L’ultima malattia e la morte
CAPITOLO XVII
212. Il Santo rientra sfinito di forze nel Collegio di Materdomini. 213. Né vivere, né morire: vuole solo ciò che vuole Dio. 214. La tentazione 215. Il Santo Viatico. 216.L’obbedienza arresta la morte. 217. Due visioni: cioè due anime a lui amicissime lo precedono in paradiso. 218. Un maestro di musica improvvisato. 219. Patisce col redentore. 220. Il suo corpo già in dissoluzione, tramanda buon odore. 221. Riceve nuovamente il santo Viatico. 222. Miserere mel Deus. 223. Una bella visione. 224. Il deliquio, il turbamento, l’ultimo assalto dei demoni. Un’estasi profonda. 225, L’agonia. La morte . 226. La salma gloriosa per miracoli. 227. Due apparizioni.228. Il funerale. 229. La sepoltura.
212. Di giorno in giorno la vita di Gerardo correva a grandi passi al suo tramonto. L’ultima sosta in Oliveto, le cure usategli dai signori Salvadore, che l’avevano ospitato, e l’aria, che là spira più mite, non gli avevano giovato. La febbre era cresciuta, l’emottisi si ripeteva con più frequenza. Laonde, presago di quanto era per accadergli, volle affrettare il ritorno a Materdomini per morire tra i suoi confratelli. Rientrava nel collegio di Materdomini ai 31 d’agosto circa il mezzogiorno per non mai più uscirne. Al primo incontro, dice il P. Caione dovetti farmi violenza per trattenere le lagrime. Tanto era pallido e smunto! Egli se ne avvide e gli disse: Padre mio, è volontà di Dio, perciò state allegramente, perchè la divina volontà si deve fare sempre con allegrezza. Accorsero i confratelli e tutti gli furono attorno, chi incoraggiandolo, chi dolendosi del grave suo male. Allegramente, ei diceva, allegramente, perché io non fo che la volontà di Dio. Sono lieto di fare la divina volontà e contento di unirmi a Dio. Intanto che lo mettevano a letto, come il Superiore aveva ordinato, ei li pregava che per carità gli ponessero a lato l’ immagine della Vergine e di fronte quella del suo prediletto Crocifisso, ricoperto di piaghe. Volle ancora che appiccassero su la porta della sua stanza una tabella con l’ iscrizione: Qui si sta facendo la volontà dì Dio, come vuole Dio e per tutto quel tempo che piace a Dio.
213. La volontà di Dio, il cui compimento fu sempre l’incessante desiderio di tutta la suia vita, era anche la nota dominante che risonava su le sue labbra in tutto il corso di quest’ultima sua malattia. Signore, si sentiva spesso ripetere, io non voglio altro che fare la vostra santa volontà. - Veniva il P. Caione, e vedendolo tanto soffrire: Gerardo, gli diceva, non vi pare d’essere uniformato al divin volere? - Padre, rispondeva, io mi figuro che questo letto sia per me la volontà di Dio. - L’interrogava il medico Santorelli, se desiderasse vivere o morire. Nè vivere, nè morire, diceva, voglio solo quello che vuole Dio. Da questa piena conformità al divino volere derivava ch’ ei fosse sempre indifferente a qualunque rimedio gli venisse apprestato e sempre pronto a quello che volesse il medico o l’infermiere. La mancanza estrema di forze gli aveva provocata la ripugnanza a qualunque cibo, a qualsiasi medicamento. Nondimeno, al vedere l’infermiere che si appressava per porgerglieli, faceva forza a sè stesso e, sollevandosi dal letto, presentava le labbra per sorbirli. Spesso avveniva che fosse preso dal vomito, e, allora, vinto dalla nausea, posava il capo su l’origliere, dicendo: Oh Dio! non mi fido. Però dopo qualche istante, ripresa la lena, era pronto a riceverli, sebbene fosse persuaso che sarebbero riusciti inutili. La pazienza., di cui aveva dato splendido saggio fin dai primi suoi anni, non gli venne mai meno tra i dolori ed i fastidi del male che già lo riduceva alla fine. “Nella penosa ed ultima sua infermità (così lasciò scritto il canonico Bozio) lo visitai quasi ogni giorno e m’accorsi molte volte che da tempo in tempo alienavasi dai sensi, per ritornarvi tra poco, senza dividersi da Dio . Ma non vidi mai un turbamento nel suo volto, nè mai ascoltai un lamento dalla sua bocca. Giudicai che nel patire volesse rendersi somigliante all’appassionato Signore”. Infatti quella sete di molto patire per meglio assomigliarsi a Gesù Crocifisso, che l’aveva sempre accompagnato negli anni suoi passati, lungi dallo spegnersi, s’era anche più acuita. Per la qual cosa, chi lo guardava, vedeva che le pupille sue erano per lo più fisse al Crocifisso, le cui piaghe gli spremevano le lagrime dagli occhi e dal petto infocati sospiri. O mio Gesù, si sentiva ogni tanto ripetere, quanto ahi! quanto tu patisti per me! Donde poi conchiudeva: Patire, o mio Signore, patire e non morire.
