La dimora in Napoli
CAPITOLO XII
139. A Napoli. 140. Chi era il Margotta. 141. L’ospizio dei Redentoristi. 142. La gara fra due santi 143. Il fabbricante di Crocifissi 144. Uno strano acquisto. 145. Gl’infermi ed i pazzi. 146. Conversazioni, scrutazioni e visioni in distanza. 147. Stima del Santo presso i Religiosi e presso il popolo . 148. La duchessa di Maddaloni e la guarigione della figlia. 149. Barca naufragante salvata. 150. Due sgualdrine. 151. Altri prodigi. 152. A Materdomini.
139. Riconosciuta l’innocenza di Gerardo, S . Alfonso rimase profondamente commosso. L’austerità dei giorni passati s’era cangiata in tenerezza e stupore. Essendo venuto in quel tempo a Pagani il servo di Dio, P. Francesco Margotta, per trattare con lui alcuni affari della Congregazione, come colui che meglio degli altri conosceva i doni che Gerardo aveva ricevuto dal Cielo, colse questa occasione per parlargliene a lungo, ed egli, compiacendosene rispondeva : Ora conosco le virtù di questo fratello e, se non avessi altra prova della sua perfezione, mi basterebbe quella che mi ha dato nell’ultima circostanza. Il P. Margotta era Procuratore generale dell’Istituto e per questo ufficio risiedeva in Napoli. In quei giorni, essendosi allontanato da lui fratel Francesco Tartaglione per affari della Congregazione, aveva bisogno d’ un altro fratello che l’assistesse. Chiese a questo scopo Gerardo, e S. Alfonso rispose : Sì, sì, è buono che venga con voi, anche perchè sia compensato delle patite sofferenze. Fu dunque scritto al Servo di Dio, che da Mater domini si condusse subito a Pagani. Il santo Dottore volle vederlo prima che partisse per Napoli . Gerardo, al solito suo, gli si presentò con aria di venerazione e col sorriso sulle labbra. Egli intenerito sino alle viscere, si volse a lui, e, sollevata dolcemente la mano, l’interrogò: Figlio mio, perchè non hai voluto dire mia parola per la tua innocenza? -Ma, padre mio, rispose, come poteva io farlo? Non mi dice la regola di non iscusarmi, e di patire in silenzio le mortificazioni che vengono dal superiore? Nascondendo le lagrime, e con la voce rotta dal singhiozzo: Bene, bene, conchiuse Sant’ Alfonso, va, figlio mio, che sii benedetto! Il soggiorno di Gerardo in Napoli fu solo di cinque mesi, neppure continui, ma interrotti. Nondimeno quei pochi mesi furono pieni d’avvenimenti varii e sorprendenti. Prima di narrarli, giova conoscere chi fosse colui che in quello spazio di tempo gli fu superiore ed emulo nell’esercizio delle virtù.
140. Il P. Francesco Margotta, nato in Calitri, della diocesi di Conza, addì 10 febbraio 1699, contava appena 3 mesi, quando per morte gli fu rapito il padre, a nome Donato. La vedova genitrice, eccellente cristiana, pose ogni cura nella buona educazione dell’unico suo figliuolo, il quale, dotato delle più belle disposizioni alla pietà, rispose a meraviglia alle materne sollecitudini. Come nella virtù, così nella scienza, fece il giovinetto rapidi progressi, cotalchè a sedici anni aveva terminato il suo corso filosofico. Volendo dare opera allo studi della legge, venne a Napoli, dove i suoi talenti ed il rapido suo progredire destarono lo stupore dei dotti; ma quello che lo rendeva più ammirabile, era la costanza del suo fervore spirituale nel mezzo degli studi. Affezionatissimo all’orazione, frequente ai SS.mi Sacramenti, d’una modestia che rapiva, era il modello della gioventù. Finiti gli studi, e conseguita la laurea con plauso e con dispensa dall’età, si restituì alla città natale per esserne l’edificazione. Lo si voleva fidanzato ad una signorina di cospicua famiglia; ma vi si ricusò. Fu nominato Governatore di Andretta . In quella carica si comportò piuttosto come religioso che come secolare, in modo che la gente diceva lepidamente: quest’anno abbiamo un Cappuccino per Governatore, speriamo buone cose. Al vederlo cotanto distaccato dalle cose del mondo e solo inteso alle eterne, per modo da non curare gli affari temporali, la madre lo pregò di far ritorno in patria, dove caldamente lo premurò, perchè contraesse matrimonio con una ricca ereditaria; al che sempre rispose col rifiuto e finì con dichiararsi di volerla spezzare col mondo. Intanto la Provvidenza disponeva gli eventi. Portatosi a Bisaccia per visitarvi certi suoi parenti, vi conobbe un santo prete, a nome D. Gaetano Giuliani, che fu discepolo del Venerabile Padre Don Antonio de Terres della Congregazione dei Pii Operarii. Il Giuliani, dopo aver consumato il fior della giovinezza correndo di qua