Prodigiosa attività
CAPITOLO XXXII
Appena giudicò sopita la fama del Majella a Napoli, il P. Margotta lo richiese al Fondatore, che glielo riconcesse. Ritornato perciò alla città partenopea, per evitare eventuali applausi e mantenere il raccoglimento, Gerardo passava per un vicolo poco frequentato .'.Presso quel vicolo però abitavano due donne mondane, che, al vederlo comparire, gli correvano incontro con un cembalo e una chitarra, per cantare oscenità.
Allora il Majella, animato di santo sdegno, disse loro:
-La volete finire o volete un grave castigo di Dio?!.
A queste parole, la più audace delle sgualdrine cadde al suolo gridando:
-Madonna mia, io muoio! -E in quell'istante spirò.
Nel maggio del 1755, il Santo accompagnò i Padri della missione a Calitri e, come scriveva il Tannoia, "operò per mille". Profezie, conversioni, penetrazione dei cuori per tutto il giorno: ai Padri non restava che assolvere i peccati commessi e contriti dalle parole e dall'esempio dell'infaticabile apostolo.
La prima volta che Gerardo vi era andato con il P. Margotta, aveva guarito con un segno di Croce il cerusico Cioglia. Allorché però si era gridato al miracolo, il Majella aveva detto:
-Tanto sa fare l'Ubbidienza!
Con queste parole voleva alludere all'ordine, che gli aveva dato il Margotta, di risanare il malato. Anche la guarigione di un gentiluomo infermo e risanato con un segno di Croce era stata attribuita dal Santo all'ubbidienza.
Pure a Calitri, una certa signora Rinaldi era stata guarita di emicrania nel porsi sulla testa il cappello del Santo. Ma specialmente le anime sentivano il benefico influsso di Gerardo.
Alla sorella di un arciprete, la quale desiderava, ma temeva di manifestare le sue perplessità al Majella, costui disse:
-Dacché non volete parlar voi, parlerò io... -E le rivelò lo stato della sua coscienza, così da darle la pace.
Anche al Monastero delle Benedettine liberò una Suora angustiata dagli scrupoli.
Egli esercitava un provvidenziale apostolato, pure con la corrispondenza epistolare diretta alle Suore, con licenza dei Superiori, per animarle all'amore di Dio e all'acquisto della santità. Talvolta scriveva per confortare la destinataria di qualche tribolazione spirituale, che Iddio permetteva per santificarla. La esortava perciò a combattere con coraggio le battaglie per riportare un più glorioso trionfo nel Regno celeste. "Ma confidiamo in Dio, raccomandava, perché in queste battaglie la divina Maestà ci aiuta".
Assicurava tutte di pregare, affinché "fossero vere spose di Gesù ed esecutrici della sua santa Volontà'".
Su di una lettera inviata alla M. Maria di Gesù, scriveva tra l'altro': "Non ci vuole pentimento ad amare il nostro caro Dio, ma bisogna far sempre la sua divina Volontà: allora ciò che si fa è ben fatto. Vorrei che foste più coraggiosa nel seguire il divin Volere. Evviva la s. Fede, che m'insegna a trovare il mio caro Dio! Fede occorre per amar Dio, ché chi manca di essa, manca a Dio. Io però sono risoluto a vivere e a morire impastato di fede. La fede mi è vita e la vita mi è fede... Iddio solo merita di essere amato'".
Alla stessa che, per essere stata sostituita nell'ufficio di Priora, temeva di essere dimenticata, scrisse inoltre:
"Se vi scordassero le crea ture, non si scorderà di voi il vostro divino Sposo Gesù. Via su: animo grande nell'amar Dio! Fatevi gran santa, perché adesso avete maggior tempo di prima ...”
Alla nuova PrioraM. Maria di S. Francesco scrisse per compiacersi della sua elezione e assicurarla di pregare il Signore affinché le facesse esercitare l'ufficio con somma attenzione e vigilanza su tante spose di Gesù con lo spirito di S. Maddalena de' Pazzi, in modo da renderle emule della Vergine e altrettante serafine di amore verso Dio".
La nuova Priora rimase così entusiasta di tale lettera che scrisse al Majella per pregarlo di stendere anche una Regola per il nuovo governo della Comunità, Regola che servisse di norma per compiere bene i doveri dell'ufficio.