214. A tanta eroicità di virtù il demonio fremette e tentò ancora una volta di scuoterla ed abbatterla. Già dal ritorno del Santo in Materdomini s’era provato a tentarlo, ma s’era sentito respinto quaind’ei gli disse: Brutta bestia, ti precetto, di non molestarmi. Ora che lo vede rifinito di forze invocare nuovi patimenti, permettendolo Dio, per maggior gloria del suo Servo, ritorna a dargli l’assalto con una tentazione tutta nuova, cioè contro la santa purità. “Un giorno, scrivo il il P. Caione, visitandolo, lo trovai un pocu abbattuto e scolorito e gliene domandai il motivo . Egli senza rispondermi subito, prima diede un gran sospiro e poi mi fece capire ch’era stato tentato d’impurità : Io non so, disse, che sia questo: io ho voluto sempre bene al mio Dio”. Riportata la vittoria su questa tentazione, era già maturo per il cielo. L’infermità s’aggravava spaventevolmente; gli sbocchi di sangue si succedevano a brevi intervalli. Allora, sentendosi stremato di forze, restava prosteso sul letto cogli occhi rivolti al cielo. In questo stato trovollo il P. Caione, che intenerito sino alle lagrime, gli domandò: Gerardo mio, dimmi che hai? - Ah! Padre, rispose, ho un gran desiderio d’unirmi al mio caro Dio.
215. E già tutti pensavano che di questa sua unione con Dio il momento fosse arrivato. Era il 5 settembre e tutta la comunità era intorno al suo letticciuolo per fare corteggio al santo Viatico. Il P. Buonanno, ministro della casa, che glielo somministrava, prima di porgergli la sacra particola, la tenne alta, dicendogli: Ecco quel Signore, che vi è padre e che tra poco sarà vostro giudice: rinnovate dunque la fede e fate gli atti che gli son dovuti. Egli riverente ed umile prese a dire : Voi sapete, o mio Dio, che quanto ho fatto ed ho detto tutto l’ho fatto e detto per gloria vostra. Muoio contento nella speranza d’aver solo cercato la vostra gloria e la vostra santissima volontà. Ricevuto il Viatico, volle, dicono i PP. Landi e Tannoia, che gli altri uscissero per qualche tempo dalla sua camera per sfogarsi da solo a solo con Gesù Cristo. Il domani fu trovato assai più aggravato. Alla febbre che lo consumava, si era aggiunta continua traspirazione e dissenteria, per modo che la sua debolezza era divenuta estrema. Nel timore che non passasse la notte, si dispose per amministrargli l’estrema unzione, ma subito le cose cambiarono aspetto.
