Fratel Gerardo nella Congregazione del SS. Redentore
Capitolo 2
Intanto Gerardo vagheggiava sempre l'idea di ritirarsi in una casa religiosa; e prima si provò di darsi all'eremitaggio, ma la vita semplicemente contemplativa non era fatta per lui, e perciò pensò di tornare alla casa paterna aspettando qualche occasione per attuare il suo disegno. Quest'occasione non si fece molto aspettare. Nell'anno 1748 alcuni Padri della Congregazione del SS. Redentore vennero a Muro per tenervi un corso di Missioni; quale occasione più propizia di questa, pensò Gerardo? e senza indugio alcuno si presentò a quei Padri per essere a loro disposizione durante la permanenza a Muro.
I buoni missionari accettarono volentieri l'opera spontanea di Gerardo, e subito si servirono di lui per quel che loro occorreva. Sul finire della Missione Gerardo, che s'era guadagnato l'affetto dei Padri, mostrò vivo il desiderio di farsi religioso della loro comunità, e ricevutane, questa volta, una risposta affermativa dal Superiore, vinse tutti gli ostacoli della famiglia, specialmente della madre, che non lo voleva far partire; distribuì quanto aveva ai poveri, ed eccolo pronto a partire. con quei Padri per la casa di Deliceto. Qui è accolto dal Superiore con molta freddezza, perché questi vedendolo cosi malfermo in salute, temeva di non potersene servire per la comunità, ma più tardi si accorge di aver acquistato un santo e ne ringrazia Dio. Anzi il superiore pensa di farne un laico e lo affida ad un tal Padre Cafaro; questi lo prova in tutti i modi, anzi talvolta eccede pure nelle prove e Gerardo sopportando tutto con amore mostra di avere una vera vocazione, e cosi dopo pochi mesi di noviziato Gerardo veste l'abito talare, con grande gioia della madre sua. Il primo ufficio che gli è assegnato è quello di sagrestano: non cercava di meglio il nostro monachello, e di questa carica se ne forma addirittura un ministero. Lavorare in compagnia di Gesù, nella sua chiesa, cosi vicino a Lui era proprio un regnare per Gerardo, ed infatti disimpegnava cosi bene quest'ufficio da essere, ammirato da tutti i padri, che vedevano in lui il vero modello della vita cristiana. «Vado a farmi santo» aveva detto Gerardo lasciando la famiglia, e veramente faceva tutto per acquistarla: preghiere, adempimento dei propri doveri, mortificazioni, ubbidienza, erano queste le sue opere comuni. La casa di Deliceto cominciò ad essere il centro dei suoi prodigi: ora è l'avveramento di qualche sua profezia, ora è un'estasi che lo . rapisce, ora sono immediate guarigioni ottenute con la sua preghiera, ora vittorie riportate sul demonio, insomma la sua fama di santo cominciava a diffondersi nella comunità e fuori ancora. Era così cieca la sua ubbidienza alla volontà dei superiori da pigliare sul serio qualunque cosa gli si dicesse per ischerzo o per semplice modo di .dire. Un giorno il P. Cafaro, infastidito per non so che cosa, gli disse: «Vatti ad infornare», e Gerardo senza alcun indugio corre al forno e vi si caccia dentro, e se il fratello panettiere non l'avesse obbligato per ubbidienza ad uscirne, egli vi sarebbe rimasto chi sa fino a quando. Dopo due anni della sua vestizione religiosa viene l'ora della professione solenne dei voti, e questa volta non è affidato al P. Cafaro, che era. stato mandato a dirigere il convento di Caposele, ma ha per maestro nel secondo noviziato prima il P. Giovenale e poi il P. Fiocchi. Con quanto fervore egli passasse questo tempo di santo apparecchio, è facile immaginarlo, conoscendo la sua vita santa; basti il dire che bisognava distrarlo dal suo profondo raccoglimento, e che contro le regole dei novizi gli si permetteva assolutamente l'uscita per farlo alquanto sollevare da tanto rigore impostosi. Finalmente viene il giorno tanto sospirato, il 16 Luglio del 1752, e Gerardo non vede l'ora di fare la sua professione religiosa per consacrare a Dio il suo corpo e la sua anima, già tutta ardente di amore santo.
Intanto dopo alcuni mesi per le ristrettezze economiche della casa di Deliceto, egli è mandato fuori per un po' di questua, e cosi dopo tre anni egli ha occasione di rivedere la sua Muro natia.