e di là nelle missioni, erasi ritirato in luogo solitario per vivere solo a Dio ed agli affari dell’anima. Tuttavia aveva accettato di gran cuore la direzione di alcuni secolari e di parecchi sacerdoti, fra i quali è da farsi special menzione di un certo Angelo Latessa, che, dato più tardi il nome alla Congregazione del SS.mo Redentore, in essa moriva ricco di meriti, e Gerardo, siccome diremo un po’ più innanzi, ne vide fare l’ingresso trionfale in Paradiso. Fatta adunque una tale conoscenza, Francesco ne profittò grandemente, perchè venne presto nella risoluzione d’ entrare nella carriera ecclesiastica. L’arcivescovo di Conza nel 1731 l’ordinò sacerdote; e d’allora in poi la sua vita fu tutta consacrata alla salute delle anime. Quindi, come Dio volle, nell’anno 1747 entrò nella Congregazione del SS. Redentore , cui, prima di dar se stesso, aveva fatto dono del suo patrimonio per la fondazione del collegio di Materdomini. Veramente degno figlio di S. Alfonso, operò grandi cose, e come missionario, e come direttore delle anime . Ebbe, come S. Alfonso stesso ed il fratello Gerardo, a spiritual direttore il P. Cafaro, sotto la cui direzione andò molto innanzi nella via della perfezione. Gli uomini lo acclamavano santo, e Dio si compiaceva illustrarlo coi miracoli. Eletto a Procuratore generale dell’Istituto nel 1749, ne disimpegnò i doveri fino alla preziosa sua morte, avvenuta addì 11 agosto 1764 a Napoli, in quello stesso ospizio, dove lo incontriamo con fratel Gerardo l’anno 1754.
141. Quest’ospizio si componeva d’un appartamento, che il signor Ercole de Liguori, germano di S. Alfonso, aveva destinato nel suo palazzo, a servire d’albergo ai Nostri di passaggio per Napoli. Fu verso la fine del mese di luglio che il nostro S. Fratello venne col Margotta a prendervi stanza. Vi avevano passato insieme pochi giorni, quando ricevettero da S. Alfonso una lettera circolare indirizzata a tutti i soggetti dell’Istituto, la quale fra le altre cose diceva: “Fratelli miei, facciamoci santi, ed amiamo Gesù Cristo assai, perchè se Lo merita. Amiamo un Dio morto per nostro amore, ravvivando la fede, che pochi giorni avremo da stare in queste pietre, e ci aspetta l’eternità. Onde non più abbiamo da vivere a noi o al mondo, ma solo a Dio, solo per l’Eternità e per farci santi. Prego ciascuno a cercar sempre a Gesù Cristo il suo santo amore; e per ottenere questo santo amore, procuriamo d’ innamorarci della sua passione. Siamo avari del tempo per impiegarlo nell’orazione e nelle visite al SS.mo Sacramento, che apposta sta con noi. Ed offeriamoci sempre a Gesù Cristo, acciò faccia di noi quel che vuole, e preghiamo sempre Maria SS.ma che ci ottenga il gran tesoro dell’amore di Gesù Cristo”. Queste ferventi esortazioni, giungendo a Napoli, non caddero su terreno ingrato, perchè veramente santa fu la vita che i due religiosi menarono in mezzo al lusso ed alla dissipazione di quella grande città. Nacque fra loro una santa emulazione, sostenuta dalla conformità delle loro aspirazioni. Il P. Margotta professava questa massima: “Il nostro corpo è come un cavallo indomito: questa bestiaccia, se non si usa la sferza e non le manca l’orzo, dà dei calci e ci precipita”. Dalla lunga lista delle mortificazioni, che abbiamo veduto nel rendiconto di coscienza, si può inferire che la stessa massima era quella del S. Fratello. Onde i due amici “facevano a gara, dice il Tannoia, a chi più potesse cruciare se stesso. Tante volte non curava il Margotta di ordinare cosa alcuna pel vitto, e Fr. Gerardo non pensava a domandarglielo, e tutti e due per lo più rimanevano digiuni. Una mattina ritiratosi il Margotta chiese che cosa si fosse preparata, e Gerardo: quello che avete ordinato. Non avete ordinato niente, e niente avete trovato. Materasso per il Margotta era la nuda terra, e tale per Gerardo era il proprio letto. Crocifisso per Napoli camminava il P. Margotta, cioè carico di cilizii e catenelle, e carico di questi andava Gerardo. In una parola, tutti e due giuocavano a chi più sapesse strapazzare e martoriare se stesso”. Non altrimenti che a crocifiggere il corpo con le penitenze, erano studiosi ad umiliare lo spirito con le abbiezioni. Il P. Margotta compariva pel suo vestire immagine viva della povertà religiosa, e bisognava ricorrere all’ubbidienza formale ,per indurlo a coprirsi di un abito nuovo. Fratel Gerardo indossava una sottana rappezzata, e calzava cotanto miseramente, che i lazzaroni ne prendevano argomento di deriderlo e beffeggiarlo. Talvolta