L'innocenza riconosciuta
CAPITOLO XVIII
A Ciorani, nella casa di noviziato, dove fu inviato per punizione, tutti guardavano «il colpevole», e si meravigliavano per la sua imperturbabilità. La vera sofferenza è restare senza l’Eucaristia. Un sacerdote lo invita a servire la messa: «No, padre - dice Gerardo - vi strapperei l’Ostia dalle mani!». Qualcuno, conoscendolo bene, lo invita a manifestare la sua innocenza al fondatore: «Si muoia sotto il torchio della volontà di Dio - risponde Gerardo - io mi sono affidato ad un avvocato più potente». Ed ecco la verità. Nerea Caggiano e don Benigno Benincasa riscrivono a sant’Alfonso. La prima, tormentata dai rimorsi per aver calunniato un santo, il secondo, confuso per la sua imprudenza.
Questa volta è il fondatore a chiedere scusa all’umile fratello: «Ma perché non mi hai parlato?». «Padre mio, come avrei potuto farlo? La regola non ammette che ci scusiamo davanti ai Superiori». Sant’Alfonso, che non era uno sprovveduto, comprese che stava trattando con un eccezionale eroe di santità.
Alla morte di Gerardo sarà lo stesso fondatore a ordinare di raccogliere notizie sulla vita e le virtù del Maiella.