La nuova della sua venuta, preceduta dalla fama di santità, è accolta dal paese intero con sommo piacere, i suoi compaesani pieni di entusiasmo gli vanno incontro per salutarlo, per chiedergli consigli, per implorarne grazie, e Gerardo è con tutti affabile, caritatevole, anzi conferma la sua fama di santo con prodigi straordinari, che il Signore gli concede di operare nella sua patria medesima. Sono infermi che guariscono, sono estasi, sono dottrine profonde esposte con popolarità, sono profezie avverate, e, tutto questo Gerardo opera con una profonda umiltà. Da Muro torna a Deliceto per riprendere il suo apostolato, che egli svolge in vario modo: dal semplice richiamo fatto ad un peccatore alla dotta discussione opportuna per la conversione di qualche sapiente. Non lasciava mai di raccomandare la fuga del peccato, l'adempimento dei propri doveri, la frequenza dei Sacramenti, l'amore a Gesù Cristo, la divozione alla Vergine e via dicendo. Trovava poi sempre occasione di convertire i cuori più induriti nell'odio e riel peccato, di ridonare la pace alle famiglie tribolate, ed a tutto questo egli si preparava da vero apostolo ossia con penitenze, con preghiere, e con altri mezzi santi.
Temo di dilungarmi 'troppo, ma pure non posso fare a meno di accennare alle tante conversioni operate con la sua parola profetica e scrutatrice delle coscienze altrui, ai tanti flagelli allontanati dalle sue preghiere, ai tanti miracoli, operati ancor vivènte, che il lettore potrebbe apprendere dai biografi più dettagliati e più estesi. Ed ora, tralasciando qualche cosa meno importante, stimo opportuno esporre brevemente la gran prova subita dal Santo,che diede cosi al Signore un vero pegno del suo amore.
Un giorno S. Alfonso M. de' Liguori superiore e fondatore dei Liguorini, riceve una lettera in cui è accusato Gerardo di un falso ed innominabile delitto consumato a danno di una figlia di un tal Costantino Cappucci, presso di cui soleva fermarsi il Santo ogni. volta che andava a Lacedonia. Questa lettera scritta e firmata da persona degna di fede (fin a quel momento) ingannò lo stesso S. Alfonso, che sebbene santo e dotto, pure vi credette tanto da punire severamente Fratel Gerardo: «Si tratta di una colpa cosi grave, pensava S. Alfonso, in persona di un suo religioso, lo scandalo sarà stato immenso, è necessario rimediare con una pena esemplare». Senza più indugiare Sant’ Alfonso chiama a sé Gerardo, lo sottopone ad un lungo e formale interrogatorio, ma l'infamato laico, ad imitazione di Gesù Cristo che tacque innanzi ai suoi accusatori, non profferisce parola alcuna per scusarsi, e S. Alfonso ritenendo il suo silenzio come una tacita affermazione della colpa attribuitagli, lo punisce proibendogli la Comunione quotidiana e qualunque relazione con persone di fuori. Gerardo accetta la penitenza, anzi ne aggiunge altre per conto suo, ma il cuore gli piange più per essere stato privato del suo Bene che dell'onta stessa patita, e cosi per circa un mese egli sopporta con rassegnazione il castigo immeritato, aspettando dal Signore il trionfo della sua innocenza.
Infatti non passa molto tempo e perviene al Santo Fondatore un'altra lettera della calunniatrice, che prossima a morire, e mal soffrendo il rimorso di coscienza per tanta calunnia, chiede che si reintegri la fama di Gerardo, del tutto innocente del delitto attribuitogli. Scoperta la calunnia S. Alfonso chiama di nuovo a sè Fratel Gerardo per dirgli: «Figlio mio, perché non dirmi una parola per la tua innocenza? Padre mio, rispose Gerardo, come poteva farlo io? Non mi dice la regola di non iscusarmi e di patire in silenzio le mortificazioni che vengono dal Superiore? Bene, bene, riprese S. Alfonso, va figlio, che sii benedetto».
E cosi Gerardo vien perdonato ed è riammesso alla Mensa Eucaristica con giubilo della Comunità, che vide rivendicata l'innocenza conculcata del suo santo laico. Passata questa bufera infernale, Gerardo benedetto da S. Alfonso, è mandato a Napoli col P. Margotta, dove si afferma sempre più nella santità: Visitava spesso gli ammalati nell'ospedale degl'Incurabili ed i pazzi del locale manicomio; fu visto in molte chiese, ossia in S. Giorgio Maggiore, nello Spirito Santo ed in quella di S. Filippo Neri dei Gerolomini, e finalmente dopo tre mesi di permanenza a Napoli, già tanto beneficata da Frate! Gerardo, fu chiamato alla Comunità di Caposele, dove passò gli ultimi anni della sua vita.