Apoteosi
CAPITOLO XXXVIII
Sempre ubbidiente durante la sua carriera mortale, anche dopo la sua dipartita da questa valle di lacrime, il Santo si manifestò docile al Superiore che sostava in preghiera dinanzi alla sua salma venerata. Essa esalava un celestiale profumo, perché il Majella era passato sulla terra come un effluvio di viole e di gigli.
Prima di rivestire della tonaca il suo cadavere, il P. Ministro lo salassò a un braccio, dal quale uscì vivo sangue. Allora, commosso egli fece destar tutta la Comunità per informarla del beato transito dell'indimenticabile Confratello, che sembrava dormisse alla luce dell'aurora nascente, con il Crocifisso sul petto e le palpebre socchiuse.
Quindi il P. Ministro gli parlò come se fosse stato ancor vivo':
-Gerardo -gli disse con voce incrinata dalla commozione. -Nel nome della SS. Trinità e in virtù di santa Ubbidienza, vi comando di manifestare un segno della vostra virtù operando qualche miracolo.
Poi gli incise una vena, dalla quale spicciò abbondante sangue, di cui i confratelli inzupparono pannilini da conservarsi quali preziose reliquie.
Quando poi, ai primi raggi del sole nascente, si dovette annunziar la dipartita del Santo con i funebri rintocchi delle campane, il fratello Carmine Santariello, invece di suonare a morto, suonò a festa come per le grandi solennità. Rimproverato per questo strano modo di annunciare la morte di un confratello, il Santariello si giustificò dicendo che, per una forza misteriosa che influiva su di lui,
non avrebbe potuto fare altrimenti.
Come scriveva il Tannoia, "il Santo apparve, appena spirato, a una persona virtuosa e devota di lui. Egli era giulivo e rivestito della talare di Redentorista. Quando invece, poco dopo il transito, il Santo le riapparve, era vestito riccamente e radioso di gloria.
-Iddio -le disse il Santo, -premia copiosamente in Cielo i piccoli travagli che,
per amor suo, si soffrono sulla terra. -Anche al P. Petrella apparve per manifestargli la gloria che già godeva in Paradiso ".
Appena la notizia del beato transito si " diffuse per il paese, fu un accorrere di gente desiderosa di vedere per l'ultima volta e venerare la salma dell'indimenticabile Estinto. Essa era già esposta sul cataletto dentro la chiesa, che subito, appena aperta l'entrata, si gremì di fedeli e devoti. La sfilata dei visitatori d'intorno alle venerate spoglie del novello Santo olezzanti e rese imponenti anche dalla maestà della morte, continuò per ore e ore, in religioso silenzio, anche perché il viso dell'Estinto era imperlato di un misterioso sudore. Tutti i ceti sociali erano rappresentati da quella folla devota, commossa e desiderosa di possedere una reliquia del Santo. Perché i più audaci gli tagliavano la talare e i capelli, si posero guardie d'intorno al feretro affinchè tenessero lontani da esso gli indiscreti. Specialmente i poverelli, beneficati dal santo, ne rimpiangevano la scomparsa, perché convinti di aver perduto non solo un fratello, ma anche un padre. Anche gli sventurati erano inconsolabili per avere perduto il loro confortatore.
Con la partecipazione di quella innumere moltitudine, si celebrarono in quello stesso mattino le esequie del glorioso Scomparso, ma invece di esequie funebri, esse sembravano onoranze trionfali.
"Certo -osserva il biografo Ferrante, -da quella bara cominciò il viaggio. trionfale del Santo per il mondo. Tutti infatti lo conobbero e lo benedicono tuttora per i suoi miracoli'".
Quanti prodigi! Perciò S. Alfonso chiamò Gerardo "nuovo S. Pasquale Baylon "e il Tannoia scriveva che, "se si fossero registrati tutti i miracoli da lui operati dopo la sua morte, non sarebbe bastato un grosso volume a contenerli'".
Dopo la Messa, il P. Buonamano tessé l'elogio funebre del glorioso Taumaturgo per esaltare le eroiche virtù di lui.
Poi, alle tre del pomeriggio, il P. Ministro fece accendere le candele dell'altar maggiore, per rivolgere alla moltitudine, che si rinnovava continuamente, una breve esortazione:
-Preghiamo Iddio -concluse l'oratore -che manifesti a voi tutti un nuovo segno della santità del suo Servo fedele!
Egli si avvicinò quindi al feretro e dopo il precetto di ubbidienza a nome della SS. Trinità, il P. Ministro incise nuovamente il braccio del Santo, dal quale sgorgò ancora parecchio sangue.
A questo nuovo prodigio, tutti esultarono di gioia per la confermata santità del glorioso Scomparso, per il quale era già incominciata la vera vita: vita di pace, di beatitudine e di felicità senza tramonto.
Prima di procedere alla sepoltura, che si effettuò con la imponenza di una spontanea apoteosi due giorni dopo il transito, si affidò a un artefice l'incarico di ritrarre i soavi lineamenti dell'immortale Estinto. Si prese la maschera del suo viso atteggiato a serenità e quasi nella posa di dormiente.
Quantunque sul suo sepolcro non si fossero incisi che il nome del Santo e alcune date, pure esso cominciò a essere meta di devoti pellegrinaggi. Ciò anche perché, pii! che un sepolcro, quella era una perenne fiorita di continue grazie e di miracoli, che si ottenevano per intercessione del glorioso Servo di Dio.
Eppure, sempre umile durante la sua vita mortale, parve che, anche dopo la sua scomparsa, il Santo attuasse il suo proposito di rimanere ignorato sulla terra per il suo grande amore al nascondimento.