216. Era giunto un biglietto, in cui il suo direttore spirituale, il P. Fiocchi, avendolo saputo infermo a morte, gli mandava l’ubbidienza di non più vomitare sangue e di star sano. Egli dopo averlo letto, se lo pose sul cuore. - Che vuol dire quella carta? gli domandò il dott. Santorelli che venne allora a visitarlo. - E’ l’ubbidienza, risposo, che mi ha mandata il P. Fiocchi, il quale vuole che non butti più sangue. - Ebbene, quei riprese, che pensi di fare? Ei tacque e, rivolto all’ infermiere gli fe’ cenno di rimuovere la bacinella che raccoglieva lo sputo. Da quel punto l’emorragia cessò. - Ma che importa, diceva il medico, che sia cessalo lo sputo, se continua la dissenteria?- Io ho avuto l’obbedienza, rispose Gerardo, per lo sputo e non per altro. - Allora il Santorelli pregò il P. Garzilli che gli facesse intendere come l’obbedienza dovesse farsi in tutto e non a metà. Ed il Padre , recatosi a lui, Gerardo gli disse, così fai i’ obbedienza? Il Padre Fiocchi vuole che non solo cessi dallo sputo del sangue, ma che sii senza febbre e sano di ogni male ti alzi di letto. - Si, padre mio, rispose chinando la testa, giacchè è così, io voglio ubbidire in tutto. Da quel momento s’arrestò ogni sintomo del male e, ritornato il Santorelli nelle ore pomeridiane, Dottore, gli disse, io domani debbo levarmi di letto, e, vedendo che quegli sorrideva, si, si, aggiunse, domani debbo alzarmi, e se volete darmi da mangiare, io sono pronto. Era stato mandato per l’ammalato dai signori Salvadore d’ Oliveto un paniere di bellissime pesche, e il medico, vedendole sul tavolo, gli disse: Se mi promettete di fare l’ubbidienza del P. Fiocchi, ve ne farò mangiare una. - Si faccia l’ubbidienza, ei rispose, e si dia gloria a Dio. Mangiò quindi una pesca e poi una seconda e poi una terza. Il medico ne concepì timore, ma fu vano. Quando venne a visitarlo il dì seguente, trovò la stanza vuota. Dov’è Gerardo? domandò. Gli fu risposto: In giardino. Allora esclamò: Ah! io non posso spiegare quanto veggo senza un miracolo della santa ubbidienza. Andò poi in giardino e, incontratolo, si congratulò con lui. Signor dottore, ei disse, io sarei morto oggi, se Dio non avesse voluto mostrare quanto gli è cara l’ubbidienza. Sappia però che di questa malattia, ed in quest’anno io morrò. - Questo stesso annunzio diede ai suoi confratelli, che si congratulavano con lui. Iddio, diceva, ha così disposto in me per glorificare se stesso e per autenticare in me quanto può l’ubbidienza: però non passeranno molti giorni ed io sarò nell’eternità. Pur tuttavia non sembrava vero ai suoi confratelli di vederlo sedere a mensa con loro e seguire tutti gli esercizii della comunità, senza febbre, senza sputi di sangue, senza alcun altro dei segni, che avevano fin allora accompagnato il morbo mortale. Intanto in quei giorni di sosta del male crudele ei, come sano, conversava e trattava coi suoi confratelli e cogli estranei. Nelle quali conversazioni e trattazioni successero alcune cose, le quali sono degne di essere menzionate.
217. Il 14 settembre, tutto ad un tratto rivolto al suo confratello Stefano Sperduti, gli disse: Caro fratello, non sai che oggi la madre Maria Celeste Crostarosa in Foggia è passata a godere il premio del suo grande amore a Gesù ed a Maria? Qualche giorno dopo giunse la lettera al P. Caione, che annunziava la morte della Venerabile, avvenuta nel giorno da lui indicato. - Pochi giorni dopo si presentò a lui un certo Erberto Caifi per recargli i saluti dell’arciprete Salvadore d’Oliveto; ma prima che parlasse, ei gli disse: L’Arciprete è assai addolorato per la morte del padre. - Com’è possibile, quei rispose, se, partendo da Oliveto l’ho veduto sedere tra i suoi pieno di vita? Eppure, riprese, io ti dico che è morto or ora d’apoplessia. Va dunque, soggiunse, e dì all’arciprete che si rallegri, perchè suo padre non ha neppure toccato il fuoco del purgatorio. Questa notizia, portata a quell’ottima famiglia, ne convertì il lutto in una gioia serena.
