San Gerardo Maiella
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In agguato

Capitolo XI

Può forse sorprendere che il collegio di Deliceto, con tutti i suoi terreni e il discreto raccolto, si sentisse di tanto in tanto soffocare dai debiti e dalla miseria. Per rendersi conto di questo stato di cose, bisogna riflettere sulle finalità dell'Istituto che doveva vivere unicamente per l'apostolato missionario, senza ricavarne emolumenti di sorta, fosse pure il semplice vitto quotidiano. Il collegio, secondo il pensiero del fondatore, non era solo l'attendamento di soldati che sorgono all'alba per proseguire la marcia ; era la roccaforte dello spirito dove ognuno poteva bussare per ritrovare la pace con Dio. Più che una stazione di missionari, era l'asilo della fratellanza e dell'amore. Il fondatore lo voleva perciò nudo e severo, ma anche ampio e solenne, come una cattedrale, per accogliere le masse sempre più numerose di fedeli.

In questo senso, niente di più bello e suggestivo di Deliceto con le sue mura solide che nascono dagli abissi, con lo sfondo dei boschi e della campagna solitaria, proteso, come castello, sulla pianura sterminata delle Puglie. Il padre Cafaro imprimeva anche sulle pietre la sua tenacia indomabile di combattente. Non si dava requie e non dava requie. Correva da una missione all'altra, e quando si ritirava in casa, era per predicare di seguito diversi corsi di esercizi spirituali e insegnare la teologia morale al chierico Bernardo Apice. Anche gli altri dovevano gettarsi con lui alla disperata, secondo l'espressione guerresca della regola.

Se c'era un sacrificio da fare doveva riservarsi ai religiosi, purché gli esercizianti avessero vitto abbondante e alloggio gratuito. E fossero numerosi. Ma il numero esigeva la molteplicità delle stanze ; perciò il padre Cafaro tirava avanti la fabbrica alla svelta, col desiderio ardente che rigurgitasse di pellegrini in cerca di pace. Questi poi non solo andavano accolti benignamente sulla porta, come gli ospiti inviati dalla Provvidenza: andavano cercati in ogni dove con l'ansia amorosa del pastore della parabola. E il p. Cafaro in questo era esemplare : spediva lettere e corrieri ai vescovi, ai parroci, alle università: pregava, invitava e scongiurava. Molti risposero all'appello, specialmente in quell'anno di grazia del giubileo universale del 1751. Il 20 marzo iniziò gli esercizi ai sacerdoti ; il 28, un altro corso per sacerdoti e laici ; a metà aprile si portò a Rocchetta ; poi altrove. In estate, lo troviamo ancora in casa per altri corsi di esercizi. E così nell'autunno.

I frutti furono consolanti, ma non mancavano le eccezioni. Vi erano i tirannelli locali per i quali gli esercizi costituivano un mezzo come gli altri per richiamare su di loro il favore della gerarchia ecclesiastica ; vi erano i signorotti gaudenti che vi andavano a forza per far dimenticare uno scandalo; o per abitudine, perché lo voleva la tradizione di famiglia. Vi erano gli ostinati, i cavalieri delle passioni, che non si lasciavano abbattere dalla gragnuola infuocata del Padre Cafaro il quale spalancava sotto i loro piedi l'inferno e schiudeva sulle loro teste squarci abbacinanti di paradiso. Tutti costoro, già coperti in partenza dallo scudo dell'ipocrisia, conducevano fino in fondo la commedia d'una finta conversione, presentandosi per primi alla comunione generale, col volto più contrito degli altri.

Potevano ingannare chiunque, ma non Gerardo. Egli li seguiva passo passo per convertirli e salvarli. Sembrava lontano, ed era li, invisibile e presente in un angolino del coro o della sagrestia. Ascoltava senza fiatare la parola ispirata del padre Cafaro, tremava con lui al pensiero dell'eternità, ma si esaltava al racconto della misericordia di Dio che va in cerca del peccatore pentito e ne scrutava l'effetto nel cuore degli uditori. Vedeva quei parrucconi bianchi abbassarsi, quei menti all'aria appuntarsi sul petto, quei volti in sussiego uscire contratti dal tribunale di penitenza e acco Starsi alla balaustra. Ognuno gli sfilava davanti con la coscienza scoperta, con le piaghe risanate, o in via di guarigione, o ancora purulente e incancrenite. In questo caso, da buon chirurgo, usava il ferro e il fuoco fino alla guarigione definitiva.

