sii sempre l'unica mia Avvocata presso Dio... » ; infine dei suoi avvocati e protettori, particolarmente di Santa Teresa, Santa Maria Maddalena dei Pazzi e Santa Agnese.
In ultimo si rivolge a se stesso, tra il timore e la speranza « Ahimè Gerardo, che fai ? Sai che un giorno ti ha da essere rinfacciato questo scritto, tutto questo scritto. Perciò pensaci e pensaci bene ad osservarlo ».
Ma la vittoria sarà di Dio cui il santo si appoggia: «Ma chi così mi parla ? Sì, tu dici bene, ma non sai che di me mai me ne sono fidato, né mi fido, né mi fiderò per aver conosciuta alquanto la mia miseria; ma solo mi fido e spero in Dio ed in Lui spero di poter osservare quanto gli prometto».
La prima promessa e la prima domanda a Dio non può essere che quella di fare in tutto e sempre la divina volontà: « Mio caro Dio, unico Amor mio, oggi e per sempre mi rassegno alla vostra divina volontà ed in tutte le tentazioni e tribolazioni dirò : Fiat voluntas tua! Terrò sempre gli occhi al cielo per adorare le vostre divine mani che spargono su di me gemme preziose del suo divino volere ».
Ma la volontà divina s'incarna nella Chiesa e nei superiori e questi tre termini diventano per Gerardo equipollenti. Dirà spesso nelle sue lettere: «Dio vuole così », quando invece l'hanno voluto la sua regola o i superiori. Perciò il proposito di fare la volontà di Dio si estende all'ubbidienza assoluta alla Chiesa e alla gerarchia della Chiesa: « Signor mio Gesù Cristo, farò quanto la Chiesa Cattolica mi comanda ».
Ai superiori, nella dignità, sono equiparati i sacerdoti, tutti i sacerdoti: « Da oggi avanti tratterò con Sacerdoti con tutto il riserbo possibile, come fossero la persona di Gesù Cristo, riguardando in essi la gran dignità».
Questo amore effettivo alla divina volontà presuppone lo esproprio di se stesso, cioè della propria volontà e del proprio egoismo insomma di tutto ciò che non è Dio: « Sarò povero d'ogni piacere di mia volontà; ricco d'ogni miseria. Non siano più in me queste parole : voglio e non voglio ; vorrei e non vorrei ; ma solo : vota tua, Deus, et non mea ». «Per fare quello che vuole Dio, bisogna che mi stacchi da tutto ciò che non è Dio. Mi scorderò di cercare qualunque cosa per comodo proprio».
L'annullamento vero di se stesso si realizza col desiderio costante di perdersi nel numero, di amalgamarsi con la massa « Non dirò mai bene o male di me stesso, ma farò come se non vi fossi ».
« Ad ogni parola che volessi dire che non sia di gloria di Dio, dirò la giaculatoria : Gesù mio, io t'amo con tutto il cuore ».
« Sarò nemico d'ogni particolarità ».
Una volta spezzate le barriere dell'egoismo, l'amore prorompe esultando all'esterno, abbracciando nel suo circuito il prossimo che è l'immagine stessa di Dio. Tale amore si manifesta prima di tutto nel non peccare verso i fratelli: « Non dirò mai i difetti degli altri, neppure per ischerzo. Sempre scuserò il prossimo; specialmente in sua assenza, considerando in esso la persona di Gesù Cristo, quando veniva innocentemente accusato dagli Ebrei ».
Notevole quest'ultimo pensiero che svolge con coerenza implacabile il grande comandamento del Vangelo. Se il prossimo è Gesù, ne segue che chi mormora contro il prossimo, mormora contro Gesù e, dato che Gesù non può non essere innocente, la sua mormorazione si risolve in una menzogna. Si ripete così nei secoli la menzogna dei farisei che condannarono a morte il Giusto per eccellenza.
Il prossimo, dunque, per quanti delitti possa avere sulla coscienza, può essere colpevole davanti a Dio, ma conserva davanti ai suoi fratelli la propria innocenza. Perciò chi l'accusa, mentiste ed è degno di essere ripreso, qualunque sia la sua dignità: « Avviserò ognuno, ancorché sia il Rettore Maggiore, quando dirà male del prossimo ». Basterebbe questo proposito per darci la misura della forza morale del santo, in apparenza così remissivo. Ma questa forza morale sa manifestarsi con discrezione - e prudenza: «Quando mi accorgerò dei difetti del prossimo, lo avviserò da solo a solo, con voce bassa e tutta carità».
