Seconda vocazione
CAPITOLO XXII
Straordinario il Majella anche nelle sue sante relazioni avute con Religiose per condurle alla perfezione, benchè laico; eccezionale pure nell'arricchire di nuovi germogli le mistiche fiorite dei chiostri con il favorire le vocazioni alla vita contemplativa.
Perché umile, innocente e docile ai Superiori, il Santo esplicò provvidenzialmente questa singolare missione, che può considerarsi come una sua seconda vocazione. Non solo i Superiori approvavano questa sua iniziativa evidentemente ispiratagli dal Signore, ma perfino Vescovi lo invitavano a far rifiorire, con il suo benefico influsso, la pratica dell'Osservanza in certi Monasteri della loro diocesi.
I consolanti risultati che si conseguivano erano del resto le prove più convincenti, che tutto ciò fosse voluto da Dio sempre ammirabile nei suoi Santi.
Il Majella, come si è detto, provava quasi venerazione verso le Religiose, perché "spose di Cristo" e quali "rappresentanti della divina Madre".
Con questi sentimenti, egli considerava specialmente le Superiore, come la M. Maria di Gesù Priora del Carmelo di Ripacandida, con la quale trattava "seraficamente ". Anche le altre Suore scoprivano, mediante le illuminate parole del Santo, segreti prima di allora sconosciuti e atti ad agevolar loro il cammino per le vie di Dio. Perciò molte di esse ebbero licenza di scrivergli lettere, a cui egli dava riscontro con risposte, che sono documenti di soprannaturale prudenza.
perché Gerardo desiderava che le Religiose si santificassero per rendersi sempre più accette al loro celeste Sposo, pregava per esse, a cui pure si raccomandava, affinché lo ricordassero nelle loro orazioni.
Le conversazioni, ch' egli teneva con loro al parlatorio, con licenza e spesso per invito del Vescovo, erano così gradite ed edificanti, che il Vescovo di Muro le giudicava "più efficaci di un intero quaresimale". Allora Gerardo sembrava alle Suore "un Angelo del Cielo"; il suo aspetto mortificato e il viso modesto infondevano nei loro animi sentimenti di rispettosa ammirazione.
Una volta, nel parlar loro di Gesù, egli andò in estasi e la grata, presso la quale parlava, divenne incandescente. Talvolta preannunciava il futuro come quando, pregato d'intercedere presso Dio per una Carmelitana gravemente ammalata, egli assicurò la Comunità che la Suora non sarebbe morta "perché aveva bisogno di progredire nella perfezione ". Così infatti avvenne, contro ogni umana previsione, e la rediviva diventò molto più fervorosa di prima.
Quando invece quella Comunità ebbe il divieto di trattare anche con lui, in risposta a una lettera della Priora egli promise di attenersi a quella disposizione, "perché sempre disposto a far perfettamente la volontà di Dio come Egli voleva, dove voleva e quando voleva ".
Il Santo era così umile e ubbidiente verso i Superiori che, come testimoniò una Carmelitana al Processo, mentre egli si trovava al Monastero con il P. Fiocchi, costui lo fece allontanare dicendogli: "Esci, faccia diabolica "!
A queste parole così strane e umilianti, il Majella ubbidì senza protestare, ma mentre egli se ne andava, il Superiore disse alle Carmelitane presenti :
"Gerardo ha invece la faccia di Gesù crocifisso ".
Egli rimase perciò come "speciale avvocato di quelle contemplative, che continuarono a raccomandarsi fiduciosamente al suo patrocinio.
Anche la ven. M. Celeste Crostarosa, Superiora del Conservatorio SS. Salvatore di Foggia, stimava il Majella quale santo e lo considerava come un angelo specialmente dacché, su di una lettera diretta a lei, le scriveva: "Desidero amare Iddio, star sempre con Dio e far tutto per Lui". Da allora cominciò, anzi, a consultarlo come un oracolo. La relazione del Santo con la Venerabile era edificante come quella di S. Teresa di Avila con S. Giovanni della Croce e S. Pietro di Alcantara.