218. Anticipiamo qui il racconto di un altro fatto, che avvenne più tardi quasi alla vigilia della sua mortoe. Dal Comune di S. Andrea di Conza mosse il P. abate D. Prospero dell’Aquila, autore del dizionario teologico portatile, e passando per Oliveto si unì al medico Giuseppe Salvadore ed andarono insieme a fargli una visita per edificarsi ancora una volta ai santi esempi e discorsi di lui. Come furono arrivati al collegio di Materdomini, senza por tempo in mezzo, salirono nella sua stanza, lasciando fuori della porta il pedone che li aveva accompagnati. Gerardo, che non vedeva quel contadino, nè aveva saputo della sua venuta, interruppe per un istante il discorso coi visitatori, per dire che lo facessero entrare. Il contadino rimasto alquanto timido, per trovarsi al cospetto di colui, che per la via aveva udito celebrare quale gran santo, prendendo poi più animo, girò lo sguardo all’intorno e lo fermò ad osservare con maggiore curiosità un gravicembalo, che era stato là posto per sollevare talvolta l’ammalato, perchè di quegli strumenti non aveva mai veduto. Accortosi del suo stupore, Gerardo l’invitò a toccare la tastiera, dicendogli che ne avrebbe udito belli suoni. Sebbene sul principio il contadino vi si rifiutasse, pure agli ordini del medico e dell’abate obbedì, e postosi a sedere incomiuciò a muovere le mani sopra i tasti. Una dolcissima armonia ricreò gli astanti e, come poscia deposero i testimoni nei due processi, il contadino asserì d’aver sentito una forza invisibile che gli moveva le dita. Era senza dubbio la forza degli angeli che preludiavano alle sinfonie celesti che tra pochi giorni avrebbero accolto il Santo nel paradiso.
219. Era il giorno 4 Ottobre e Gerardo, incontratosi col medico Santorelli, gli disse: Dottore, io ho fatto l’obbedienza; ma vi dissi che ben presto doveva morire, il tempo è arrivato e non vi è più rimedio. Il giorno seguente videsi già obbligato a rimettersi in letto. La malattia presentò di nuovo tutti i sintomi di una estrema gravità, essendo accompagnata da grande affanno di petto, da tenesmo e da ardentissima febbre . Postosi a letto, non ad altro più applicossi che a prepararsi alla morte. Era stata mai sempre ardentissima sua brama partecipare ai dolori di Gesù confitto alla croce. Ma venuto all’ultimo della vita, ei chiese la grazia di provare in sè le pene interiori ed esteriori durate dal Redentore nell’estrema agonia. Quest’eroica preghiera fu esaudita, e gli estremi suoi giorni equivalsero ad un lungo ed indicibil martirio. Per quanto egli fosse oltre ogni dire attento a non rivelare quello che si passava tra il cielo e lui, pure non valse a nascondere qual mistero di dolore in lui compivasi. Una volta, parlando al Crocefisso, esclamò: Ah! Signore, aiutatemi questo purgatorio in cui mi avete posto. Il medico, entrando in camera in quel punto, ascoltò cotali parole, e lo richiese del loro significato, al che rispose; Medico mio, ho cercato in grazia a Gesù Cristo di patire per amor suo, ed il Signore si è compiaciuto esaudirmi. Assaggio il purgatorio in questa vita e mi consolo che dò gusto a G. Cristo. Simile manifestazione fece al sacerdote D. Gerardo Cifone della terra di Ricigliano, che era venuto a consultarlo: perchè, ,avendolo quegli interrogato quali fossero i suoi patimenti, con la solita ingenuità rispose: Io sto sempre dentro le piaghe di Gesù Cristo e le piaghe di Gesù Cristo stanno in me. Patisco continuamente le pene e i dolori della passione di Gesù Cristo. Questi misteriosi patimenti, che già da vari anni lo avevano ogni venerdì fatto agonizzare, quantunque fossero in tutta quest’ultima malattia continui, non facevansi però sentire nella loro intensità, che per lo spazio di tre ore. Allora, sentendosi nel colmo del martirio, egli si trascinava sotto il gran Crocifisso tutto lacero e insanguinato, che dal dì del suo ritorno da Oliveto aveva fatto porre di fronte al proprio letto, e ivi passava con Gesù agonizzante quanto poteva delle tre ore della sua dolorosissima agonia. Era uno strazio a vederlo là sotto la Croce, col petto ansante, col volto ricoperto di mortale pallore, alzare gli occhi lacrimosi per rimirare le piaghe del suo diletto e dirgli: Io patisco assai, ma tutto è poco, o mio Gesù, per voi che moriste in croce per me. E perciò, quando il medico e i suoi confratelli si mostravano solleciti di riporlo a letto per non vederlo patire maggiormente, ei diceva: Ah! io non patisco niente: patisco piuttosto, perchè non patisco per Gesù Cristo. Né si commovevano meno le viscere degli astanti, quando lo vedevano penare, perché la comunità si prendeva cura di lui. Io sono, diceva, un soggetto inutile e non degno di tanto. S’affliggeva molto per le spese che si facevano per la sua malattia. Medico mio, diceva al Santorelli, non interessate tanto la comunità con le replicate medicine che prescrivete, perchè io sono niente e nessun lucro porto alla comunità. E poiché il medico gli diceva che non pensasse a questo. No, no, Dottore, rispondeva: che utile ho io portato alla Congregazione? perchè essa s’ha da dispendiare per me?