Ciò perché, soltanto dopo circa un secolo,nel 1843, s'iniziarono i Processi informativi e il 17 del settembre 1847 l'angelico Pio IX lo proclamò Venerabile.
Da notarsi che lo stesso Fondatore era così convinto della santità di Gerardo, che si proponeva di scriverne la biografia per diffonderne la devozione. S. Alfonso lo stimava assai per la sua semplicità, per la innocenza della vita, per il suo spirito di penitenza e perla continua unione con Dio. Come scriveva il P. Giuseppe Papa, "il santo Fondatore ebbe il Majella in altissimo concetto, da tenerne tra mano la immagine sul proprio letto di morte".
S. Alfonso fece perciò raccogliere tutti i documenti riguardanti le virtù del suo grande "Figlio'", al quale egli stesso si raccomandò fiduciosamente prima di cambiare l'esilio con la Patria celeste.
La fama della sua santità non andò mai scemando con lo scorrere degli anni, perché, come scriveva il Tannoia, "grande era la fiducia che nel Servo di Dio avevano i popoli, che lo invocavano come un Santo canonizzato". Si richiedevano perciò le sue immagini, perché con esse si ottenevano segnalati favori. I primi a essere favoriti dal Majella furono i Redentoristi, come lo stesso P. Caione da lui liberato da una penosa angustia di spirito. Gerardo si manifestò riconoscente anche allo stesso biografo Tannoia che, ridotto sull'orlo della tomba, si era raccomandato a lui per la guarigione, con la promessa di scriverne la Vita se l'avesse ottenuta.
Con un dente del Santo, ritornò a novella vita il giovane nipote del Canonico Bozio de' Rogatis. La madre di lui, nell'applicare il dente al cadavere del figlio, disse:
-Gerardo mio, non mi date questo cordoglio: vi prego di rendermi il figlio vivo.
Dopo questa supplica, il cadavere aperse gli occhi e balzò dal cataletto pieno di vita, con somma consolazione di quella fiduciosa mamma.
Nel 1781 era gravemente ammalato un bimbo di Napoli. Ormai in condizioni disperate, il piccolo moribondo, nel cuor della notte, si destò dal suo stato comatoso, gridando:
-Mamma, ecco fratel Gerardo! Vedi com'è bello e lucente! -Al mattino successivo, il bimbetto era completamente guarito e in condizioni di seguir la mamma al sepolcro del Santo; dove ambedue andarono per ringraziare il Taumaturgo della segnalatissima grazia ottenuta.
Nel 1829 anche la malatina Agata Flavia venne guarita dal Santo che le apparve di notte.
Memoranda la prodigiosa guarigione di Giuseppe Santorelli nipote del dottore che aveva curato Gerardo. Perché il malato era ormai in gravissime condizioni, il fratello di lui andò a pregare al sepolcro del Majella e poi fece celebrare una Messa a onore del B. Alfonso de' Liguori, fondatore dei Redentoristi, affinchè comandasse a Gerardo di guarire Giuseppe. Quando egli tuttavia ritornò presso il capezzale dell'infermo, ebbe l'amara sorpresa di trovarlo peggiorato. Allora gli fece inghiottire una immaginetta del Servo di Dio, per la quale si addormentò di un sonno spasmodico. Durante questo sopore di altissima febbre, oppresso da un incubo quasi mortale, il malato sognò di trovarsi a Materdomini e di essere avvicinato da un Redentorista sconosciuto, ma assai amorevole e di graziosissimo aspetto, il quale gli sussurrò con voce soave:
-Sta' allegro, perché hai ricevuto la grazia! -Così dicendo gli mostrava il dottore suo avo sorridente e venerando. Quando il febbricitante domandò all'avo chi fosse quel Redentorista di meraviglioso aspetto, l'interrogato rispose:
-E' fratello Gerardo!
Poi costui gli segnò una croce sulla fronte e allora scomparve ogni malore. Destato dal sonno, Giuseppe si dichiarò completamente guarito, ma il medico curante non voleva credere alle sue dichiarazioni.
-Se sei veramente guarito, -soggiunse il dottore -alzati subito da letto.
Allora Giuseppe si alzò e volle anche mangiare, con gioiosa sorpresa dei familiari, che quasi non credevano ai propri occhi.
-Anch'io ero prevenuta della prossima guarigione di mio fratello ... -disse poi la sorella Camilla-Mentre infatti pregavo con fiducia dinanzi a una immagine di Gerardo, egli, mi sussurrò, con voce armoniosa: "Tuo fratello guarirà!”.
Questa prodigiosa guarigione fu una delle quattro approvate per la Beatificazione del Servo di Dio, la quale avvenne nel 1893 sotto il Pontificato di Leone XIII.
Ma la gioia di proclamare santo il Majella toccò al glorioso Successore del grande Papa: a S. Pio X il"Pontefice della Eucarestia".
Verso la fine del 1896, il seminarista Vincenzo di Gironimo, affetto di pleurite essudativa, era spedito dai medici. Il Rettore del seminario di Conza ricorse allora alla intercessione del novello Beato e, fatto sul morente un segno di Croce, gli applicò la reliquia di lui. Dopo un profondo sonno, il seminarista si destò completamente guarito. Anche la signorina Valeria Beerts, di nazionalità belga, affetta di meningite cerebrale e ridotta ormai all'agonia, riacquistò immediatamente la sanità mediante una reliquia del Beato.
Questi due prodigi servirono per la Canonizzazione del Majella promulgata l'undici dicembre del 1904.
Così S. Gerardo vivrà sempre in benedizione, perché, come osserva il P. Ferrante "conciliò in sè il massimo della libertà interiore e il massimo della conformità a Voleredi Dio ".