Cosa davvero stupenda! L'uomo che si annichiliva davanti a tutti, in quei momenti si abbatteva sulla preda con l'impeto di un rapace o si ergeva sul nemico di Dio col piglio del conquistatore. Sembrava un profeta che tuonava e un taumaturgo che guariva. La sua parola, di solito leggiera come una facezia, diveniva sferzante come uno schiaffo. « 1 macigni addiventavano cera nelle sue mani dice il buon Tannoia, con un po' di secentismo di maniera. Ma che non esageri, ce lo dice la storia.

Una mattina al momento della comunione generale - fu visto calare a precipizio dal coretto e afferrare per il braccio un signore che stava per raggiungere la balaustra. Tiratolo in disparte, gli disse a bruciapelo : « Come ? Tu osi accostarti all'altare ? Con questi e questi peccati ? Perché non te li sei confessati ? Va, va, confessati; presto ! ».

Attonito, sbalordito, l'altro tornò in sagrestia, si confessò, riprese il suo posto, sempre inseguito da quella voce che ancora gli tonava all'orecchio i suoi peccati. Allora fuor di sé, cominciò a gridare : « Io ho avuto rossore di confessare i miei peccati. è stato fratel Gerardo che me li ha scoperti. Per mia confusione, voglio confessarli davanti a tutti ».

E l'avrebbe fatto se un missionario non fosse accorso a turargli la bocca.

Era la sorte di questi miracolati della grazia : la repentina pacificazione dei loro sentimenti li faceva trasalire di gioia e la gioia li spingeva a palesare agli altri, senza ritegno, la stoltezza di un tempo.

Ciò toccò anche a un sacerdote di Rocchetta, intervenuto agli esercizi, dietro comando espresso del vescovo. La pietà imposta con la forza non è mai un antidoto al male e il sacerdote decise di recitare fino in fondo la parte del finto convertito. Si confessò quasi subito e continuò a salir l'altare ostentando fervore. Ma Gerardo scoperse facilmente l'inganno. Un giorno, avvicinandolo, attaccò discorso sulle cose dell'anima. Parlava come un estatico sulla grazia che è la ricchezza del giusto, la luce, il sorriso di Dio, il paradiso del cuore. E il povero sacerdote, trasportato con violenza in un cielo non suo, annuiva con la testa e le mani. Ma, a un certo momento, Gerardo s'interruppe e fissandolo con occhi di fuoco : « Se è così » disse, « perché la disprezzi tanto questa grazia ? Perché l'hai gettata nel fango con questi peccati ? ».

Non conosciamo la reazione del sacerdote, ma abbiamo ragione di credere che, come gli altri, sia caduto in ginocchio ai piedi del confessore, convertito davvero e per sempre.

Ma qualche volta Gerardo non trovava la stessa docilità, qualche volta s'imbatteva in cuori di pietra, sordi ai richiami della grazia. Allora, la sua voce tuonava e la sua volontà diveniva una morsa dalla presa infallibile : non lasciava la preda senza averla schiacciata. Perché la sua era la volontà stessa di Dio : comandava con la stessa autorità : « Così voglio ! ». E non perdeva questa fierezza neanche davanti alle alte gerarchie della Chiesa. Secondo la testimonianza del Tannoia, un gran prelato ebbe a dire : « R Dio che parla per suo mezzo ; bisogna assecondarlo, se non vogliamo dire, ubbidirlo ».

Lo dimostra il fatto seguente.

Un certo Francesco Antonio Rossi di Lacedonia, dopo aver lasciato parlar tanto di sé per la vita scandalosa e scorretta, si accorse d'essere andato troppo avanti, attirandosi addosso opposizioni d'ogni genere. Finse perciò ravvedimento e, per dimostrarlo, si recò a Deliceto a un corso di esercizi. Ben si comprende quali fossero le sue disposizioni, e quale valore potesse avere la sua confessione. Ma, mentre si recava alla balaustra, Gerardo lo chiamò in disparte e gli snocciolò, uno dopo l'altro, tutti i suoi delitti. Intanto, il colpevole si arrovellava internamente contro un sacerdote di Lacedonia : « Qui c'è il suo zampino; ma è l'ultima birbonata che mi fa quell'infame! L'ucciderò, dovessi andarlo a scovare da un capo all'altro del mondo! ». Ma non aveva finito di formulare il suo disegno, che Gerardo, secco e risoluto, gli disse : « Levati codesto pensiero dalla mente! ».

E i suoi occhi lo frugavano fin nelle pieghe dell'anima. Fu il colpo di fulmine che atterra e risuscita. Il peccatore riparò pubblicamente gli scandali e perseverò fino alla morte nel bene.

