Cilizi e livree
Capitolo VIII
Eccolo il nostro Gerardo, imbacuccato nella livrea prelatizia di Monsignor Albini: la lunga giacca color cremisi, i pantaloni allacciati sotto i ginocchi e le esili gambe nelle calze azzurre.
Dopo i primi giorni di ambientazione, egli si aggira solerte e sagace per i vasti saloni, un poco tetri, per le scalee ed i cortili dell'Episcopio di Lacedonia a rassettare, ordinare, spolverare. Prova un nuovo gusto nell'ammirare i complicati e simmetrici disegni variopinti delle maioliche dei pavimenti, che di mano in mano riappariscono luccicanti sotto le sue strofinature.
Mentre spolvera i mobili, la sua mano indugia con delicatezza sulle volute dorate, e assapora tutta la bellezza di quegli esuberanti viluppi di foglie e tralci fantastici dello stile barocco. Decisamente egli ha una sensibilità di artista e che avrà occasione di svilupparsi più tardi, quando, a Napoli, appresa l'arte di modellare, creerà le sue impressionanti immagini religiose. Per ora egli sente una inconscia affinità di questo sentimento del bello con l'esaltazione religiosa, che per lui trova lo sbocco naturale nella preghiera che lo eleva verso Dio e le bellezze del paradiso. Questo gli capitava quando accudiva all'oratorio di Monsignore, tra tutti quegli ori e laccature, nella penombra raccolta.
E come se la cavava con il caratteraccio del nuovo padrone?
Certo Monsignor Albini era davvero incontentabile e trovava sempre da ridire su tutto, nonostante la buona volontà di quel santo giovane. E Gerardo, sempre sereno, si limitava a chiedere scusa e promettere di far meglio, anche se si sentiva bruciare dalla delusione per non riuscire a strappare una sola parola di lode, un piccolo cenno di approvazione dal suo burbero padrone. La sua naturalezza di incassatore era il frutto dell'allenamento fatto nella bottega di Mastro Martino col capo-giovane, e quello fatto di sua iniziativa. Molte volte, proprio come allora, era Gerardo stesso a scatenare scenate di grida e percosse, rinfocolando l’ardore di Monsignore, con il suo sorriso, che era umiltà e sembrava una provocazione.
Ce l'ho con te -urlava col volto congestionato il padrone -capisci o no, infingardo? ...
Il personale del palazzo ed anche qualche ospite occasionale, costretti ad assistere, mortificati, a queste scene disgustose, gli dicevano:
- Ma che aspetti a lasciarlo questo pazzo? Vuoi proprio che ti schiacci la testa sotto i piedi?
E Gerardo:
- Ma no, che dite? Monsignore mi vuole bene; sono io che non so far niente. Devo cercare di imparare a far meglio…
Gerardo è ormai preso dalla brama della santità, intravista per l'istinto soprannaturale della grazia. Lontano dagli occhi indiscreti e preoccupati dei suoi familiari, egli può dar sfogo alla sua sete di umiliazioni e di patimenti per poter rassomigliare al suo Gesù crocifisso. Il cibo ordinario consisteva in qualche tozzo di pane, dei rimasugli della mensa del padrone, col companatico di alcuni spicchi di aglio e
foglie di assenzio, e lo andava a consumare in un angolo della cucina, dopo aver rigovernato le stoviglie e lavato il pavimento. Dopo alcuni mesi Gerardo ritornò alla sua Muro per una breve vacanza. Mamma Benedetta e le sorelle erano ansiose di rivedere il signorino nella bella livrea vescovile!
Quando si presentò sulla soglia di casa sorridente, un poco affannato per la salita, la mamma se lo strinse tra le braccia tra sorrisi e lacrime di commozione, in mezzo ai rallegramenti delle sorelle. Però mamma Benedetta avverte qualche cosa di stranamente duro sul suo seno: si allontana un poco il figliuolo, lo fissa meglio e si accorge che Gerardo è più pallido, più macilento che mai.
- Figlio mio, come stai, come ti senti? – domanda accorata.
- Benissimo, mamma. Sai, un poco l’emozione, poi la salita di corsa …
Ma gli occhi materni intuiscono la verità. Con gesto energico e autoritario gli sbottona la giacchetta e … a stento frena un grido di raccapriccio: un largo, orrido cilizio di ferro ruggine preme sul povero petto di suo figlio. Le punte erano penetrate, mordendo, nella carne, formando insieme un groviglio bluastro di sangue raggrumato.
- Figlio mio, figlio mio! Ma perché fai questo? … Toglilo presto, non farmi morire! … grida la povera mamma.
Gerardo col viso diventato di fuoco per il disappunto e la vergogna, abbassa gli occhi contrariato e confuso …
- Mamma perdonami – risponde – non volevo darti un dispiacere. Ma io non posso togliermelo, lo porto anche di notte … Del resto – aggiunse con semplicità e come per scusarsi – come farei a distaccarlo dalla piaga?