Le prime tribolazioni
CAPITOLO II
9. Il Sartorello perseguitato. 10. Motivi della sua tolleranza. 11. Un’estasi che lo libera dalla persecuzione-. 12. Saggio di mortificazione e d’obbedienza. 13. Il Miserere che appicca Il fuoco, e la croce che lo spegne. 14. Riceve uno schiaffo e prepara l’altra guancia. 15. La Cresima. 16. Il servitore paziente. 17. Il S. Bambino nel pozzo. 18. La morte del Vescovo e il corrotto del servitore. 19. Sotto un nuovo maestro. 20. La pioggia dirotta che cessa all’istante . 21. Il panno scarso allungato con una stirata. 22. La carità verso i poveri e le anime sante del purgatorio e una parola alla madre. 23. Un passo innanzi nella perfezione. 24. Un’altra tribolazione in San Fele.
9. Dopo che Gerardo era stato ammesso alla prima comunione, tra gli undici e dodici anni di età, rimase; orfano di padre, e dalla madre fu posto presso un certo Martino Pannuto, affinché v’imparasse l’arte del sartore. La sua docilità ed attenzione, unite sempre al grande spirito di pietà, gli guadagnarono in breve la benevolenza del padrone, ma gli provocarono contro la persecuzione del capogiovane di bottega. Costui, d’indole perversa e crudele, vedendo di mal’ occhio che egli andasse di tanto in tanto in Chiesa, o che restasse tra il lavoro spesso assorto in Dio, non cessava mai di beffeggiarlo e sovente, tacciandolo di scansafatica, scendeva eziandio a percuoterlo. Alle per cosse Gerardo,anzicchè piangere o risentirsi, abbassava il capo e soffriva con pazienza . Battimi, diceva, che n’ hai ragione. Da ciò quell’empio prendeva più ansa ad incrudelire. Una volta gli scaraventò sul capo dei pugni così violenti, che ne cadde stramazzato. Sopraggiunto in quel punto il Pannuto, voleva spiegazione del fatto e, mentre l’iniquo, non sapendo che rispondere, mormorava tra le labbra: Lo sa ben egli, che lo dica, Gerardo subito riprese: Maestro, son caduto. Queste parole longanimi, che , tacendo a mezzo la verità, mettevano in salvo il persecutore dalla severa punizione che già gli pendeva sul capo, non valsero a disarmarne l’animo feroce. Conciossiacchè era appena passato qualche giorno, che, colto un nuovo pretesto, l’afferrò per un braccio, e con una spranga di ferro si diede a percuoterlo senz’ombra di pietà, mentr’ ei, tra tante contusioni, non faceva che ripetere: Io ti perdono per amore di Gesù Cristo.
10. Donde prendeva la forza un giovanetto, che pur non era di genio indolente, o di tempra flemmatica, per tollerare vessazioni tanto ingiuste e tanto crudeli, senza mai un moto di vendetta , senza un lamento, rassegnandosi sempre, e sempre perdonando di cuore? Ei lo disse: Io ti perdono per amore di Gesù Cristo! Amava Gesù Cristo: voleva imitarlo, ecco il fonte segreto. Oltre a ciò la sua pazienza partiva ancora da un altro motivo non meno nobile, non meno sublime. Imperocché un giorno, che alle solite battiture rispondeva con dolce sorriso, essendo stato interrogato dal percussore, se mai ridesse per burlarsi di lui: No, disse, non ti burlo; ma rido, perché mi balte la mano di Dio: il che significa che sapeva fin d’allora riconoscere la mano divina eziandio nell’avversità, e che ne riceveva l’ afflizioni come se ne ricevesse le consolazioni.
11. Finalmente questa tribolazione ebbe termine, e fu nel modo seguente. Un giorno venne in mente al suo maestro di seguirlo quando andava in Chiesa. Là lo vide che, dopo aver molto pregato, si pose carpone su le ginocchia e, strisciando la lingua per terra, si trasse innanzi fino all’altare, dove, ricompostosi in atto di preghiera, entrò in estasi. Da quell’estasi ebbe tale un’impressione nell’animo, che incominciò a stimarlo da santo, e licenziò subito il capogiovane che l’aveva brutalmente perseguitato.