Qualche volta per schiantare le resistenze chiamava in aiuto il cielo e l'inferno, i demoni e Dio. Allora non restava al peccatore che cadere in ginocchio ed aggrapparsi a lui come un naufrago allo scoglio.

Un certo solennissimo peccatore, - l'esordio è del padre Caione - fu spedito dal vescovo di Lacedonia a un corso di esercizi in Deliceto. Tutti i mezzi erano riusciti vani e se ne volle tentare quest'ultimo. Non oppose resistenza : sarebbe stato scabroso mettersi contro l'autorità ecclesiastica e passare per ribelle. è tanto più comodo fare il male di nascosto, magari sotto la protezione della legge. Perciò, fingendo contrizione e penitenza, in veste d'agnello, scese in chiesa per la comunione generale. Gerardo era in agguato. Gli si parò davanti e gli disse: « Dove vai ? ».

« A comunicarmi».

« A comunicarti ? E i tali e tali peccati perché non te li sei confessati ? Va, va, confessati subito e bene se non vuoi che la terra t'inghiotta ».

Il peccatore, atterrito, fece il suo dovere e se ne tornò mutato e deciso a perseverare. Ma l'occasione fa il ladro e lo sciagurato ricadde nelle antiche abitudini, anzi raddoppiò gli scandali. Finalmente, un po' per le ammonizioni del clero, un po' per i rimorsi, si decise a partecipare a un altro corso di esercizi. Gerardo che l'attendeva al varco, al primo vederlo, gli disse: « Beh, come andiamo ? ».

E l'altro con la migliore faccia tosta del mondo: « Non c'è malaccio; da allora non c'è stato più nulla».

Gerardo lo forò con lo sguardo e, senza dir nulla, andò difilato dal superiore per esporgli il suo progetto ; poi volò nella stanza del peccatore, armato di Crocifisso. Con rapida mossa, chiuse finestra e porta ; e gli si piazzò davanti con la mano puntata sul Crocifisso «Dunque, non c'è stato più nulla eh!... Ah ingrato e bugiardo, e queste piaghe a Gesù Cristo chi gliel'ha fatte ? E questo sangue chi gliel'ha cavato ? » ... Ed ecco le piaghe del Crocifisso gonfiarsi e sudar vivo sangue.

« E che male ti ha fatto questo Dio ? », proseguiva accalorandosi il santo, « Che male ? Per te ha voluto nascere da povero bambino, su un po' di paglia, in una stalla »... Ed ecco, in luogo del Crocifisso, palpitare nelle sue mani le carni vaporose di un bambino.

« E che ? » - incalzava il santo sempre più impetuoso -, « tu credi di burlare il Signore ? Te lo dico io, questo non si fa senza castigo. Egli è buono e paziente, ma alla fine castiga. Se non la finisci, lo vedi che ti resta ? ». Ed ecco spuntar fuori, chissà da dove, un brutto diavolo che con ghigno selvaggio stese le braccia verso di lui per trascinarlo all'inferno.

Allora sì che il povero peccatore stramazzò a terra, afferrandosi alle ginocchia del santo, il quale con voce terribile gridò: « Sfratta di qua, brutta bestia! ».

E la bestia scomparve con una zaffata di puzzo e di fumo. Il peccatore atterrito, tremante, compunto, andò a gettarsi ai piedi del padre Petrella, bagnando di lacrime il racconto di ogni peccato. E questa volta perseverò fino alla morte.

La tessitura di questo discorso ricalcava da vicino la predica sulla misericordia di Dio, composta dal p. Cafaro. Se l'era copiata questa predica e imparata a memoria, ma vi aveva trasfuso di suo la foga del sentimento, la forza della persuasione, l'eloquenza degli occhi e del gesto, ma, soprattutto, il potere di attrarre la grazia, fulmine che scuote e ridesta le coscienze assopite. Fu questo potere sovrumano che lo fece un grande missionario, un cacciatore robusto di anime, rivale dei primi apostoli della Chiesa. « 0 mio Dio », si legge nel suo regolamento, « vi potessi convertire tanti peccatori quante sono le gocciole d'acqua del mare, i granelli d'arena, le fronde degli alberi, gli uomini della terra e tutte le creature ! ».