220. La dissenteria aggiunta alla febbre accelerava frattanto la dissoluzione delle membra. Nondimeno, con stupore di tutti, l’aria della sua stanza odorava. E qui si deve notare come spesso fosse stato avvertito, che Gerardo spirasse dalla sua persona una soave fragranza. “La stanza di Gerardo, scrive il P. Caione, odorava di Paradiso, e mi attesta D. Giuseppe Salvadore, che quando venivano Olivetani a trovarlo, andavano alla sua stanza per l’odore che usciva da lui”. Un fratello laico, che abitò con lui in Materdomini, lasciò scritto: “Il suo corpo, i suoi panni e tutta la sua stanza mandavano un odore grande e straordinario. Non sapendo io distinguere che odore fosse, gli dissi un giorno: Fratello Gerardo, voi portate odori addosso contro la regola; ma egli mi disse di no. Io però, sentendo sempre più l’odore, per mio scrupolo l’andai ad accusare al P. Rettore; ma questi mi disse che fratello Gerardo aveva da Dio grazie grandi, senza dirmi altro. Appresso facendo io riflessione, vidi che odorava la marcia ed il sangue che dalla bocca scaricava. Però i maggiori suoi dolori e patimenti erano nel giorno di venerdì ed allora era più acuto l’odore”. Per la qual cosa non faceva meraviglia, che in questi ultimi giorni, quando l’aria della stanza doveva essere corrotta e puzzolente, ei tramandasse tal grato odore, da vincere qualsiasi profumo terrestre. Era Dio che rinnovando con lui il prodigio alcune volte operato con S. Giuseppe da Copertino e con altri santi, volle così attestare l’ illibatissima purità del fedele suo servo. A quest’odore di paradiso vennero poi ad aggiungersi le melodie degli angeli. “Il giorno precedente alla notte in cui morì, scrive il P. Caione, si udì nella sua stanza un’armonia celeste, che imparadisava”.
221. Era il giorno di S. Teresa e al medico, che venne a visitarlo di buon’ora: dottore, disse, raccomandatemi a S. Teresa e fatevi la comunione per me. Chiese allora il santo Viatico che gli fu portato. Gli astanti serbarono di questa cerimonia incancellabile memoria. Quantunque usi a vederlo sempre divoto ed ardente ogni volta che riceveva la comunione, pure provarono questa volta un ineffabile sentimento di ammirazione. Fu deposto nel processo apostolico che tutti allora esclamassero: E’ un angelo, è un serafino che si unisce alla divina essenza! Quasi per menar seco nel sepolcro la ricordanza dell’ ultima visita fattagli allora dal sacramentato suo Bene, il santo moribondo chiese il corporale sul quale era stata l’ostia sacrosanta e, postoselo sul petto ve lo ritenne fino all’estremo anelito.
222. S’avvicinava la notte e, rivolto al fratello Stefano Sperduti, che veniva a visitarlo: Fratello mio, gli disse, stanotte debbo morire. Vestitemi che voglio recitare l’ufficio dei morti per l’anima mia. Con questa scienza delle sua prossima fine, “non si può esprimere, dice il P. Laudi, con che fervore di spirito e con quali sentimenti di umiltà si andasse preparando alla sua comparsa innanzi e al divin Giudice. Egli era di una coscienza purissima ed aveva conservata illibata la stola della sua battesimale innocenza; ma sette o otto ore prima di morire seduto sopra il letto si pose a recitare il salmo Miserere con tanta divozione ed umiltà, che inteneriva il fratello che l’assisteva. Diceva prima adagio, con enfasi grande, un versetto, e poi faceva un atto di contrizione, e le lacrime uscivano dagli occhi in gran copia; ma più di ogni altro ripeteva il versetto : Tibi soli peccavi et malum coram te feci: e quell’altro: et a peccato meo munda me. Proferiva quelle parole con voce flebile, sospirando profondamente e piangendo, con idea così alta di Dio e della sua infinita santità, che riempiva di un sacro orrore il fratello assistente”.