il Padre Margotta per l’amore del disprezzo andava fino ad immischiarsi fra i poveri e con essi chiedeva l’elimosina alle porterie delle Case Religiose: ed il Santo, famelico di questa umiliazione, si diede senza ritegno a procacciarsela, quando vi si vide autorizzato dall’esempio del superiore. Spesso fu visto o solo, o col detto Padre stendere la mano alla porta dei Preti dell’Oratorio di S. Filippo Neri, che in Napoli sono chiamati Gerolomini. Per farli desistere da questo mendicare, fu d’uopo che l’ubbidienza lo inibisse ad ambedue. Eguale emulazione regnava tra loro in rapporto allo spirito di preghiera, alla contemplazione ed alle visite del SS. Sacramento. Imperocchè il Margotta spendeva nell’orazione tutti i momenti disponibili e rimaneva appiè del Tabernacolo tutto il tempo libero. D’ordinario celebrava la S. Messa nella chiesa dei Padri dell’Oratorio da lui frequentata, e dove si vedeva lunghe ore assorto ed immobile dinanzi al Sacramento, sempre in ginocchio. Talvolta vi restava fino a sera inoltrata. Gerardo in questo non gli era secondo e poteva là saziarsi a sua posta. Toltone qualche breve giro per la città, tutta la sua occupazione riducevasi a preparare quel pranzo, di cui abbiamo già detto. Aveva dunque tempo da dare alla preghiera ed alla contemplazione. Laonde, lasciandosi in balìa della sua santa tendenza, passava le mezze giornate in chiesa; dove per nascondersi all’ occhio di chicchessia, tenevasi ristretto in un cantuccio del sacro tempio, prostrato sul pavimento. La chiesa dello Spirito Santo a Toledo, e l’altra dei Gerolomini furono testimoni delle frequenti conversazioni di lui col divin Maestro. Ebbe una preferenza notevole per quelle chiese, ove si celebrava la santa adorazione, giacchè dinanzi al SS. Sacramento sembrava che il cuore di lui spaziasse in un’atmosfera di paradiso. Allorchè le occupazioni del Padre Margotta lo permettevano, andavano insieme alla visita della chiesa in cui tenevasi l’adorazione delle Quarantore. Non rare volte avvenne, che assorti in Dio, restassero là fino a notte inoltrata.
143. Se dappoi questi sacri trattenimenti furono in alcuni giorni raccorciati, fu solo per amore a Gesù Crocifisso . “Essendosi un giorno imbattuto, dice il Tannoia, in una bottega di cartapestaio, che modellava al vivo crocifissi ed altri simulacri di Gesù appassionato, egli, che avevalo nel cuore, e volevalo imprimere nel cuore degli altri, subito s’invogliò di tal mestiere. Era l’artefice molto divoto. Vedendo l’ansia che Gerardo aveva di profittare, non mancò di coadiuvarlo. Frequentavalo Gerardo, e talmente vi si applicò che da discepolo divenne maestro”.
144. Non altrimenti che nelle altre virtù risplendeva nei due emuli 1a carità verso i poverelli. Il P. Margotta giunse talvolta a spogliarsi delle vesti per ricoprimeli: in quanto a Gerardo abbiamo da narrare questo fatto. Essendo un giorno ritornato in Napoli fratel Francesco Tartaglione per alcune commissioni, gli consegnò due carlini, affìnchè ne comprasse l’occorrente per il pranzo. Uscito a quest’intento, Gerardo incontrò per via un venditore ambulante, il quale gli si fece innanzi a pregarlo che per carità comprasse della sua merce, perchè come diceva, non avrebbe avuto altrimenti come vivere e sarebbe morto di fame. La merce che vendeva non era altro che pietre focaie, zolfanelli ed esca. Gerardo non pensò ad altro. Tocco dalla compassione, gli diede i due carlini, prese seco di quella roba e, tornato a casa, la pose sul tavolo. Venne fratel Francesco: Ebbene, gli disse, che cosa hai comprato per il pranzo? Ma via, rispose, non ci diamo pensiero di queste cose. Iddio solo e niente più. - Tutto va bene, riprese il fratello, ma dobbiamo anche mangiare: Ohè! a che tanta roba? - Sentite, fratello mio, ei prese a dire: tutte queste cose a noi possono servire. Ora vi dico il vero: essendomi incontrato con un poverello, che le vendeva e si moriva di fame, l’ho comprate coi due carlini che mi avete dati. In quel punto tornava a casa il P. Margotta, e a lui rivolto gli narrò l’accaduto . Va bene, disse il Padre, ma per noi? Ah! per noi, subito interruppe, penserà Dio. “Infatti, prosegue un testimone del processo apostolico, venuta l’ora di mezzogiorno, mentre entrambi se la discorrevano di cose celesti e s’inebriavano dell’amore di Dio, s’udì suonare il campanello. Si andò a vedere: era un canestro pieno di cibi preparati, mandati da un divoto, che neppure conoscevano. Così Dio compensava gli atti di carità di Gerardo!”.
