Gerardo a Materdomini
Capitolo Dodicesimo
La permanenza di Gerardo a Materdomini segna l’ultimo periodo della sua breve e santa vita: egli vi andò nel novembre del 17 54. e vi morì l’anno appresso nell’ottobre del 1755. Nondimeno sebbene così breve, fu questo il periodo più luminoso della di lui vita, sia per lo splendore delle grandi virtù che vi esercitò, sia per i numerosi prodigi che vi operò, e sia finalmente per la preziosa morte che vi fece.
Giunto a Materdomini, gli fu assegnato dal Superiore l’ufficio di portinaio del Collegio. Nel ricevere la chiave della porta la baciò e disse: Questa chiave mi deve aprire il Paradiso. E maggiormente ne godette perchè allo ufficio di portinaio era unito anche quello di dispensare l’elemosina ai poveri, per i quali aveva cuore di padre.
Racconta il P. Tannoia che quel Collegio era quasi sempre assediato dai poveri; ve ne accorreva ogni giorno un gran numero, specialmente d’inverno. Ed egli tutti accoglieva con amore e tutti rimandava contenti. Dava a tutti senza eccezione e senza distinzione di persone. Nè si sgomentava che le risorse venissero a mancare. Una mattina finito il pane da distribuire, corse in cucina e prese tutto quello che era preparato per il pranzo della Comunità. Ma Fratello mio, gridò il cuoco, che cosa daremo alla Comunità? Dio provvederà, rispose lui e corse ai poveri con le mani piene di roba. La cosa andò a finire che al momento del pranzo si trovò tanta roba che se ne potè dare ai poveri il sopravvanzo. Aveva poi una speciale carità per i poveri che vedeva anche sofferenti e malati. Per essi vi era sempre il pane bianco, e alle volte anche qualche uovo e frutta speciale: I poveri ammalati, soleva dire, sono Gesù Cristo visibile. Giunto l’inverno del 1754 - 55. Il numero dei poveri crebbe giornalmente fino a duecento, e tra essi donne, fanciulli e vecchi.
Intenerito alla vista di tanta miseria, il Superiore gli disse un giorno: Gerardo, voi dovete pensare a tutti questi poveri: se questa gente non si soccorre è morta: io vi dò tutti i permessi di dare quanto si può.
Ricevuto questo permesso, pensò a vestire quei poveretti e difenderli dal freddo: corse perciò al guardaroba e prese quante più potè sottane e zimarre vecchie; maglie e camicie fuori uso, le fece aggiustare alla meglio dal sarto, e corse a distribuirle, e vedendo che non ancora bastavano, si privò lui stesso di una sottana buona, e rimase con quella vecchia e rattoppata. Vedendo poi che tremavano dal freddo, accese molti bracieri e ve li fece raccogliere intorno per riscaldarsi; prendeva fra le sue le manine gelate dei fanciulli e accarezzandoli, li avvicinava al fuoco. Poveri bambini, diceva, noi abbiamo fatto peccati ed essi ne soffrono la pena. Ma tanta generosità era bastata a far vuotare il granaio della Casa, onde il Superiore gli disse un giorno: Vedi che il grano sta in fine, bada di non far mancare il pane alla Comunità. Dio provvederà, rispose lui e disse al Superiore: andate e osservate il granaio. E fu grande la sorpresa del Superiore nel trovarlo pieno di grano. Allora alzando gli occhi al cielo esclamò: Dio scherza con Gerardo! Tra i poveri che si affollavano alla porteria, vi era un cieco chiamato Filippo Falcone, molto valente nel cantare e suonare il flauto. Un giorno Gerardo gli disse: Filippo, facci sentire una bella suonata. Che volete sentire ? rispose il cieco.
Suona, rispose Gerardo: Il tuo gusto e non il mio, Voglio solo in te mio Dio. (sono le prime parole di una canzoncina che S. Alfonso aveva composta e musicata da poco, e già era molto popolare.) Appena il cieco cominciò la melodia, Gerardo fu preso da sovrumana gioia; fu rapito in estasi e si sollevò in aria con le braccia aperte e gli occhi rivolti al cielo, fra la meraviglia di tutti i presenti. Oltre la moltiplicazione del grano, del cibo e delle vesti per sovvenire i poveri, la divina Provvidenza diede al santo fratello anche la grazia di procurare il denaro occorrente a chi ne aveva bisogno; ed ecco come. Si era in quel tempo alla costruzione del grandioso e monumentale Collegio di Materdomini e vi lavoravano molti operai ed artisti, che venivano pagati ogni sabato sera.
Nel pomeriggio di un sabato Gerardo si accorse che il Superiore era molto afflitto e preoccupato, e gliene domandò il perchè. Allora il Superiore gli confidò che non aveva neppure un soldo per pagare gli operai e aveva deciso di sospendere la fabbrica, Ohi Padre mio, gli rispose, se è per questo, scrivete una supplica a Gesù Sacramentato e giieÌa porterò io. Accettato iÌ consiglio, il Superiore scrisse la supplica e la consegnò al fratello per il recapito. Gerardo la prese e corse subito in Chiesa, salì sull’Altare del Sacramento, e ponendola sulla mensa picchiò, con grande ingenuità e confidenza, alla porticina della Custodia e disse: Signore, vi porto una supplica del P. Superiore, leggetela e datemi subito la risposta. Ciò detto si inginocchiò e si mise a pregare. Dopo un momento sentì suonare il campanello della porteria, andò subito ad aprire e trovò due sacchetti di monete.
Li prese e corse giubilante alla stanza del Superiore dicendo: Padre, vi porto la risposta di Gesù. E vi è ancora un altro prodigio. Essendo una volta addetto alla cucina, accadde che una mattina dopo la Comunione fu rapito in estasi e dimenticò di preparare il pranzo. Giunta r ora della mensa, la cucina era ancora chiusa. Lo cercarono, e trovatolo in Chiesa, Fratello, gli fu detto, sta per suonare la tavola e la cucina è ancora chiusa, come faremo ? Uomo di poca fede, rispose al fratello che così lo sgridava, e gli angeli che debbono fare? Frattanto suonò il campanello del refettorio ed egli apprestò in quel giorno tali vivande che mai prima di allora né i Padri nè i Fratelli avevano gustate. Così questo santo fratello santificava se stesso e spargeva nel Collegio di Materdomini quell’aura soprannaturale di meraviglie e di prodigi di cui si gustano ancora i profumi nei numerosi ricordi dei quali è tutto pieno e imbalsamato il corridoio che è accanto alla di lui stanza.