223. Dopo questa scena commovente, di repente s’accese nel volto, e rivolto al fratello Andrea d’Antona che l’assisteva, accennò col dito un canto della stanza e gli disse: Guarda, fratello, guarda quanti abitini stanno intorno alla stanza! Che visione fosse questa nol sappiamo; ma soggiunge il P. Laudi, “che Gerardo ebbe sempre grandissima divozione alla Madonna del Carmine e quindi molto zelò la propagazione del santo scapolare”. Dopo di ciò annunziò l’ ora precisa della sua dipartita. Imperocchè avendo saputo dal falegname Filippo Galella, che tornava spesso a visitarlo, essere già l’ora dell’Ave Maria serotina: Dunque, esclamò, sette altre ore e poi basta. In questo mentre entrava in camera il Santorelli, e malgrado le grandi sofferenze e l’estrema spossatezza dell’infermo, giudicò non essere così imminente la morte di lui. Quando poi fece le mosse di partire, Gerardo, conscio dell’imminente sua morte, contro l’ usato, lo pregò a restare seco. Ma, allegando il Santorelli a scusa il dover visitare altri infermi, egli non insistette di vantaggio. Nel dì seguente fu sommo il rammarico del buon medico per non aver annuito alla domanda del santo infermo, e capì d’aver tardi compreso, come quegli lo avesse desiderato presente al suo beato transito.
224. Intanto, perchè nessuno ne credeva vicina la morte, la comunità dopo l’esame della sera, andò al riposo, restando a guardia il fratel Saverio d’Auria, il quale lo vegliò attentamente. Verso cinque ore di notte egli svenne. Subito che si riebbe, si turbò e tutto agitato esclamò con impeto: Presto, presto, fratel Saverio, caccia questi milordi da qui. Che vanno facendo questi due guappi? L’infermiere capì che trattavasi di due demoni colà convenuti. Era stato sempre figlio carissimo a Maria, e la dolce Madre non poteva mancargli di aiuto in quegli estremi momenti . Ritornò la pace su la sua fronte ed esclamò: Ecco la Madonna, facciamole ossequio. Ciò detto fu assorto in estasi profonda. In questi ultimi momenti i suoi sguardi non si distornarono dal gran Crocifisso e dal quadro di Maria SS.ma. In tutto quel tempo non cessava di invocare i santissimi nomi di Gesù e di Maria e ripetere atti di fede di speranza, di contrizione e di amore. “Dio mio, esclamava, io voglio morire per dar gusto a Voi: voglio morire per fare la tua santissima volontà”. E quando più non potè articolar parola, il movimento delle labbra mostrava abbastanza chiaro, ch’egli continuava con interno slancio nei medesimi santi atti, specie di contrizione e di amore. Esalava allora dal cuore, dice il P. Landi, certi sospiri veementissimi, che infervoravano il fratello assistente.
225. Mezz’ora prima di morire, Gerardo richiese d’un poco d’acqua il fratello Saverio, il quale andò subito a cercarne; ma essendo chiusa la porta del refettorio, gli fu forza tardare alquanto. Tornato nella stanza, ritrovò l’infermo coricato di fianco vòlto contro il muro. Credette che riposasse. Dopo pochi minuti lo vide voltarsi sull’altro lato e l’udì mandare un profondo sospiro, il che lo rese avvertito che era entrato in agonia. Subito allora volò a destare un altro fratello e il P. Ministro Buonamano. Questi accorso, trovò Gerardo già boccheggiante, e mentre gli dava l’ultima assoluzione, l’anima di lui spiccava il volo al cielo. Essa erasi sciolta dai vincoli del corpo, disse nella sua deposizione giuridica il P. Camillo Ripoli, più per veemenza dell’amore, che per forza del male. Erano le ore setto e mezzo di notte, il 15 ottobre 1 755. Contava di età anni 29, mesi 6, e giorni 9: di Congregazione anni 5, mesi 5, giorni 15. Aveva desiderato di morire di febbre etica e senza assistenza di alcuno, e Dio lo aveva esaudito, permettendo che la vigilanza della comunità restasse delusa.