145. Oltre i poveri, erano oggetto della sua carità anche gl’infermi. “Tanto fu vedere la casa degl’incurabili, scrive il Tannoia, quanto innamorarsene. Girando i letti, chi animava alla pazienza e chi disponeva alla morte”. Il P. Landi ci fa sapere che non trascurava neppure i pazzi. Spesse volte andava a visitarli, e adunatili nel cortile del manicomio, li istruiva secondo la loro capacità, li regalava ora di confetti, ora di frutti. Quei tapini al primo vederlo gli uscivano incontro dicendogli: Padre, noi vorremmo stare sempre con te. Tu ci consoli: non ci lasciare. Tu ci dici cose belle: la tua bocca è bocca di paradiso. A causa di tanta benevolenza un giorno si trovò in serio imbarazzo. Volendo partire da loro, due pazzi gli si strinsero addosso dicendogli: No, non vogliamo farti partire: devi restare con noi: tu ci consoli, perchè hai una bocca di paradiso. Intanto lo tenevano così fortemente abbracciato, che se ne sentiva soffocare. Corse un terzo pazzo gridando: Olà! non · tanta confidenza col nostro confessore, e giuocando di pugni lo liberò da quei due amici non troppo garbati.
146. Di gran lunga maggiore era la carità che sentiva per i poveri peccatori. “Non v’era giorno, dice il Tannoia, che non facesse qualche pesca”. Doveva egli sovente girar per le botteghe de’ librai, stampatori ed altri ad eseguire le commissioni affidategli, e di questo mezzo servivasi per esercitare un vero apostolato in favore dei giovani e dei lavoranti, insinuando loro la fuga del peccato e delle occasioni, il santo timore di Dio, la frequenza dei Sacramenti, la divozione a Maria SS .ma, con quella sua giovialità che non andava mai disgiunta da un contegno tutto religioso. Sapeva così bene introdurre dei discorsi edificanti che, lungi dal sembrare noioso od importuno, piaceva a tutti che l’ascoltavano; e così riuscivagli di tirare anime a Gesù Cristo. Era poi la sua cura principale rivolta a quelli che conosceva più bisognosi di riconciliarsi con Dio. Quindi adocchiato qualche giovinastro trascurato nelle cose dell’anima, non lo perdeva di vista fino a che non lo avesse ridotto a buona vita. Dei convertiti giovavasi a ricondurre in via di salute i loro fuorviati compagni, e cosi, l’uno chiamando l’altro, furono moltissimi guadagnati alla grazia, perchè dal suo zelo venivano guidati ai piedi del P. Margotta, che, assolvendoli, li mandava nel sangue di Gesù Cristo: ed in tal modo il nostro ospizio, per servirmi della espressione del P. Tannoia, addivenne come anticamera della penitenza. Derivarono sovente tali conversioni dal dono, che aveva, della scrutazione dei cuori. Essendo entrato in compagnia del sacerdote Don Francesco Colella in una bottega per comprare medaglie e corone, il mercante, ostentando pietà, incominciò a parlargli di cose di spirito. Egli, presolo in disparte, gli susurrò all’orecchio alcune parole. Quando Gerardo se n’era uscito, il mercante disse al Colella là rimasto : Quel religioso ha da essere un gran servo di Dio. Io resto fuori di me. Mi ha manifestato un peccato che solo era noto a Dio ed a me. Oltre la scrutazione dei cuori aveva anche la visione delle cose lontane. Era morto ai 5 d’ottobre in Materdomini il P. Angelo Latessa. Alcuni giorni dopo, quando la notizia non era potuta giungere a Napoli, stando in ricreazione col P. Margotta, preso da subitaneo estro: Ecco, esclamò, appunto in quest’ora è andato in paradiso il nostro P. Latessa. -Ai 14 dello stesso mese s’incontrò per le vie di Napoli con un suo concittadino di nome Pasquale, e subito che lo vide: Pasquale, gli disse, in Muro è succeduto il massacro dell’arciprete Coccicone. Venuta la posta, Pasquale ebbe una lettera che gli annunziava l’orrendo fatto avvenuto nello stesso giorno.
