Luci di crepuscolo
CAPITOLO XXXV
Intanto il P. Caione riceveva la lettera, che Gerardo gli aveva scritta da Oliveto e con la quale lo informava di frequenti emottisi avute durante la questua.
Allarmato per queste notizie, simili a fulmini a ciel sereno, il Rettore scrisse al Majella di ritornare presso la famiglia Salvadore, a Oliveto, per riposare e curarsi. La sunnominata famiglia fu assai contenta di ospitare nuovamente il Santo. Mentre lo assisteva con ogni cura, arrivò a Oliveto anche il questuante Fiore, pure febbricitante, al quale fu assegnata una stanza attigua a quella occupata da Gerardo. Costui, appena informato di ciò, chiese al medico curante il favore di chiamare il confratello, dacchè egli non poteva andare a visitarlo.
Quantunque febbricitante, Fiore andò immediatamente alla cameretta del Majella che gli disse in tono di comico rimprovero:
-Come mai, voi questuante, vi lasciate assalir dalla febbre? Per s. Ubbidienza non lasciatela più ritornare!
Appena l'altro si dichiarò disposto a ubbidire, Gerardo pregò il medico di tastargli il polso. Il dottore glielo tastò e rimase gioiosamente sorpreso nel constatare che esso era divenuto normale.
-Vedete, signori miei! -osservò allora il Majella. -Tanto può fare l'Ubbidienza ...
Lo stesso giorno, il. Santo liberò prodigiosamente dalla febbre la sorella dell' Arciprete e un certo Stefano Masi di Caposele.
Risanò pure da alienazione mentale D. Domenico Sassi, che da circa sette anni più non celebrava ed era in condizioni disperate. Invitato a visitarlo, Gerardo andò a lui che, appena lo vide, cominciò a imprecare.
Allora il Santo gli tracciò un segno di Croce sulla fronte e poi disse.:
-Alzatevi e suonate!
Fattolo sedere al clavicembalo, cantarono insieme le litanie della Madonna. Accorsi a quel suono i familiari, tutti rimasero dolcemente sorpresi nel constatare quel sorprendente prodigio: il poverino, prima furibondo come un leone, divenuto calmo e mansueto come un agnello.
-Fino a mio nuovo ordine, -disse poi il Majella a D. Sassi, -vi asterrete dal celebrare, ma farete la Comunione. Due giorni dopo invece, mentre il Santo cenava con i suoi ospiti, disse loro:
-Domattina D. Domenico dovrà celebrare e voglio che voi vi comunichiate alla sua Messa.
Era il 28 di agosto del 1755 e tutta la popolazione di Oliveto si riunì in chiesa per assistere alla Messa di D. Sassi. perché però il Majella non usciva dalla propria cameretta, si andò a chiamarlo e lo si sorprese in estasi con il Crocifisso stretto al cuore.
Appena rinvenuto da tale stato, il Santo seguì i signori Salvadore alla chiesa, dove tutto procedette regolarmente con soddisfazione di quanti assistettero "al miracolo di fratel Gerardo ".
Curioso anche questo episodio.
Il nipotino dell'Arciprete, Giovanni Salvadore, aveva accalappiato un uccelletto, che mostrò con gioia al Santo. Costui, amico di tutte le creature, perché lo facevano pensare al Creatore, accarezzò l'uccellino e poi lo lasciò volar via per l'aria.
Allora il fanciullo, sconcertato e dolente, proruppe in pianto, perché voleva il suo uccello. Per confortarlo, Gerardo si sporse dal davanzale della finestra per richiamare a sè l'uccellino, che già frullava giulivo a perdita d'occhio.
-Vieni, belluccio mio -gli disse il Majella -Ritorna, perché il tuo padroncino piange scontento della tua libertà.
Alla sua voce, l'uccello ubbidì docilmente e ritornò tra le mani del Majella, che lo riconsegnò al ragazzo ridivenuto giulivo e sorridente.
Prima di partire di là, Gerardo visitò la famiglia Pirofalo, all'abitazione della quale lasciò un fazzoletto dicendo che, in avvenire, esso sarebbe servito. Giovò infatti alla giovane, la quale lo aveva ricevuto in custodia e si trovò poi in pericolo di morte per la sua prima maternità.
Prima di accomiatarsi dalla generosa famiglia che lo aveva ospitato con tante attenzioni, il Majella le confidò che ormai la sua morte non era lontana.
-Guardate di qui alla nostra Casa di Materdomini ... -disse a quei signori. Quando scorgerete un lenzuolo a una finestra, è segno che sono ancora vivo. Quando invece esso scomparirà, io sarò già morto ...
Benchè da Oliveto, per-la distanza di circa sei chilometri, si potesse scorgere appena confusamente il collegio, pure, nel giorno della dipartita di Gerardo, si vide comparir e poi sparire il predetto lenzuolo dalla finestra della sua celletta.
Prima di lasciarlo partire, D. Arcangelo Salvadore fece sottoscrivere al Santo una convenzione, con cui costui si obbligava a pregare per l'Arciprete, a soccorrerlo anche di lontano, ad assisterlo nel suo ministero parrocchiale anche dall'altra vita e a impetrare ubbidienza ai suoi penitenti.
La famiglia Salvadore venerò il Majella sempre come santo prima ancor che fosse canonizzato.
D. Arcangelo lo chiamava "angelo in carne, tutto amore verso Iddio e il prossimo'". Suo fratello Giuseppe lo giudicava "esemplare di tutte le virtù, specialmente dell'ubbidienza e prodigio di penitenza". L'altro fratello Filippo lo paragonava a S. Vincenzo Ferreri e altri lo elogiavano, perché "chiaro specchio di cristiana perfezione e di virtù eroiche, religioso tutto di Dio e che non poteva stare un solo momento senza di Lui'".
Tutti poi dicevano che Gerardo "era Santo per eccellenza e miracoloso".