Chi può dire l'efficacia di tali desideri, fecondati dalla grazia Certo, Dio opera nelle profondità delle coscienze; al di fuori dei nostri sguardi indiscreti, ma pure gli episodi che abbiamo narrati e gli altri che narreremo ci dicono quale strumento meraviglioso sia stato Gerardo nelle mani dell'Onnipotente. Non per nulla la Provvidenza aveva guidato i suoi passi in un Istituto missionario, perché tutta la sua attività fosse improntata del solo fine specifico dell'Istituto: la redenzione delle anime, dentro e fuori il collegio. I superiori aggiunsero nuova esca ai suoi desideri, dandogli 1'ubbdienza di pregare continuamente per la conversione dei peccatori.

Mai ubbidienza gli riuscì più gradita. Le anime saranno da oggi in poi lo scopo principale della sua vita; per le anime affronterà rischi, dolori e fatiche, seminando di conquiste tutte le tappe del suo passaggio per i monti e le valli delle regioni adiacenti. « Non vi è paese in vicinanza d'Iliceto, di Caposele ed altrove che non racconti le sue portentose conversioni » ci dice il Tannoia, (o.c., pag. 68) riportando il giudizio dei padri Caione e Margotta, secondo i quali cento missionari non avrebbero ottenuto ciò che Gerardo conseguì col suo zelo e la sua penetrazione dei cuori.

Zelo e penetrazione : lo zelo lo moveva, ma era la penetrazione dei cuori che aggiustava il colpo decisivo. Pochi, come lui, hanno saputo cogliere il lato debole di ogni uomo, sfruttandolo abilmente secondo gli interessi di Dio. Una volta scoperto il principio motore delle singole azioni umane e quel complesso d'ideali e di sentimenti che si rimescolano di volta in volta nei cuori, egli aveva già compiuto l'opera di penetrazione pacifica verso i peccatori: non si trattava ormai che di toccare con le sue dita prestigiose i tasti più delicati e l'intento era ottenuto con soddisfazione di tutti.

Un giorno se ne tornava verso Deliceto con gli occhi perduti nel cielo inerte e affocato lasciandosi dondolare dal passo sonnolento del cavallo. Giunse così sul ponte di Bovino, dove la strada, scavalcato il fiume Cervaro, saliva a destra verso la città ducale di Bovino, mentre a sinistra moriva in un sentiero alpestre che, tra burroni e cascate di rocce, scorciava il cammino verso Santa Maria della Consolazione. Era assente e le briglie gli si allentavano dalla mano abbandonata sull'arcione, quando fu riscosso da una scarica di bestemmie : veniva dal basso, da sotto le spallette del ponte. Ebbe un fremito e si accostò a guardare. Sull'arenaccia del torrente giaceva un carro con le ruote affondate fino al mozzo. L'uomo forzò i cavalli con urla e frustate; i cavalli puntarono gli zoccoli anteriori, curvarono le criniere e si spinsero avanti, ma il carro si scrollò di un passo e ricadde all'indietro, nel solco tracciato dalle ruote. Ne seguì una muova scarica di urla, di bestemmie e di legnate.

Gerardo impallidì come sempre quando si trattava dell'offesa di Dio e, sporgendosi in giù, gli gridò: « Finiscila, sciagurato! Finiscila di bestemmiare ! ».

Il vetturale alzò due occhi infuocati, grondando sudore e schiuma dalla faccia: « Lo vedi come mi trovo ? Qui ci rimetto cavalli e carretto ».

E Gerardo : « A tutto c'è rimedio ; basta che la smetti di bestemmiare ». Così dicendo, sceso dal ponte, spiccò un salto sul carro e, impugnando il badile, calò giù una parte del carico. Poi, drizzandosi in piedi, tracciò sui cavalli la sua benedizione, dicendo : « Creature di Dio, in nome della Santissima Trinità, io vi comando di uscire dal fiume ! ». A quella voce i cavalli puntarono contemporaneamente gli zoccoli sul breccime e si gettarono in avanti, mentre le ruote uscivano cigolando dal pantano. Un'ultima scossa e furono sulla strada.

Il vetturale li seguì, mormorando in fretta qualche parola di scusa, ma Gerardo gli troncò la parola: « Ringrazia il Signore e non bestemmiare più ».