147. Siffatte meraviglie non potettero rimanere talmente nascoste, che gli occhi di più persone non si volgessero a lui. Scrive il Tannoia che “frequentando il P . Margotta le comunità più rispettabili ed essendo in somma stima, Gerardo, trattandoci anch’esso, altro non vi volle che parlasse per essere conosciuto e posto tra tutti in somma stima . Sommo concetto facevano di lui i PP. Pii Operarii, così i Gesuiti e Filippini, i quali persuasi dello spirito di Dio che assisteva il buon laico, godevano averlo seco, rapiti dalla sua umiltà e da quel vivere dimesso, raccolto e concentrato in sè stesso che spiccava in lui. Preso restò di lui, tra tutti, il P. Francesco Pepe della Compagnia di Gesù, uomo noto per virtù e dottrina, il quale avendo conosciuto il fondo di santità che possedeva Gerardo, trattenevasi anche le ore intere a confabulare con lui”. Ed avendo questi, già da tempo prima, un’ampia facoltà dal Papa Benedetto XIV sul tesoro delle indulgenze, Gerardo aveva fatto ricorso a lui per mezzo del P. Margotta e ne aveva ottenuto una “indulgenza e plenaria per chiunque, che ogni otto giorni si fosse comunicato, e con questo mezzo, innamorando migliaia e migliaia di anime per Gesù , Sacramentato”, aveva procurato tanto ossequio al divin Sacramento, quanto cento predicatori (dicono i PP. Giovenale e Caione) ottenuto non avrebbero. Durante questo suo soggiorno in Napoli, divenuto il confidente del P. Pepe, cooperò con lui a promuovere il bene nella città; mentre quegli lo prese come in aiuto per arricchire le anime di quei celesti tesori, “assegnandogli (dice il Tannoia) buon numero d’indulgenze plenarie per dispensarle a chi voleva, cioè per chi frequentava la comunione, per chi giornalmente avesse visitato Gesù Sacramentato; così ancora per chi onorava Maria SS. con culto speciale, visitando la sua immagine, facendo digiuno nei giorni di sabato. Similmente ne ottenne facoltà di dare l’altare privilegiato ai sacerdoti morigerati e divoti. Questo ed altro ebbe Gerardo dal P. Pepe”. In prova di ciò riportiamo una lettera del Santo, che sebbene porti una data più tarda del tempo, in cui siamo col racconto, pure fu scritta prima che ei fosse definitivamente traslocato da Napoli. “Alla M. R. M. la veneranda Madre Suor Maria Celeste del SS. Salvatore, Priora nel Monastero del SS. Salvatore di Foggia. Jesus Maria. La divina grazia e consolazione dello Spirito Santo nostro sia sempre nell’anima di V. Riverenza e di tutte le vostre figlie, e Mamma Maria SS. ve la conservi. Amen. Amen. Cara Nostra Venerabilissima Madre, dopo le mie urgenti preghiere al molto Reverendo Padre Francesco Pepe della Compagnia di Gesù, il quale, come sapete, ha tutte le autorità, concessegli dal Sommo Pontefice, di dare ogni indulgenza, ho già ottenuto, grazie a Dio ed a Maria SS., le seguenti indulgenze che saranno applicabili, per tutte le vostre figlie, anche per le signore educande, tanto per le presenti, quanto per tutte quelle che verranno appresso, in perpetuo, col solo peso di comunicarsi ; e sono: 1. Indulgenza plenaria nella festa della Santissima Trinità. 2. Indulgenza plenaria in tutte le feste di Gesù Cristo. 3. Indulgenza plenaria in tutte le feste di Mamma Maria SS.ma. 4. Indulgenza plenaria in tutte le feste de’ Santi Apostoli. 5. Indulgenza plenaria nella festività di San Giovanni Battista. 6. Indulgenza plenaria nella festività di Sant’ Anna. 7. Indulgenza plenaria nella festività di San Giuseppe. 8. Indulgenza plenaria nella festività di San Michele Arcangelo. 9. Indulgenza plenaria nella festività di San Gioacchino. 10. Indulgenza plenaria nella festività di Sant’Elisabetta. “Solamente la prego a far conservare la presente lettera, acciò quelle che succederanno appresso, possano approfittarsi delle stesse sopradette indulgenze ed insieme si ricordino che sono tutte in obbligo di pregare il Signore per me, d’ applicarmi quelle indulgenze che potranno per suffragio dell’anima dopo la morte mia. Lo stesso resti raccomandato a tutte le Priore future, pregandole pure di farmi applicare qualche
comunione. E precisamente lo ricordo alla Priora che governerà immediamente dopo la mia morte, che mi faccia applicare per otto giorni da tutte le sorelle le indulgenze che guadagneranno in quel tempo. Dal canto mio, io mi ricorderò di pregare il Signore lddio per loro, acciò le faccia sante. Amen. Mi farà grazia V. R. di salutarmi tutte le mio sorelle e che preghino tutte lddio per me, come mi hanno promesso tante volte costà. V. R. lo faccia per ubbidienza e resto con voi tutto in Gesù Cristo. Napoli 8 di marzo 1755. Avvertano le nostre sorelle che per guadagnare le suddette indulgenze bisogna che facciano l’intenzione la mattina o avanti di comunicarsi. Mille saluti a D. Nicola mio: io assai mi raccomando allo sue sante orazioni come io già lo fo per lui. “Di V. R. indegno servo e fratello in G. Cristo, Gerardo Majella del SS. Redentore”. Qui notiamo che secondo la volontà del Servo di Dio il prezioso autografo fu conservato con sentita venerazione nell’archivio del monastero, in cui più volte dopo la santa morte del Fratello si ottennero guarigioni mercè questa cara