226. Spirato che fu, esalò subito dal corpo un effluvio così grato che fè stupore a tutti. Senza indugio il P. Buonamano no fece vestire da’ fratelli il cadavere, indi pel gran concetto che aveva della santità di lui, lo salassò in un braccio, sperando che ne uscisse vivo sangue. La sua speranza non andò fallita. Laonde pieno di consolazione fece suonare la campana per svegliare la comunità. A questa adunata disse che voleva ritentare la prova, che però pregassero prima e si facessero la disciplina per ringraziare Dio e la Vergine del felice passaggio del confratello, e per impetrare che anche la seconda prova avesse, come la prima, buon esito, il che sarebbe stato di gloria di Dio e del suo Servo. Gli fu obbedito, e poi tutti convennero nella stanza del defunto. Erano le 9 e mezzo di notte: e P. Buonamano, fatto alzare il braccio destro dell’estinto, prese a dire così: Gerardo, voi siete stato sempre ubbidiente. Ora vi precetto in nome della SS. Trinità a dare segno delle vostra virtù ed operare qualcheduno de’ vostri prodigi soliti. Ciò detto prese un rasoio e gli aprì la vena. Ne spiccò sangue in abbondanza. Tutti corsero ad inzupparne dei pannolini, che poi furono distribuiti la mattina a molti devoti che se ne mostrarono bramosissimi . Siffatto straordinario avvenimento, come è agevole immaginare, destò in tutta la famiglia religiosa la più sentita consolazione. Quando poi al fare del giorno si volle annunziare col funebre suono delle campane la dipartita di lui dalla terra, il fratel Carmine Santariello, invece di suonare a morto, suonò a festa, come ne’ giorni di maggior solennità. A tale inattesa dimostrazione, fratel Gennaro corse a rimproverarlo; ma quegli confessò di non aver potuto resistere a certo interno impulso, che lo spingeva a così operare.
227. Nel tempo che tutti della casa s’aggiravano attorno alle fredde spoglie del Santo, il suo spirito, già sublimato ai gaudi eterni, appariva a più persone. “Abbiamo, scrive il Tannoia, per attestato di persona di santa vita, devotissima di Gerardo, che le apparve, appena spirato, tutto giulivo, vestito della solita sottana; ed apparendole di nuovo in seguito, si fece vedere riccamente vestito e risplendente di gloria. Animò questa persona a voler patire per Gesù Cristo: Iddio, le disse, premia copiosamente in cielo i piccoli travagli che per amor suo si soffrono in terra. Comparve ancora, spirato che fu, al nostro P . D. Pietro Paolo Petrella, manifestandogli la gloria che già godeva in cielo”.
228. La nuova della beata morte si sparse in un baleno per la contrada, e tosto una moltitudine incredibile di popolo accorse per vedere ancora una volta e venerare il corpo di colui, che tutti proclamavano santo. Questo corpo, già la mattina di buona ora, era stato esposto sul cataletto in chiesa, entro cui, appena aperta, si riversarono ricchi e poveri, ecclesiastici e regolari, che a turba e indistinti corsero a prostrarsi presso il funebre letto. Uno ne rammentava una profezia avverata; un altro un miracolo. Chi parlava di cose occulte da lui conosciuto: chi di conversioni strepitose da lui operate. Tutti poi ad una voce ne magnificavano le virtù e la vita, in tutte le cose ammirabile . I poveri sopra ogni altro piangevano, e tra singhiozzi, alcuni di essi gridavano: Abbiamo perduto il nostro padre, il nostro benefattore. Chi poteva più contenere l’entusiasmo di devozione suscitatosi in quel popolo commosso? Avido ognuno di procurarsi una reliquia del santo defunto, si spinsero perfino a tagliargli i capelli e a mettergli in brani le vesti . E per impedire che l’indiscretezza andasse più innanzi, fu d’uopo porre delle guardie accanto al feretro. In mezzo a tanta moltitudine di popolo, si celebrarono nella stessa mattina del 16 ottobre con l’intervento del clero secolare e regolare i divini uffizi in suffragio dell’anima del defunto.Il Padre D. Francesco Garzilli, tanto devoto di Gerardo, cantò la messa, ed il P. Francesco Buonamano, allora superiore in casa, perchè il Caione era assente, recitò tra le lagrime di tutti, l’elogio funebre in commendazione delle eroiche virtù del Servo di Dio.