12. Inoltre il nostro sartorello seppe anche meglio guad11gna1·si li\ stima del padrone con l’oserei· zio della mortificazione e dell’obbedienza, la quale veniva da Dio coronata coi miracoli. In quanto alla mortificazione, sappiamo dal processo apostolico che, protraendosi talvolta il lavoro fino a notte inoltrata, gli si apprestava un lettuccio sul banco per non rimandarlo a casa ad ora cosi tarda. Egli però prendeva riposo sul pavimento, ed avendovelo una volta sorpreso il suo padrone, si scusò col dire che cosi dormiva meglio. - In riguardo poi all’obbedienza, essendo una sera andato nella vigna del padrone per passarvi la notte in compagnia di lui, e vedendo che questi si rammaricava per aver dimenticato l’olio per la lanterna, ne interpretò il pensiero, e corse, senza por tempo in mezzo, alla città, donde ritornò con l’olio cosi velocemente, che il padrone ne restò stupito.
13. Fu in questa vigna, che un’altra. notte Dio operò per mezzo di lui un miracolo. Vi stava egli in guardia delle uve mature con un figlio del Pannuto, di nome Giuseppe Antonio. Or mentre questi dormiva profondamente, egli , dopo aver passata gran parte della notte in orazione, uscì dal pagliaio, girandovi intorno con una canna accesa, cantando il Miserere. Attaccatosi il fuoco al pagliaio , Giuseppe Antonio, spaventato, uscì gridando: Che hai fatto, Gerardo, che hai fatto! - Non è niente, rispose; e, fatta una croce sul pagliaio, estinse l’incendio in un baleno.
14. Prima che lasciasse la sartoria del Pannuto, diede un’altra. prova della sua pazienza non meno edificante delle già narrate. Ritornando dalla detta vigna, non volle rientrare in città, senza aver prima fatta una visita al Santuario a sé carissimo di Capotignano. Fece allora, senza volerlo, volare un uccello già preso di mira da un cacciatore. Questi gli fu sopra furibondo a schiaffeggiarlo e, poiché lo vide che presentava l’altra guancia, interpretò male quest’atto e voleva nuovamente percuoterlo . Intervenne allora a caso il figlio del Pannuto e lo calmò. Passata la collera, rientrò subito in se stesso e, battendosi colla palma la fronte, esclamò: Oh Dio! che ho fatto! Ho percosso un santo; e per tale andò poi decantandolo presso quanti incontrava.
15. A queste tribolazioni, dopo qualche tempo, tenne dietro un’altra che durò tre anni. Gerardo fin’ allora non aveva ricevuto il sacramento della Confermazione. Gli fu conferito il giorno 25 giugno 1740, con licenza del proprio Ordinario, dal Vescovo di Lacedonia, Mons. Claudio Albini, il quale, per essere nativo di Muro, era venuto a passare alcuni giorni presso la sua famiglia.
16. Fu allora che questi, o per averne udito lodare la grande bontà, o perchè da se stesso l’avesse osservata, lo richiese d’andare con lui a servizio in Lacedonia. Gerardo accettò, promettendo che vi sarebbe andato dopo un anno, come fece. Ma vi ebbe molto a soffrire . Imperciocchè quel Vescovo, quantunque per molti pregi commendevole, era facile all’ira, e spesso contro di lui prorompeva in sarcasmi, rimproveri e punizioni, sempre immeritate. Egli tollerava, e « quel suo tacere con umiltà, dice un testimone di vista, tra le più aspre « e non dovute correzioni, quell’accettarle con volto « dimesso e sereno dimostravano quanto fosse radicata in lui la pazienza cristiana. >
Gli consigliavano alcuni d’abbandonare quel padrone. Ma che dite! ei diceva, Monsignore mi vuol bene! mi vuol bene come ad un figlio, ed in quanto a me, non penso che a servirlo, come meglio posso, fino alla morte. Questa pazienza, il suo modesto andare per la città, il fervore con cui pregava in Chiesa, e le belle maniere che usava con tutti, gli avevano procacciato tanta stima, che si diceva: Gerardiello non è un uomo, ma è un angelo, un santo.