Anche i Vescovi diocesani perciò, come Mons. Faccoli e il suo successore Mons. Marco de' Simone, stimavano il Majella per la grazia celeste che aveva di far avanzare le Religiose per la via della perfezione. Essi quindi lo incaricarono di tener loro qualche conferenza spirituale, con cui, come scriveva il biografo Landi, "animava quelle Religiose all'acquisto delle più sode virtù, alla regolare Osservanza e all'amor di Dio" .'.
Le stesse Suore dichiararono al Processo, che "la sua parola ingenerava rassegnazione e faceva sospirare i beni del Cielo. Quando egli parlava di Gesù e della Madonna, il suo cuore era come un vulcano di amor divino e il suo viso pareva quello di un angelo disceso dal Cielo per parlare alle anime".
Indimenticabile l'estasi da lui avuta nel 1753, quando, nell'uscir dalla cella di una Suora inferma, aveva udito cantare i Vespri a onore della SS. Trinità. Dominato allora da potere estatico, il Santo aveva attraversato il chiostro quasi di volo ripetendo quei versetti e poi, nell'incontrare la Comunità di ritorno dal coro, gridò:
-Oh, Sorelle, amiamo Dio! Amiamo Iddio! -E a questo grido, proferito con gli occhi rivolti al Cielo, egli si alzò dal suolo come se avesse avuto le ali.
Presso quel Monastero, egli operò anche vari prodigi: con un segno di Croce guarì una conversa moribonda e una educanda già spedita dai medici.
Mentre parlava alla Comunità, presente la Superiora, lodò una Religiosa perché si confessava spesso e poi la esortò all'unione con Dio, perché ormai prossima al premio celeste. perché la Suora era ancor giovane e vegeta, ella rimase sorpresa per queste parole, ma il Santo replicò che, passata appena una settimana, sarebbe volata al Cielo. La Religiosa si preparò quindi il meglio possibile al gran passo, che si effettuò precisamente come aveva predetto Gerardo.
perché la educanda Geltrude de' Cecilia non si era ben confessata, prima ch'ella andasse alla Comunione, il Majella la invitò al parlatorio per manifestarle il peccato che non aveva accusato, perché non aveva fatto bene l'esame di coscienza. La esortò quindi a fare una Confessione generale. Dubitosa che questa fosse insufficiente per la Comunione, Geltrude divenne scrupolosa e si angustiava.
Conosciuta supernamente la critica condizione di lei, Gerardo la visitò nuovamente per rassicurarla che la Confessione generale era stata precisa e gradita a Dio. Ma quantunque buona e devota, la educanda non pensava di consacrarsi al Signore; desiderava anzi ritornare a casa, ma il Santo le disse eh' ella non doveva uscire dal chiostro per i pericoli del mondo e che, comunque, a esso avrebbe dovuto ritornare se l'avesse abbandonato. Geltrude quindi rimase e fece la Professione; ma poi, per curarsi di una malattia, ritornò al paese natio, dove divenne infedele alla grazia. Memore della previsione del Santo, ne pianse e ritornò subito al Monastero, dove visse religiosamente fino al 1830, dopo avere esaltato la santità del suo insigne benefattore.
Il Majella ebbe anche rapporti con le Benedettine di Atella mediante il P. Fiocchi e consenziente il Vescovo di Melfi, che gli raccomandava di averne cura come delle Carmelitane di Ripacandida. Anche quelle Religiose corrisposero alle sue lettere e conferenze spirituali per la sua mediazione, molte giovani entrarono in quella Badia.
A Sr. Maria Cianci, che il Santo aveva incontrata durante la fanciullezza di lei, predisse nel 1754, che si sarebbe fatta benedettina. Ospite dei suoi generosi genitori, il Majella aveva voluto pranzare presso quella fanciulla perché, come diceva, "si sarebbe fatta Monaca". Il fatto si verificò dopo la dipartita del Majella, quando la Cianci, divenuta religiosa, "si vantava di aver mangiato con un Santo ".
Zelante nel favorire e sviluppare le vocazioni allo stato religioso, perché animato da carità cristiana e cultore insigne della perfezione, Gerardo compiva questa provvidenziale missione per disposizione di Dio, ma il re della menzogna, cui dava fastidio questa sua opera altamente benefica, suscitò contro di lui una bufera di fango, che ne rese ancor più radiosa la incontaminata figura di angelo terrestre.