Il Santo accondiscese a tale proposta e scrisse che "la Priora doveva essere ricca di prudenza per regolarsi in tutto secondo lo spirito di Gesù Cristo". Soggiungeva che essa doveva essere inoltre ricca di virtù e di luminosi; esempi come un prezioso vaso di sante virtù da comunicare alle sue "figlie". La esortava inoltre a considerar continuamente la propria bassezza, perché convinta che altre Suore farebbero meglio di lei. e darebbero maggior gusto a Dio'". "La Priora, soggiugeva lo scrivente,deve disimpegnare tutto il suo ufficio per amore a Dio: quindi con somma e angelica perfezione e conformarsi in tutto al divin Volere e stare in tale impiego indifferentissima senza attaccarvisi. Per amor di Dio deve disprezzare specialmente la propria stima. Deve inoltre vigilare sopra di tutto e dar sempre le cose migliori a Dio per servirsi delle peggiori e dar così gusto al Signore. Deve anche patire in tutto per imitare il caro Sposo Gesù".
Riguardo alla carità verso le suddite, esortava ad amar tutte puramente per Dio, senza distinzione. "Deve dar confidenza a tutte, usar prudenza per guadagnarsene il cuore e deve farsi forza per vincere se stessa per amor di Dio. Si esigono pure fortezza e dolcezza: correggere dolcemente chi manca, esortar tutte alla santità facendole camminare per la vera strada della perfezione. Si ottiene più con la dolcezza, che con l' asprezza. Questa causa turbamenti, tentazioni e oscurità; la dolcezza invece porta pacee tranquillità: essa aiuta ad amar Dio. Dove manca la prudenza,si lamenta turbamento e dove c'è questo, sta il demonio; dove sta costui, non c'è Dio".
Alla M. Maria di Gesù afflitta per essere rimasta sola, "consigliava di gettarsi tra le braccia della divina Pietà, di conformarsi alla divina Volontà e di rallegrarsi delle sofferenze, perché queste servono alla sua santificazione".
Anche a Sr. Maria della SS. Trinità scriveva "che gli dispiaceva la sua infermità, ma lo consolava l'apprendere che ella aveva sofferto assai per Iddio. La esortava a conformarsi alla divina Volontà, perché "il centro del vero amor di Dio si trova nell'essere in tutto dati a Lui e nel conformarsi in tutto al suo Volere'". Le raccomandava inoltre di non incorrere in difetti volontari, perché sarebbero spiaciuti a Dio. La esortava ad amare Iddio di cuore e a farsi santa perché, se avesse patito per Lui, le sue pene sarebbero riusci te per lei un secondo paradiso sulla terra.
A un'altra Suora raccomandava di vivere serena, di confidare in Dio e sperar da Lui ogni giustizia. L'avvertiva di non fidarsi di se stessa, ma solo di Dio. La esortava alla cautela e a confidar nella Vergine, affinchè la Madonna l'assistesse e, con la sua potenza, abbattesse ogni suo nemico. Dichiarava inoltre che le sue sofferenze non dovevano affliggerla, ma umiliarla davanti a Dio e farla confidare nella divina Misericordia.
A Sr. Maria del divino Amore raccomandava di amare e pregar Dio per lui, persuaso com'era che ella fosse tutta trasformata nell'amor di Dio e nel suo divin Volere.
A una novizia tentata di abbandonar la vocazione scriveva : "Vi scrivo a nome di Dio, che stiate in una soda e santa pace, perché tutto è opera del demonio per cacciarvi da questo sacro luogo. A lui spiace che voi restiate costì, perché vuole impedirvi la santità. Tutti siamo tentati riguardo alla vocazione e il Signore lo permette per rendere più sicura la nostra fedeltà. Offritevi a Dio senza riserva, certa ch' Egli vi aiuterà. Chi potrà darvi pace se non Iddio? Quando mai il mondo ha saziato il cuore umano, fosse pure di principessa, di regina o d'imperatrice? Credete a me, che parlo per esperienza: è brutto vivere nel mondo. Dio ve ne liberi, sorella mia! Dio vi ama e perciò ha permesso che foste tentata per provar la vostra fedeltà. Allegra, dunque, animo grande! Vincete ogni tentazione con la generosità, dichiarandovi sempre sposa del nostro grandissimo Signore Gesù Cristo. In Lui si ritrovano la felicità, la pace, la contentezza, ogni bene. A che servono le brevi apparenze del mondo a confronto della celestiale ed eterna beatitudine,che godrà in Cielo chi si sposerà con Gesù Cristo? E' vero che anche chi vive nel mondo si può salvare, ma sta in continuo pericolo di perdersi e non può farsi santo così facilmente come nel chiostro. Considerate la brevità della vita mondana e la lunghezza dell'eternità e riflettete che ogni cosa finisce quaggiù. Per chi visse nel mondo, tutto finisce come se non vi fosse mai stato. Quanto non ci porta a Dio è vanità, che non ci può quindi servire per la eternità. Povero chi confida nel mondo e non in Dio.