reliquia. In ispecial modo vuolsi ricordare come nel 1840, una educanda di nome Raffaella Pitassi, affetta da gran male di occhi, al primo applicarvi sopra la lettera summenzionata fu all’istante libera da quel malore. Ma questa stima, ch’egli aveva guadagnata presso le persone religiose, era nulla a confronto di quella che ogni giorno gli si accresceva presso il popolo ed ogni ceto di persone. “Tutto giorno (dice il Tannoia), vedevasi in nostra casa quantità di persone che venivano da lui: chi per ricevere consiglio, chi per infervorarsi nello spirito ai di lui santi discorsi, chi per fargli presente lo stato cattivo della propria coscienza, onde disporsi a fare una Santa confessione, chi per raccomandarsi alle di lui preghiere, chi finalmente, per implorare da lui grazie e favori celesti nei suoi bisogni temporali”. Si vedevano fra questi visitatori anche dei personaggi di riguardo del clero secolare e regolare, i quali non finivano d’ammirare l’infusione soprannaturale della scienza di lui. Sopratutti ne faceva grandissima stima quell’eccellente pittore che fu Paolo Di Maio, venuto in tanta celebrità per le rare virtù praticate in mezzo al secolo, fra i rumori della capitale. Non la finiva questi di ammirare le virtù di Gerardo: non avrebbe voluto giammai distaccarsi dal suo fianco: tanto egli ne aveva penetrato la bontà dello spirito e la moltiplicità dei doni soprannaturali. Intorno a questo uomo di Dio, legato per santa amicizia al nostro santo Fratello, ne piace qui riferire quello che di lui ebbe scritto il R. P. Baravelli Barnabita nella storia del Beato Francesco Saverio Bianchi della stessa Congregazione. “Un tal giorno Paolo aveva contato al B. Bianchi, da cui riceveva le norme della vita spirituale, essergli apparsa visibilmente Maria SS.ma, ed avergli promesso che gli darebbe posto nel Cielo alla sua propria destra. Al che il Padre saviamente rispose con una asciutta ed agra rampogna, quasi l’avesse per fantastico ed orgoglioso; e il semplice discepolo si contenne in dirgli che fra pochi giorni vedrebbe il vero . Ora avvenne che Paolo volle far celebrare una messa all’altare del B. Paolo d’Arezzo nella Chiesa dei P P . Teatini in Napoli: celebrava il P. Bianchi e Paolo gli era ministro. Ecco nel mezzo dei sacri misteri, Francesco Saverio sente come un’aura trascorrere a lambirgli il capo: leva gli occhi e mira con indicibile stupore il di Maio librato in aria alla diritta della Beata Vergine la cui immagine era al di sopra dell’altare . Paolo tutto spirante giubilo : Lo vedete, disse, Padre, lo vedete?” cui rispose il Beato. “Si, si: ho veduto ; scendi subito, scendi” . E la visione si dileguò. Sparsa la voce per Napoli di questi doni soprannaturali di Gerardo, specialmente della scienza in fusa, che Iddio gli aveva sì largamente concessa, in modo da non cederla a verun teologo, avvenne più d’una volta che certi ecclesiastici spinti da curiosità, per isperimentarlo, andassero a proporgli dei dubbi teologici. Il P. D. Celestino de Robertis , avendo assistito ad un trattenimento di questo genere, così ce ne fa il racconto: Stando in Napoli , “briga attaccò un giorno sopra il mistero della e SS. Trinità un sacerdote che attualmente vi stava , studiando il trattato. Vari punti si toccarono da questo: come la generazione del Verbo, la coeternità del Padre col Figlio, e la processione da tutti e due dello Spirito Santo. A tutto, più che teologo, rispose il fratel Gerardo. Io restai stupito della maniera come veniva attaccato e della proprietà e chiarezza, con cui si spiegava. Non solo non si dette per vinto, ma non dovette far poco il sacerdote per non restarne intricato”.
148 . Che Gerardo facesse del tutto per ismentire la pubblica opinione sul suo conto, dirlo non è mestieri; ma i suoi sforzi furono vani. Un giorno, che stavasene intento alle faccende domestiche, udì battere alla porta. Accorso ad aprire, videsi innanzi un valletto in gran livrea, che gli disse: La signora duchessa di Maddaloni desidera il fratel Gerardo. A questa domanda, come meravigliato, subito rispose: Io non so come costui si cerca: egli è uno scemo, mezzo pazzo. In Napoli non si sa ancora quale egli sia. Dite così alla signora duchessa. Questa, ricevuta tale risposta, rimproverò il servitore che non l’avesse condotto seco, perchè, diceva, quegli appunto era desso: e poi rivolta ad un’immagine di S. Anna : Ti prego, disse, a tenermi in vita con la tua intercessione mia figlia almeno fino a domani. Il dì seguente di buon mattino si portò alla chiesa dello Spirito Santo e si pose vicino alla porta ad aspettarvi il Servo di Dio, che secondo il solito, doveva venirvi. Tosto che lo vide entrare, gli si avvicina, dicendogli : Tu devi ottenere la guarigione a mia figlia. Ecco là, rispose Gerardo, facendo segno verso il SS. Sacramento, quegli, e non io, dispensa le grazie ed opera prodigi. Sia di chi si voglia, ripigliò la duchessa, ma io voglio la grazia . Entrò, ciò detto, nella chiesa, per assistere alla Messa, mentre Gerardo si ritirava in un canto a pregare. Dopo pochi minuti un cameriere venne correndo a chiamare la duchessa , annunziandole che sua figlia era guarita.
