Basi granitiche
CAPITOLO XIX
Nonostante questi fatti prodigiosi, il Majella era così umile, che i suoi confratelli lo proclamarono "simbolo dell'umiltà ". Ma convinto di essere un gran peccatore, Gerardo si raccomandava alle preghiere di tutti, cercava disprezzi e umiliazioni.
-Mangio il pane a tradimento ... -diceva anche quando si nutriva degli avanzi di tavola. Talvolta incrudiva talmente contro se stesso, da desiderar perfino di scomparir sotterra. Si riservava perciò gli uffici più umili, viveva e vestiva come un mendicante. Ma era pulito, perché la sua anima pura lo induceva a tenere in ordine anche il corpo. Era inoltre così ubbidiente che, secondo la dichiarazione del P. Ripoli al Processo apostolico, poteva chiamarsi "il Santo dell'ubbidienza".
-L'obbedienza deve condurmi al Paradiso... -diceva Gerardo. -La volontà di Dio s'identifica, per me, a quella dei superiori. -Non faceva quindi nulla senza ordine "per non perdere il merito dell'ubbidienza, anche nelle piccole azioni ".
Egli perciò agiva con criterio veramente religioso e cristiano, perché, come scriveva
S. Caterina da Bologna, "l’ubbidienza è più meritoria di qualunque austerità". Egli, come consigliava il Salesio, aveva lasciato, nell'entrare in religione, la propria volontà fuori della porta, per avere solo la volontà del buon Dio manifestata da:i superiori. "Ragionava bene perché, come scriveva il P. Alvarez, "l'ubbidienza è il compendio della perfezione e di tutta la vita spirituale, la via meno laboriosa, meno pericolosa, ma più breve e sicura per arricchirsi di tutte le virtù e per arrivare al fine di ogni nostro desiderio, che è la vita eterna".
Perché incaricato della portieria, il P. Cafaro gli aveva comandato di accorrervi subito al suono del campanello, lasciando immediatamente ogni altra occupazione. Perciò un giorno, mentre si trovava in cantina, il Santo accorse alla portineria con il boccale in una mano e la spina della botte nell'altra. Durante il tragitto incontrò il Venerabile che, al vederlo con quegli arnesi tra mano, gli disse, un po' seccato:
-Va' a infornarti!
Allora Gerardo corse verso il forno per cacciarvisi dentro.
Poco dopo, arrivò il fornaio il quale, nel veder con sorpresa il Majella dentro il forno, voleva farlo uscire.
-Non posso! -osservò Gerardo. Portami prima il permesso del Rettore.
Riferita la notizia al P. Cafaro, costui ne rimase sconcertato, anche perché ricordava di aver, poco prima, veduto il Santo con la spina della botte tra mano.
-Corri alla cantina! -disse quindi al panettiere. -Ciò perché temo che Majella abbia lasciato la botte aperta.
Ma poco dopo, il fornaio tornò a riferirgli che la botte era rimasta aperta, ma non era uscita da essa neppure una stilla di vino.
-Evidentemente Iddio scherza con Gerardo ... -ammise allora il Venerabile. Bisogna proprio lasciar andar secondo lo spirito che lo guida, ma occorre pesar anche tutte le parole perché egli eseguisce tutto alla lettera.
Il Majella ubbidiva però perfino alle intenzioni dei superiori come quando, incaricato dal P. Fiocchi di recapitare una lettera incompleta, egli ritornò presso il superiore,perché costui aveva mentalmente formulato il desiderio di completarla.
-Come mai sei ritornato con la lettera?!
-gli domandò sorpreso e ammirato.
Ma Gerardo si limitò a sorridere.
Per questo e altri episodi; quindi, il buon P. Fiocchi era convinto che bastasse comandare anche mentalmente al Santo per farsi da lui ubbidire perfino a distanza. Difatti, mentre il superiore si trovava presso il Vescovo di Melfi desideroso di veder Gerardo,richiesto da Monsignor se dovesse mandare un corriere per accompagnare il Majella all’ episcopio, il P. Fiocchi rispose:
-Non occorre alcun corriere, Eccellenza, perché basta che io comandi al Majella di venire immediatamente.
-Possibile? -obbiettò Mons. Teodoro Basta.
-Vedrete, Eccellenza, se tra poco egli non arriverà ...
In realtà, appena formulato mentalmente l'ordine di partire, Gerardo si presentò al
P. Ministro per dirgli che il P. Rettore lo chiamava a Melfi. Ottenuto perciò il permesso di partire, Gerardo partì, a cavallo, come un fulmine.
-perché sei venuto?! -gli domandò il Rettore dissimulandone il motivo.
-Sono venuto perché me ne avete dato il precetto davanti a Monsignore ... -rispose l'interrogato. Rivolto poi al Vescovo, soggiunse': -Ma chi sono io, se non un vil verme, un peccatore miserabile, che abbisogna di tutta la divina misericordia? Ammirato della docilità e modestia del Santo, il Vescovo volle trattenerlo per qualche giorno con sé, per edificarsi alla luce dei suoi mirabili esempi. Ma Gerardo ubbidiva anche ai confratelli coadiutori se rivestiti di qualche autorità. Un giorno il fratello addetto alla sovraintendenza della campagna gli disse di “prendere il cavallo per andare ad Accadia a sbrigare alcune faccende". Allora Gerardo prese per la briglia il cavallo e andò a piedi al luogo indicato, dove arrivò al pomeriggio stanco e affamato. Di ritorno poi al collegio,dopo parecchie ore di marcia, richiesto dal Rettore perché fosse rimasto fuori di casa per tutto quel tempo e a digiuno, il Majella ne spiegò la causa parlandogli a testa bassa come un colpevole.
-In quanto al digiuno, -soggiunse non ho potuto sfamarmi perché alla partenza di qui non mi hanno date le vivande con cui ristorarmi...
-Ma benedetto figliuolo! -concluse il superiore sorpreso e ammirato di tanta docilità e infantile ingenuità. -Da oggi in poi, quando uscirai di casa per commissioni di questo genere, userai sempre il cavallo e ti munirai del necessario. Capito?