Il sarto ambulante
Capitolo XII
A Muro la Sartoria di Mastro Maiella, con le sue modeste prestazioni, andò avanti per circa due anni. Ma era destinato per Gerardo il fallimento anche per quest'altro tentativo di sistemazione.
Verso la metà di giugno del 1746, un'Ordinanza Regia arrivata dalla Capitale, imponeva in tutto il Reame di Napoli nuovi e più pesanti balzelli sulle proprietà terriere, e sulle attività commerciali e artigianali. Sfortunatamente, nella zona di Muro era preposto alle Regie Esattorie un Agente zelante, che per quanto ansioso di mettersi in mostra presso i pezzi grossi di Napoli, per tanto poi attento a non urtare quelli locali; di conseguenza si rifaceva con odiosa tracotanza sui deboli ed indifesi.
La Sartoria di Gerardo fu colpita duramente, e ciò significò la chiusura dell'esercizio.
Gerardo cercò di mantenere la clientela, trasformandosi in sarto ambulante. Si portava a domicilio a lavorare anche fuori paese, fino a Castelgrande. Ma, mentre il lavoro si moltiplicava, il guadagno invece diventava più esiguo. Che cosa poteva pretendere da quella povera gente che stentava a vivere, alla quale andava a rabberciare giacche e brachesse, delle volte lise a tal punto che ci voleva tutta la sua abilità e pazienza per fare stare ancora insieme le varie pezze non sempre dello stesso colore?
Ritornava, un tardo pomeriggio, dal suo consueto giro di lavoro a domicilio. Affaticato e assorto, saliva per il ripido sentiero che dalla valle porta al paese. Per via incontrò Donna Eugenia Pascale, una prosperosa dama, che nel paese era un poco come il servizio di consulenza per vari problemi paesani. Conosceva molto bene Gerardo, forse un poco a modo suo. La sua attenzione e premura, tutta femminile, si posò sul volto angelico ma tanto smunto del sarto ambulante.
-Buona sera, Gerardo. Ti senti stanco?
-Oh non tanto!. .. -risponde il giovane, ripigliando istantaneamente la sua consueta aria di giovialità.
-Ma sei tanto sciupato! Perchè non cerchi di nutrirti di più?
-Donna Eugenia mia, se sapeste come mangio! Guardate: io porto sempre con me le provviste.
E mette sotto gli occhi della dama un sacchetto che ha cacciato dal fardello delle stoffe. Lei pensa che si tratti delle prestazioni in natura dei suoi clienti; invece è un fascio di erbe mezzo secche e fortemente aromatiche.
-E che sarebbero queste piante? Non mi farai credere che sono buone a mangiare?
-Donna Eugenia, provatene un poco e vedrete che subito vi sentirete sazia ...
L'antico senso burlone di Gerardo si ridestava: date le considerevoli proporzioni di Donna Eugenia andava bene propinarle un'efficace cura dimagrante!
-Provate, provate, senza cerimonie ... Insiste con un sorriso sornione ...
Donna Eugenia, incuriosita, porta alle labbra un pizzico di quelle erbe, ma subito una disgustosa smorfia le altera le voluminose gote: sente nel palato un'amarezza avvelenata
e comincia a sputare quell'orrore con violenti e congestionati conati di vomito.
Gerardo ride divertito:
-Ve lo avevo detto: mangiando queste erbe amare passa il gusto e la voglia di mangiare!
Quando la sera, dopo una giornata affannosa e grama, Gerardo e la sua mamma si ritrovavano insieme nella loro casetta, una grande serenità invadeva la loro anima. La cena era consumata alla luce intima della lucerna e ordinariamente consisteva in una minestra e in grosse fette di saporito pane scuro di grano, lavorato dai vigorosi polsi di mamma Benedetta. Bagnate in acqua, venivano condite di pretto olio degli oliveti paesani e di qualche pomodoro, fresco di estate, un po' avvizzito in autunno, colto dalle 'nserte che pendevano dalle travi.
Come era dolce per Gerardo gustare quelle calme ore familiari, al tepore premuroso dell'amore della sua cara mamma!..
Dopo cena c'era il Rosario che concludeva la serata con la invocazione della benedizione della Mamma Celeste ...
Anche quella sera di settembre portò, come le altre, la sua quieta tranquillità nella casa di Gerardo. Si sentivano le folate di vento autunnale che strisciavano alla finestrella con le prime foglie ingiallite, strappate dai rami. Gerardo, seduto su di uno sgabello ai piedi della mamma, accanto al camino, dove scoppiettava il ceppo, recitava con lei il Rosario. Mamma Benedetta, le mani raccolte in seno, sgranava la corona. Le ultime Ave Maria per le varie intenzioni e i Requiem per le anime dei morti sembravano fermarsi sui vacillanti bagliori del camino.
Gerardo aveva chinato il capo in grembo della mamma e
si era addormentato. Mamma Benedetta, in quel silenzio pieno di ombre, si sente invadere da una profonda tenerezza. Guarda danzare i bagliori rossastri sui riccioli del suo figliuolo come un'aureola ... Lieve lieve, con la mano circondata dalla corona del Rosario, accenna una carezza, mormorando: "Povero figliuolo, tanto buono ma ancora tanto sfortunato !. .. A quasi vent'anni ancora senz'arte e senza parte".
Ma poi un antico pensiero si riaffaccia alla mente: "Chi lo può sapere se il Signore lo ha scelto per sè?"
Si china ancora di più su di lui, stringe quel caro capo al seno, poggiandogli il volto, inumidito di commosse lacrime, sui capelli. Gerardo nel sonno le accenna un sorriso ...
"Figlio mio benedetto ... forse tu non sei fatto per questa terra ... sei una creatura per il Cielo!”