149. Questi fatti avevano già menato rumore per Napoli, quando a mettervi il colmo ne venne un altro, che ci viene così narrato dal P. Landi: “Trovandosi un giorno Gerardo per divina disposizione in un luogo della marina di Napoli, chiamato la pietra del pesce, vide che una barchetta con più persone dentro non poteva approdare per la violenza dei flutti che la respingevano dal lido. Crescendo ancora più la tempesta, il naufragio era imminente. Allora intenerito alle grida dei naufraganti e dei loro congiunti, che erano accorsi senza poterli giovare, si gettò sull’omero sinistro il mantello, si segnò di croce ed entrato nel mare senza affondare, prese con una mano la barchetta e la tirò nel lido. Miracolo, miracolo, esclamarono tutti gli astanti e, mentre egli fuggiva nei vicoli onde sottrarsi agli applausi, tutti gli correvano appresso, gridando al e santo”. Come se avesse commesso un delitto, Gerardo andò a nascondersi nella bottega di un suo conoscente, di nome Gaetano, ottonaio, nella via Forcella, e vi si tenne nascosto fino a notte, temendo di essere riconosciuto. Avendo il P. Margotta saputo l’accaduto, gli disse: “Ma come facesti a tirare quella barca sul lido?” – “Padre, rispose Gerardo, quando Iddio vuole, tutto si può”. E dopo il suo ritorno a Materdomini, avendogli il Padre Caione chiesto anche lui in presenza del medico Santorelli, come passò il fatto della barca: L’ afferrai, rispose il Fratello sorridendo, con due ditella, e la tirai a terra. “Ti buttasti a mare, soggiunse il medico, perchè sentivi gran caldo”. E Gerardo: Come stavo in quel giorno, ci sarei andato anche per aria. Intanto nel dì seguente il sacerdote D. Camillo Bozio di Caposele trovandosi per affari in Napoli era uscito con lui per la città. Per via, nel largo del Castello s’imbatterono in un abate, il quale, additando Gerardo, disse ad un suo compagno: ecco quello che ieri si buttò in mare. L’ebbe sentito appena il Servo di Dio, che si diede ad affrettare il passo in modo che il sacerdote Don Camillo non potè più tenergli dietro: e, sebbene due popolani gli si attaccassero addosso, gridando a ,squarciagola: il Santo! il Santo! ecco il Santo! l’umile Fratello cercò svincolarsi e riuscì ad evadere con la fuga, lasciando sulla via il suo amico. A questo fatto della barca salvata, che gli aveva suscitato intorno tanta fama di santità, era venuto ad aggiungersi un altro per lui più dispiacevole. La duchessa d’Ascoli, D. Eleonora Sanfelice, aveva avuto occasione d’ammirarne nelle Puglie la santa e portentosa vita. Laonde appena l’avea saputo venuto a Napoli, cominciò ad esaltarne presso tutti l’eminente santità: donde venne che varie cospicue dame ne reclamassero con grandi istanze al P . Margotta la consolazione di una visita. Come negarlo in una città, dove ancora si aveva bisogno di tutto? Quindi il Santo cui era in delizia di tenersi, più che fosse possibile, nascosto, o di apparire tra i poverelli a chiedere l’elemosina nella porteria dei PP. Filippini, dovè cedere all’ ubbidienza, o così, per servirmi delle parole del padre Francesco Alfano nel processo di beatificazione, si vide forzato a recarsi in qualcuna di quelle fastose dimore. La sua umiltà ne soffriva grandemente; conciossiachè gli riuscisse grave di vedersi fatto segno di stima: ma la divina Provvidenza gli venne in soccorso: perchè il P. Margotta, malgrado del dispiacere, che sentiva al pensiero di doversi separare da un così santo compagno, pure pregò S. Alfonso d’allontanarlo, almeno per alquanto tempo, da Napoli. S. Alfonso, riconosciuta la ragionevolezza della domanda, lo destinò nuovamente a Materdomini. Egli, ricevutane con piacere la notizia, scrisse ad una Teresiana di Ripacandida, il giorno di Ognissanti, vigilia di sua partenza, dicendole: “Io mi ritiro da Napoli. Pregate sempre Dio per me, e ditegli che mi faccia santo per carità, perchè io perdo il tempo. O Dio mio, che mala fortuna è la mia che faccio passare tanti momenti ed ore e giorni inutilmente, cioè senza saperne approfittare! Oh quanto ci perdo! Dio sia quello che mi perdoni! E perciò fatemi, vi prego, la carità di raccomandarmi sempre al mio Signore. In quanto poi al venire io costà, lo tengo impossibile, perchè io non lo cerco ai miei superiori, essendo questa la strada che m’insegna il mio Dio e mio Signore; ed ora che mi ritiro pregherò che mi fabbrichino una stanza, ove, a Dio piacendo, viva ritirato, acciò non esca più di casa, e spero di ottenerlo”. Però questo ritiro che egli cercava nella sua celletta, non l’ebbe per lungo tempo; perchè, in appresso, quando il Padre Margotta credette sopita tutta quella fama che di lui s’era suscitata in Napoli, non pose indugio per ridomandarlo nuovamente a compagno in quella metropoli, il che gli fu concesso. Parti dunque di nuovo Gerardo alla volta di Napoli con lo stesso P. Margotta, che in quei giorni era capitato in Materdomini, e vi giunsero verso i primi di marzo del 1755, dopo essersi trattenuti alcuni giorni in Calitri, patria del Margotta.