Andate al sepolcreto, dove dormono tante Religiose di cotesto Monastero e riflettete su ciò che esse avrebbero nella eternità se fossero state le più grandi del mondo. Quanto gi6vò invece il vivere povere, mortificate, disprezzate e nascoste in cotesto piccolo Monastero! Soffrire per poco tempo per avere avuto tanta pace in morte, nel poter soccombere nella casa di Dio. Ognuno vorrebbe essere santo in punto di morte, ma allora non si può. Quello che si è fatto per Dio si ritrova.
Se la tempesta non è passata, io ho fiducia nella SS. Trinità e speranza nella Vergine che voi vi facciate santa. Calpestate la testa alla belva infernale e disprezzatela. Ditele che siete "sposa di Gesù " affinchè tremi. Siate allegra e amate il buon Dio di cuore. Pregate per me, chè io pregherò per voi".
Questa mirabile lettera produsse provvidenzialmente il desiderato effetto. Rimasta fedele alla vocazione, appena professa, la destinataria ne informò il Santo, che le rispose per esprimerle la propria compiacenza.
"Viva Dio e v. Reverenza, che ha ottenuto la grazia di consacrarsi totalmente a Lui con i s. Votil "-scriveva. "Ora siete divenuta grande, perché sposa novella del mio Signore. Ora siete tanto cara a Dio: benedite quindi ogni mattina la divina bontà per tante grazie. Fatevi grande santa dacchè, per divina Pietà, siete nel santo stato di poterlo diventare'".
Oltre alle Suore, -scrive il Tannoia anime grandi, Religiosi e Sacerdoti, Confessori e Direttori di spirito e persone di riguardo si rivolgevano al Santo per essere illuminati tra i loro dubbi e sollevati dalle loro angustie. Anche i confratelli ricorrevano al Majella per avere pace. Così il P. Garzilli, già Canonico di Foggia, teologo e Direttore di anime quasi settantenne, si rivolse al Santo perché dubbioso circa le sue Confessioni. Gerardo lo esortò, con una lettera, ad accettare la mortificazione voluta da Dio, e a confidare in Lui. Lo animò inoltre a sperare nel Signore e a raccomandare a Gesù Cristo e alla Vergine di benedire ambedue.
A D. Gaetano Santorelli perplesso di coscienza scrisse, a nome della SS. Trinità e della SS. Mamma Maria, di non pensare agli scrupoli, perché le sue angustie e dubbi erano opera del nemico infernale voglioso di fargli perdere la pace della coscienza. Lo esortò quindi a cacciare i dubbi come tentazioni per conservar la pace, con cui avrebbe potuto avanzar nella perfezione.
"Riguardo al rammarico nel confessare, -soggiungeva -Vi assicuro che esso è un'altra tentazione per farvi lasciar l'impiego di Dio da Lui destinato "ab aeterno ", per il vostro sommo profitto spirituale. Se lasciaste la Confessione, ciò costituirebbe una grande rovina per Voi e un impedimento nella vostra vita spirituale, nè Iddio Vi darebbe quel gran premio futuro, perché equivarrebbe a non far la sua divina Volontà. Ripeto che Dio vuole impiegarvi con sommo zelo nella sua "vigna'". Non dubitate di ciò che può avvenire durante le Confessioni; basta che sia ferma la volontà di non offendere Dio: il resto non importa. Anche la vostra dottrina è bastante per tale ministero".
A un gentiluomo disperato per le sue pene scrisse per animarlo alla pazienza.
"Se sarete fedele a Dio, -soggiunse Egli vi aiuterà. Lo Spirito Santo vi faccia conoscere quanto più dovremmo patire per amor di Chi tanto sofferse per amor nostro. Abbiate pazienza tra le vostre tribolazioni, perché Iddio permette tutto ciò per il vostro bene. Egli vuole che vi salviate l'anima e vi ravvediate. E' necessario soffrir tutto con rassegnazione alla divina Volontà: ciò vi aiuterà nel conseguire l'eterna salvezza e vi sosterrà contro le tentazioni. Sperate con viva fiducia e tutto otterrete dal mio caro Dio'".
"In conclusione, -scriveva il Tannoia -Gerardo non usciva di casa che per ritornare carico di manipoli: a Deliceto e a Materdomini aveva la sua clientela e, ovunque si trovasse, non dimenticava mai i suoi "penitenti'". Tante persone, prima infangate dal vizio, una volta da lui convertite, perseveravano con una vita tutta santa. Chi non poteva avvicinare di persona, lo animava al bene con lettere. Chiunque avesse visto disorientato, procurava di orientarlo. Correggeva, rimproverava dolcemente e diveniva di fuoco pur di salvarlo".
Era, insomma, veramente animato da un santo zelo per la salvezza delle anime: un vero "Figlio'"del grande Fondatore S. Alfonso.