Tale carità, come quella del Maestro, abbraccia l'anima e il corpo, o meglio, sale all'anima per mezzo del corpo: « Quando vedrò qualche bisogno di un Padre o di un Fratello, lascerò tutto per aiutarlo. Basta che non vi sia l'ubbidienza in contrario ». « Visiterò più volte al giorno gli infermi, purché mi venga permesso ».
Dal corpo passando all'anima, il suo pensiero corre naturalmente alle colpe che ne deturpano il candore e al sangue di Gesù che le lava « Le mie orazioni e comunioni siano sempre per i poveri peccatori, unite al Sangue di Gesù Cristo... O mio Dio, vi potessi convertire tanti peccatori, quante sono le gocciole d'acqua del mare, i granelli d'arena, le fronde d'alberi, gli uomini della terra e tutte le creature !».
Ma il lato più affascinante di tale carità è questo : che mentre appare in veste squisitamente soprannaturale, ha sfumature e delicatezze materne : nulla le sfugge. Dove c'è una sofferenza, ivi si manifesta, perché ivi c'è Dio: « Quando so che qualche persona vive come vuole Dio, e non ha forza di patire il dolore, io pregherò Dio per lei, offrendogli anche quanto faccio».
Il precetto di consolare gli afflitti poche volte ha avuto un'applicazione così esatta, generosa e delicata.
Così concepita, tutta la vita di Gerardo diventa una lode perenne al Creatore, scandita, momento per momento, col battito delle proprie arterie. Tutto viene santificato, tutto viene naturalmente rapportato alla sovrana grandezza della Santissima Trinità, perfino quelle che sono le azioni più naturali e istintive della natura. Ecco, p. es., come viene santificato il pasto : prima e dopo, egli dirà: «Tre Gloria Patri alla SS. Trinità e tre Ave Maria alla Divina nostra Madre; nel dividere il pane in ogni fetta: un Gloria Patri; nel bere l'acqua o il vino: un Gloria Patri».
«Al suono delle ore, un'Ave Maria alla Vergine».
Ogni creatura viene osservata sotto la luce di Dio e riportata al suo centro naturale da cui le deriva l'essere: un filo d'erba, un fiore, un uccello. E viene amata per questo carattere sacrale.
Racconta il padre Celestino De Robertis che Gerardo stendeva le mani fuori della finestra e gli uccellini dell'aria correvano a po-sarvisi sopra.
Ma quest'atto di lode salirà più intenso alla Santissima Trinità, quando s'incontra con ùn simbolo o con un'immagine che gliela ricordi : « Alla Santissima Trinità: mi protesto di farvi questa piccola devozione : cioè dirvi un Gloria Patri, tutte le volte che miro croci o pitture d'alcuna delle Tre Persone divine, o in sentirle nominare, ed in principio ed in fine d'azione».
« A Maria Santissima: nell'istessa maniera intendo fare quando vedrò donne, dicendo un'Ave Maria alla sua Purità ».
Queste ultime parole hanno bisogno di essere inquadrate nel contesto. Come Gerardo loderà la Santissima Trinità nel vedere qualche cosa che la ricordi, o la simboleggi qui in terra, quali croci, o pitture, così ancora loderà la purezza della Madonna, quando scorgerà un'immagine che gliela ricordi. Questa immagine vivente è la donna, ogni donna. Ella, la creatura gentile che sotto l'influsso della spiritualità francescana, aveva parlato al cuore della prima grande scuola poetica italiana del « Dolce stil novo », oggi torna a parlare al cuore di questo poeta istintivo con una visione di purezza che rispecchia la purezza stessa della Madre di Dio. è la visione mariale della donna che riflette la luce di Dio, solo perché ritrasmette la luce di Colei che è la creatura più nobile dell'universo per il privilegio della sua Immacolata Concezione.
Ancora una volta la preghiera del mistico s'incontra con l'in-tuizione del poeta in una suprema immagine di bellezza angelicale.