150. Il ritorno di Gerardo in Napoli fu bentosto segnalato da un fatto in cui risplende la divina giustizia. Raccontano i due biografi del Santo, Tannoia e Landi, che egli, per evitare gli applausi e per meglio conservare l’interno raccoglimento, come nel primo soggiorno, così in questo nella capitale, aveva l’uso di passare per un vicolo poco frequentato. In un pianterreno di quel vicolo abitavano due bagascie, le quali, in vederlo andare così raccolto, lo schernivano. Un giorno, resesi più ardite, gli andarono incontro, una con un tamburello in mano, l’altra con un calascione appeso al collo, e suonando ciascuna il proprio strumento gli cantavano oscenità, accompagnate da gesti scorretti. Preso, a tanta baldanza, da santo zelo e postesi ai fianchi le mani, in tono severissimo: Dunque, disse, dunque non la volete finire e volete vedere davvero un gran castigo di Dio? Aveva appena proferita l’ultima parola, quando colpita nel petto da una mano invisibile, una di quelle squaldrine, com’è da supposi la più rea, cadde a terra gridando: Madonna mia, muoio. Speriamo che quel grido al rifugio dei peccatori, Maria, le abbia impetrato misericordia: ma essa già stava innanzi al giudizio di Dio!
151. Il P. Tannoia riferisce un altro fatto che sembra anche degno d’essere ricordato. Un uomo più ozioso che povero, fingeva di trascinarsi a stento su le grucce o per lo più restava a giacere vicino alla casa dei nostri, accattando elemosine dai passanti, cui mostrava le gambe ravvolte da fasce e pezzuole. Gerardo, avendolo già più volte avvertito invano di por termine al fraudolento mestiere, un giorno, preso da zelo, gli strappò la bugiarda fasciatura e: Furbo, gli disse, se non vuoi morir dannato, non burlare più, Dio e il prossimo. A questo intìmo, gettate le grucce, l’infinto storpio prese la fuga, mostrando così come avesse le gambo buone. Nel mese di maggio 1755 ebbe ordine di partire coi Padri, che andavano per una missione in Calitri. “In questa missione, scrive il Tannoia, operava per mille. Profezie, conversioni, penetrazione dei cuori, tutto giorno si vedevano: ed ai Padri altro non restava che vedersi i peccatori commossi e contriti e fargli degni della sacramentale confessione”. Poichè siamo ritornati in Calitri, profittiamo dell’occasione per narrare di volo alcuni prodigi che vi fece pochi mesi prima, quando vi venne col P. Margotta, prima d’andare per la seconda volta a Napoli. Era gravemente infermo il cerusico, signor Giovanni Cioglia. Risanato all’istante ad un suo segno di croce, tutti gridarono: Miracolo! Egli, senza nulla scomporsi, esclamò : Tanto sa fare l’ubbidienza! volendo così mostrare che la guarigione ora avvenuta solo perchè il P . Margotta l’aveva comandata . Nello stesso tempo, questo Padre gli comandò che andasse a visitare un gentiluomo, fratello di una religiosa, già ridotto all’orlo del sepolcro . V’andò, e col solito seguo di croce lo restituì alla prima salute - La signora Arcangela Rinaldi, essendo venuta in casa Berilli, dove Gerardo alloggiava, fu improvvisamente assalita d’emicrania . Col solo posarsi sulla testa il cappello di lui, ne restò libera. Questo fatto rese industriosa la famiglia ospitale a donare un paio di scarpe nuove al Santo per ritenerne quelle vecchie, le quali dice il P . Laudi, furono in appresso “tanto celebri in Calitri, che andarono e tuttavia vanno in giro pel paese, operando prodigi”. Le anime più dei corpi sentirono la benefica possanza del servo di Dio. Una certa Maria Candida Strace, sorella dell’ Arciprete di Andretta, volendogli manifestare le sue perplessità di coscienza, non se ne sentiva il coraggio. Orsù, le disse, giacchè non vuoi parlar tu, parlerò io, e prese a dirle filo per filo le sue cose interne . Ella. restò sorpresa e riacquistò la pace . Nel monastero delle Benedettine “vi era, come narra il P . Tannoia, una religiosa siffattamente agitata da scrupoli, che mai nessuno riuscì a quietarla. Abboccandosi con Gerardo, egli, senza che spiegata si fosse, le fe’ presenti le sue angustie, ed avendo posto in esecuzione quando le fu raccomandato dal savio fratello, non tardò a sentirsi libera da ogni travaglio”.
152. Finita la missione in Calitri, il nostro Santo ebbe di nuovo per residenza il Collegio di Materdomini, donde non fu più rimosso fino alla morte. Per vedere le grandi virtù che vi esercitò e la possanza che là Dio gli diede, è necessario d’incominciare dalla permanenza che vi fece prima di andare per la seconda volta a Napoli, il che faremo dopo aver fatto conoscere ai nost1i lettori tutte le lettere che di lui ci sono rimaste, affinchè meglio vedano quali alti sentimenti albergassero nel suo nobilissimo cuore.