A questo fatto tipicamente apostolico ne facciamo seguire uri altro d'indole carismatica, sebbene avvenuto dopo l'estate del 1752 quando il p. Rizzi fu assegnato di casa a Deliceto. Era costui quel sacerdote, già ospite di S. Maria della Consolazione nella primavera del '50 cioè all'epoca della missione di Melfi. Lo spettacolo edificante di fratel Gerardo alle prese con gli umori bizzarri del padre Criscuoli, lo aveva aiutato nella scelta della propria vocazione. Qualche mese dopo chiedeva a Sant'Alfonso di essere ricevuto nell'Istituto., ma a condizione di fare il noviziato da solo, non sembrandogli dignitoso menar vita comune cogli altri novizi ancora ragazzi. Il fondatore accondiscese ; poi, passati alcuni mesi, con uno di quei gesti abilissimi di cui era maestro, col pretesto di volerlo conoscere personalmente, lo chiamò a Pagani e di lì lo spedì nel noviziato di Ciorani. Il Rizzi ubbidì volentieri ; era ormai bene avviato nella virtù religiosa. Il 25 dicembre fu ammesso alla professione. Entrato da adulto, volle nascondere i suoi meriti eccezionali. Distrusse il diploma di laurea « in utroque » conseguito, a pieni voti, nell'ateneo di Roma e apparve ai confratelli nella veste di una discreta mediocrità finché non fu rivelato da una discussione scientifica alla presenza del fondatore. Non ci volle altro : era già sul candelabro. Da allora fu l'apostolo dell'Istituto nascente. Il vescovo di Troia lo definiva: « Lo spavento dei preti » ; il vescovo di Trani « Il martello dei preti; il portento dei predicatori».

Ed avevano ragione perché alle sue prediche si vedevano preti, vescovi e gentiluomini piangere dirottamente, i chierici deporre il collarino e rinunziare alla carriera ecclesiastica. Eppure chi non lo conosceva, al vederlo comparire sul pulpito, non poteva fare a meno di sorridere davanti a questo uomo, piccolo, scarno e smilzo, dal viso rosso e lentigginoso, dalle labbra grosse e volgari. Ma bastava che aprisse la bocca, perché una tromba di voce sonora, profonda e animata, scuotesse l'uditorio e lo trascinasse addirittura. Iniziava con una mezz'ora di meditazione in ginocchio ; poi attaccava a predicare per un'ora e mezzo, spesso interrotto dagli urli e dai pianti dell'uditorio. Il quale una volta fu talmente scosso dagli atti preparatori di fede, di speranza e di presenza di Dio, che cominciò a schiaffeggiarsi e piangere dirottamente e pubblicare a voce alta, senza ritegno, le proprie colpe, l'uno chiedendo all'altro perdono. E quella volta, si capisce, non si poté non solo predicare, ma neanche condurre a termine gli atti preparatori.

Questo celebre predicatore fu per molto tempo l'alleato naturale di Gerardo nella caccia alle anime. Si stimavano e si amavano a vicenda con la carità dei santi. Dal '52, quando venne a Deliceto, egli fu il testimone delle virtù e dei prodigi dell'umile fratello e ne fu talmente ammirato che quando Sant'Alfonso lo incaricò di tracciarne la biografia, se ne ritrasse spaventato, come davanti all'impossibile.

Un giorno, dunque, era intervenuto a un corso di esercizi un gentiluomo carico di molti e gravi peccati, frutto, forse, più di esuberanza che di malizia. Per cui appena ascoltò, la prima sera, la voce ciel p. Rizzi che tonava con terribile eloquenza sulla giustizia di Dio, la quale raggiunge infallibilmente il peccatore e gli chiede conto rigoroso di tutte le sue iniquità, fu scosso da un brivido. Scorse tutta la sua vita: iniquità e ingratitudini. Si vide a tu per tu con un Avversario più potente di lui che gli rimproverava, sdegnato, le sue scelleratezze e alzava la mano per schiacciarlo come un insetto. Spaventato, si ritirò nella propria stanza, in preda alla disperazione più nera: « Si vada pure all'inferno » gridò a se stesso, « non importa. Sono ancor giovane, posso ancora divertirmi e stordirmi. Poi chiuderò gli occhi incontro al mio destino».

Mentre rivolgeva tra sé e sé tali pensieri, fu bussato alla porta e, senza attendere risposta, due passi frettolosi avanzarono verso di lui. Ebbe appena tempo di ricomporsi che Gerardo gli diceva: « Che ti passa per la testa ? Caccia via questa diffidenza infernale e ricordati che Dio e Maria Santissima sono in obbligo di aiutarti». E se ne uscì.

Dal suo nascondiglio, in agguato, come sempre, egli aveva seguito le fasi alterne della lotta tra il paradiso e l'inferno nell'anima del gentiluomo; lo aveva visto ritirarsi in preda alla disperazione e gli aveva portato la certezza della vittoria.

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Ultimo aggiornamento 27/07/2021