Per soddisfazione dei fedeli, che continuavano ad accorrere in gran numero dai vicini paesi, fu deciso lasciare insepolto il santo corpo per due giorni. A migliaia vi accorsero persone anche di lontano, liete di poter vedere e contemplar Gerardo un’ultima volta. Non mai per l’addietro erasi veduta tanta gente in Materdomini. Anche i nuovi venuti gareggiavano a chi prima potesse avere qualche reliquia del Santo, e disputavansi con ardore i fazzoletti toccati alla mortale sua spoglia.. Con somma venerazione venivano asciugando le stille di sudore, che continuavano a scorrere abbondanti dal volto di lui.
229. Finalmente la salma fu sepolta. Lo stesso giorno della sepoltura, il P. Buonamano, prevedendo come sarebbe venuto il dì, in cui il Servo di Dio sarìa stato elevato all’onore degli altari, fece redigere come un processo dei prodigi avvenuti tra la morte e la deposizione di lui, per mano del notaro sig. Giuseppe Fungaroli. Oltre il Padre Buonamano e il P. Strina, e dieci fratelli laici, allora componenti la religiosa famiglia di Materdomini, ben altri dieci abitanti del luogo furono chiamati a deporre le loro testimonianze. Ciascuno attestò con fede giurata, ed il notaro estese l’atto, che trovasi nel processo della beatificazione, ed è del tenore seguente: “I testimoni testificano con giuramento qualmente, essendo passata da questa a miglior vita la beata anima di fratel Gerardo Majella in questa casa di S. Maria, Materdomini, e proprio ad ore sette e mezza di notte, per essere subentrato il giorno di giovedì, sedici del corrente mese di ottobre 1755, quale avendo sortito una morte prodigiosa corrispondente alla buona ed esemplare vita, che il detto Servo di Dio ha menato, segnalata dall’infinita bontà del Signore con tante grazie, è paruto espediente ai detti Padri di fare qualche osservazione intorno al suo cadavere: siccome infatti esso R. P. D. Francesco Buonamano avendo precettato con ubbidienza, in nome della SS.ma Trinità e di Maria SS.ma, al suddetto fu fratel Gerardo, che avesse dimostrato qualche segno dei suoi soliti prodigi a maggior gloria di Dio, subito, fatto detto precetto, il cadavere del suddetto Servo di Dio, avendogli con un rasoio aperta la vena del braccio destro, cacciò sangue in abbondanza dentro un bacile, da mezzo rotolo in circa; e ciò seguì tre ore dopo il passaggio di sua vita e propriamente dentro la sua stanza. Dopo di che essendosi trasportato il suo cadavere in chiesa, lo stesso giorno di giovedì, la mattina, con invito del Reverendo Clero della chiesa parrocchiale di S. Lorenzo della ridetta terra di Caposele, fecero celebrare le esequie con messa cantata e Libera etc., e rimase il cadavere in chiesa insepolto. Il giorno seguente poi, venerdì 17 del corrente ottobre, che si computavano ore trentacinque dopo la sua morte, avendo fatta nuova osservazione intorno al cadavere, hanno veduto ed osservato non senza ammirazione, che dalla stessa vena tramandava vivo sangue e sudore copioso nella fronte; di modochè di continuo lo rasciugavano con fazzoletti, come anche testificano ... Alessio di Masi... Lorenzo Cleffi ... ; ed essendosi fatta nuova osservazione al cadavere ... verso le ore 19 di detto giorno di venerdì 17 del corrente, in presenza di me infrascritto notaro e Giovanni Ilaria, giudice a’ contratti, si è veduto che dal braccio destro del ridetto Servo di Dio usciva vivo sangue e dalla fronte si tramandava vivo sudore; ed il sangue che scaturiva dal braccio destro, si faceva cadere in un bacile che teneva il detto P. D. Andrea Strina; oltre poi la flessibilità di ambedue le braccia ..... Laonde tutti i circostanti testificanti ed altre persone che sono accorse nella Chiesa, hanno avuto la divozione .... di avere alcune pezze di tela intrise nel sangue o ritagli dell’abito, per conservarne la memoria con la devozione del detto Servo di Dio. Che della verità richiesti hanno fatto il presente atto .....”·