Il principale carnefice
CAPITOLO IX
Ritornato presso la mamma, dopo i funerali del Vescovo, Gerardo ripensò al convento, che lo attirava irresistibilmente. Non sentiva inclinazione verso la vita secolaresca, ma aspirava a quella cenobitica, perchè favorevole al raccoglimento e all'unione con Dio che, per lui, costituiva quasi il paradiso sulla terra. Non lo attiravano le vanità del mondo, ma le gioie del Cielo che voleva perciò conquistare vivendo quale pellegrino su questa valle di lacrime. Non era come le sorelle che, a una a una, erano passate a nozze, ma aspirava a una "famiglia di anime da conquistare a Dio con la eloquenza dell'esempio che ravvalorasse anche le sue parole".Diffidava però della propria libertà, che per troppi suoi coetanei degenerava in libertinaggio': preferiva quindi sacrificarla sotto il soave giogo dell'ubbidienza religiosa. Temeva i pericoli del secolo, tra i quali tanti suoi compagni perdevano la loro innocenza prima di averne conosciuto l'inestimabile valore. Desiderava perciò consacrare il cuore al buon Dio e alla V ergine, affinchè esso non palpitasse che per Loro. Contento di esser nato povero e di vivere nella indigenza, come il Redentore, non invidiava i ricchi anche perchè ne conosceva qualcuno che succhiava il sangue ai propri dipendenti, ma aspirava invece, come il Poverello di Assisi, a "madonna Povertà " per conseguire la vera ricchezza del Cielo.
Ma la sua aspirazione alla vita cappuccinesca non si confaceva al suo fisico reso così gracile specialmente dalla penitenza, alla quale lo assoggettava per assomigliare al divin Sofferente. Risalito quindi al convento dei Cappuccini, non vi fu accettato neppure come laico. Penosamente deluso, ma rassegnato alle divine disposizioni, dovette perciò discendere per dedicarsi al mestiere di suo padre, alle dipendenze del nuovo padrone Vito Mennona, sarto ancor giovane, ma apprezzato perchè molto esperto e di sentimenti cristiani.
Costui cominciò subito a stimare Gerardo
per le sue virtù, che lo rendevano ammirabile ed esemplare. Anche divenuto vecchio, il Mennona parlava del suo "caro allievo'" con venerazione per esaltare il suo spirito di preghiera, la sua ubbidienza e attività, la sua compassione verso i poveri e le anime del Purgatorio. Della sua stima verso il Santo rese testimonianza anche il figlio Pasquale al Processo apostolico': "Mio padre -dichiarò il teste -diceva cose mirabili del ven. Servo di Dio, specialmente delle grandi penitenze da lui praticate e di molti miracoli ... "
Il Majella stava volentieri con il Mennona, perchè contento d'impraticarsi nel mestiere, ma appena divenuto esperto, preferìaprire bottega per conto proprio verso la fine del 1745. Il suo fine principale non era il lucro, ma la libertà di attendere meglio agli esercizi di pietà, ai quali sentiva una irresistibile tendenza. Ma lavorava anche indefessamente per provvedere al mantenimento della mamma e poter soccorrere "i poverelli di Gesù Cristo'". Talvolta, se si trattava di qualche cliente povero, gli condonava il pagamento del dovuto per amor di Dio. Anche del denaro, che ricavava dal suo lavoro, faceva parte agli indigenti, per soccorrere i quali si privava perfino del nutrimento. Questa sua esemplare carità fu premiata con un miracolo. Un poverino aveva consegnato al Majella del panno insufficiente per un vestito; il tessuto però manipolato dal Santo, aumentò talmente ch'egli non solo potè cucire l'indumento, ma avanzare perfino uno scampolo. Quando, provato il vestito, si constatò ch'esso si attillava benissimo alla persona del cliente, costui ne rimase sorpreso e poi edificato allorchè il sarto gli regalò perfino lo scampolo, che avrebbe potuto tenere con sè.
Con il guadagno, Gerardo suffragava inoltre le anime purganti, ch'egli considerava "poverette bisognose di soccorso'". Quando difettava il lavoro, se ne rammaricava per non potere sovvenire a quelle anime, per le quali sacrificava anche il proprio nutrimento. Perciò sua madre, nel vederlo digiunare così eccessivamente a detrimento della sua già precaria salute, si lamentava con lui. Ma Gerardo le disse': -Mamma, a noi provvederà il buon Dio, che non ci lascierà mai mancare il necessario.
