Messaggero celeste
CAPITOLO XXI
Agli albori del 1754, dopo il suo ritorno a Deliceto, Gerardo fu mandato a Lacedonia per farvi cessare una doppia epidemia': quella del contagio e l'altra dello scandalo che imperversavano a danno della salute fisica e del bene delle anime.
perché a Lacedonia lo si ricordava per la sua invitta pazienza sopportata al servizio del defunto Vescovo e specialmente per il prodigio avvenuto al pozzo, il Majella fu accolto in città come un celeste messaggero. Tutti desideravano rivederlo per parlargli e ascoltarlo, ma egli preferiva i poveri e i malati che confortava o disponeva ai Sacramenti, affinché conquistassero il Cielo.
Invitato dall'arcidiacono D. Sapomero in pericolo di morte, il Santo gli disse :
-Date gloria a Dio, perché siete risanato!
"Così dicendo, attestava lo stesso arcidiacono, mi segnò con il pollice destro una Croce sulla fronte e io rimasi veramente, guarito".
Gerardo guarì anche il fratello di lui pure in gravissime condizioni. All'udirlo esclamare "benedetto sia Iddio! ", il Majella disse al malato:
-State allegro, perché non avete più febbre!
Il Santo risanò pure un ammalato di nervi, che gemeva da tanto tempo a letto, perché nessuno era mai riuscito a guarirlo. Ma Gerardo tracciò un segno di Croce su di lui e gli disse:
-Nel nome di Dio, alzatevi per venir con me a confessarvi in chiesa!
Allora l'altro ubbidì prontamente ed ebbe la gioia di trovarsi veramente sano di corpo e di anima.
Poco dopo, il taumaturgo guarì anche la demente Lelia Coccia, che straparlava oscenamente. "La guarigione -come assicurava un testimonio al Processo, -fu perfetta".
Pure con un segno di Croce, Gerardo rese eccellente una botte di vino guasto, che apparteneva alla famiglia di Gregorio.
Con questi favori temporali, il Santo si apriva la via all'azione apostolica per la conversione dei traviati. Li cercava ovunque per ammonirli delle acute loro colpe ed esortarli alla emenda dei loro vizi. Così cessarono gli scandali e tanti "figli prodighi" ritornarono provvidenzialmente alla "Casa paterna" per non morire di miseria e di fame.
Basterà qualche fatto.
Pregato da una signora di convertire il marito scandaloso e impenitente, Gerardo riuscì a cambiarlo da lupo rapace in un mansueto "agnello". Lo indusse a far gli Esercizi spirituali a Deliceto e, al suo ritorno, quell'uomo divenne la edificazione del prossimo e la felicità della famiglia, come assicurano i biografi del Santo.
Accorso poi al capezzale di uno scettico che rifiutava i Sacramenti, il Majella invocò fiduciosamente la "Speranza dei peccatori" con la recita dell'Ave Maria. Dopo questa preghiera, quel cuore di bronzo si ammollì e mediante la Confessione il convertito concluse bene una vita, che altrimenti sarebbe sfociata nella perdizione eterna.
Perfino un sacerdote, ormai abituato a celebrare sacrilegamente, fu con energia richiamato al dovere dal Majella, che gli precisò i peccati di cui era reo, per indurlo a confessarsene. Dopo quella provvidenziale ammonizione, come si deduce dal Processo dell'Ordinario, quel prete divenne il più esemplare di tutti e attribuiva la propria conversione al Santo.
Ospite poi di Costantino Cappucci, Gerardo illuminava Lacedonia con la luce dei suoi virtuosi esempi, perché si vedeva in lui il Santo, la cui conversazione era in Cielo.
"Ma benchè trattasse con tutti, -scriveva il Tannoia -non perdeva mai di mira nè Dio, nè se stesso. Le sue fervorose aspirazioni erano frequenti e le sue azioni tutte compiute per il Signore. Tante volte lo si vide estatico".
Un giorno, Costantino Cappucci accompagnò i numerosi visitatori del Santo a visitar l'artistica pinacoteca che aveva al palazzo e dentro la quale teneva tanti bei quadri sacri, dipinti da mano maestra. Insieme con la comitiva andò anche Gerardo il quale, al vedere una graziosa Madonnina sorridente da un quadro, ne rimase così invaghito da andare in estasi. Con sorpresa e meraviglia dei visitatori, in notevole parte aristocratici, egli si sollevò dal pavimento della galleria e, librandosi a volo, avvicinò la Madonnina sulla quale impresse ardenti baci.
Assiduo nelle mortificazioni, che cercava di nascondere per non perderne il merito, fu visto con edificazione anche dalla famiglia che l'ospitava disciplinarsi a sangue, trascorrere le notti sul pavimento e nutrirsi scarsamente con vivande asperse di aloe.
Ma egli ricompensava la famiglia Cappucci specialmente con il suo parlare celestiale. Mentre essa gli donava il vitto, l'ospite le spezzava il pane di sante conversazioni, durante le quali trattò dell'amore di Cristo divenuto uomo e sacramentato per l'umanità peccatrice. Parlava anche della devozione verso la Vergine e della felicità degli eletti nella beata eternità.
Anche il Vescovo era così entusiasta della sua conversazione, che avrebbe voluto
sempre udirlo parlare di argomenti celesti. Ammiratore del Santo, diceva "che conferire su argomenti spirituali e teologici con lui, equivaleva a dichiararsi suo discepolo e a diventare teologo, tanti erano i lumi che si attingevano dal suo conversare".
Egli quindi lo consultava spesso per consigli riguardanti il governo della diocesi e anche per consolarsi nell'ammirare la sua faccia paradisiaca.
D. Domenico, fratello di Costantino Cappucci e arciprete della cattedrale, apprese da Gerardo lo spirito di orazione, per il quale divenne un ottimo pastore di anime.
A una signora, che ricorse al Santo perché angustiata da forti e continue tentazioni, il Majella precisò la causa di esse: cioè la mancanza di fedeltà a Gesù nel non tenere abbastanza custodito il cuore.
Prima di ritornare a Deliceto, nel passar per Bisaccia, Gerardo risanò prodigiosamente un certo Bartolomeo Melchiorre padre di famiglia e a Rocchetta convertì un operaio che viveva in concubinato.
La vita del Santo era quindi un meraviglioso tessuto di buone opere, con cui aumentava i suoi meriti ed edificava il prossimo,che beneficava nell'anima e nel corpo.