Alla fìne della settimana, raccoglieva il denaro in tre mucchietti': il primo era riservato ai'"poveri suoi padroni"; il secondo alle anime del Purgatorio, a suffragio delle quali faceva celebrar Messe; il terzo era per la mamma, perchè a lui non occorreva denaro. Gli bastava un vestito liso per coprirsi e pochi seccherelli di pane, che sgranocchiava tra una gugliata e l'altra, quasi con rincrescimento di dover provvedere al proprio corpo; il quale altrimenti avrebbe ceduto all'inedia.
Intanto però, a grado a grado ch'egli si distaccava dai beni terreni, si arricchiva di amor divino; perciò la sua vita consisteva nell'amare il Signore con cuor ardente e a prezzo di continui sacrifici per Lui e le anime. Non si. accontentava della Messa quotidiana e della Comunione frequente, ma moltiplicava le visite al Santissimo, dinanzi al quale rimaneva spesso estatico in serafica adorazione.
Secondo il biografo Caione, "Gerardo frequentava una chiesa solitaria, dove si tratteneva quasi tutta la giornata per servire alle numerose Messe, che vi si celebravano e pregare. Talora, provvisto di poco pane, si ritirava dentro quella chiesa per alcuni giorni, e vi trascorreva anche la notte in una quasi continua orazione".
Il Tannoia scriveva ch'egli "considerava quella chiesa come il suo paradiso, dove passava parte della notte in fervorose preghiere e parte nel flagellarsi crudelmente ... Non si sa cosa mai avvenisse durante quei ritiri tra il Santo e la Vergine, ma so ch'egli godeva tanta pace e provava delizie celestiali nel parlar con Dio e la Mamma santissima".
Talvolta il Majella radunava ragazzi del popolo che cercava un po' dappertutto, per accompagnarli dinanzi alla Vergine e cantar con loro belle lodi a onore della Sovrana celeste e del divin Bambino ch'Ella stringeva al cuore.
Intanto però il lavoro non progrediva e i clienti quindi se ne lagnavano. Alcuni di essi perciò lo consideravano quale essere strano, perchè dimentico del proprio interesse e rassegnato a vivere come gli uccelli, alla giornata, senza preoccuparsi del domani. Ma venne l'aumento dei balzelli a richiamarlo alla dura realtà della vita quotidiana, perchè sprovvisto del denaro indispensabile
per pagar le enormi tasse, che imponevano agli artigiani gli esosi Orsini e il regio fisco. Per sottrarsi alla gravissima tassa che l'amministrazione comunale voleva imporgli per l'esercizio dèl suo mestiere, il Majella chiuse bottega e accettò la proposta del concittadino Luca Malpiedi, che lo invitava a fare il sarto presso una scuola d'istruzione superiore da lui fondata a S. Fedele. Ma la nuova sistemazione non era affatto lusinghiera perchè, per il suo carattere remissivo, il Santo divenne presto lo zimbello degli studenti e dello stesso Malpiedi. "Petulanti e maligni, -come lasciò scritto uno di essi poi divenuto Redentorista -quegli studenti facevano il Santo bersaglio delle loro insolenzea". Anche il Landi scriveva che "Io torturavano è percuotevano perfino quando era a letto. Invece di riprenderli, il Malpiedi gareggiava con essi. Spesso anzi usava con lui lo staffile, di cui si serviva per tenere la disciplina in classe. Ma il Santo non reagiva; solamente quando non ne poteva proprio più, diceva ai suoi torturatori, che la finissero. Forse, per sopportare tanti affronti in pace, pensava aGesù flagellato al pretorio e deriso alla Corte di Erode". "Perciò -attestava lo stesso Malpiedi -sofferentissimo, ma allegro, sopportava le battiture'".
Dopo circa un mese di questa dura prova, il Majella ritornò a Muro non per sottrarsi a quei maltrattamenti, ma per infierire contro se stesso perchè, come scrive il P. Ferrante, "portava con sè il principale carnefice': cioè l'amore a Dio. Questo amore richiedeva sempre nuovi strazi e nuove umiliazioni per riprodurre la Passione del divin Maestro. E Gerardo ne andava in cerca con assiduità e tenacia, sfruttando abilmente tutte le circostanze di tempo e di luogo".