17. Tale stima crebbe a mille doppi dopo il fatto che andiamo a narrare. Uscendo un giorno il Vescovo a passeggio, lasciò a Gerardo la chiave del suo appartamento, perché lo mettesse in assetto. Compìto il mandato, Gerardo uscì ad attinger acqua con la chiave in mano: ma gli cadde nel pozzo. Si costernava: Che dirà Monsignore? quale non sarà il suo disturbo? La gente, là convenuta, non sapeva come giovarlo: ma ecco tutto ad un tratto lo si vede rasserenato e poi darsi a correre verso la Chiesa, e ritornarne con una. statuetta di Gesù Bambino in mano. La lega alla fune e, dicendo al Bambino: Tu solo puoi cavarmi di angustia, tu hai da pensare a restituirmi la chiave, lo cala giù nel pozzo. Tirato su, il Bambino uscì fuori con la chiave in mano. Pieno di riconoscenza e di venerazione riportò la statuetta dove l’aveva presa, mentre la voce del prodigio si spargeva per la città, in cui da quel giorno il pozzo fu chiamato di Gerardiello. E quando, dopo molti anni, i testimoni di Lacedonia vennero a deporre ne’ processi ordinario ed apostolico, attestarono che quel pozzo portava ancora questo nome.
18. Morto Mons. Albini in Conza ai 25 di giugno 1744, Gerardo lo pianse amaramente, dicendo d’aver perduto il migliore de’ suoi amici; e se la gente, a temperarne le lagrime, gli ricordava le pene che aveva sofferte sotto di lui, egli rispondeva piangendo più forte: Ahi che dite, che dite! Monsignore veramente mi voleva bene.
19. Volle poi ritornare presso la madre e, per rendersi più esperto nell’arte, si pose sotto la guida di un nuovo maestro, che aveva nome Vito Mennona. Anche questi, come Pannuto, restò così sorpreso della sua virtù che andando poi a vederlo quando era religioso in Materdomini, diceva di farlo per edificarsi allo spettacolo della santa vita di lui.
20. Né deve passarsi sotto silenzio ciò che narrarono i testimoni del processo apostolico. Essendo un giorno andato con la moglie di Vito al fiume S. Maffeo, fuori di Muro, dovo questa doveva lavare i panni, furono sorpresi da una pioggia dirotta che li costrinse a ricoverarsi in una capanna. Ma, perché l’ora ora tarda, né v’era segno che la pioggia cessasse, la donna piangeva, dicendo: Come dobbiamo fare per ritornare a casa? Commosso a questo pianto, uscì fuori all’aperto, e rivolto, con le mani giunte, al cielo, esclamò: Signore, come dobbiamo fare? La pioggia cessò all’istante.
21. Venne subito il tempo che Gerardo potesse lavorare a suo conto. Allora non gli mancarono avventori , i quali, allettati dalla sua onestà e dal modico prezzo che chiedeva, andavano a lui in gran numero, anche dai paesi vicini. Lavorava gratis pei poveri, ed il processo ordinario narra un fatto che merita d’essere ricordato .
22. Presentatosi a lui un poverello a dargli il panno per farsi cucire un vestito, vide che questo non era bastante allo scopo. Quei s’affliggeva, dicendo di non aver come comprarne dell’altro. Non è niente, ei disse, non è niente, e, preso quel panno tra le sue mani, incominciò a stirarlo per largo e per lungo. Poi soggiunse a quell’uomo che venisse a prendere il vestito dopo qualche giorno. Quando venne, vi trovò il sopravanzo. Non contento di tanta carità, distribuiva ai poveri la metà dei suoi guadagni. L’altra metà la dava in suffragio delle anime del purgatorio, le quali, com’ ei diceva, son anch’esse poverelle di Gesù Cristo. Ma, figlio mio, sospirava talvolta la madre, come faremo, se tu andrai sempre di questo passo? Mamma, rispondeva, non isgomentarti: Dio ci provvederà, non ci fard mancare il necessario.
23. Con questa fede, e con tanto distacco dai beni terreni s’inoltrava sempre meglio nella via
della perfezione. Fu allora che lo videro andare in cerca di solitudine per immergersi più spesso nella contemplazione, e trovarvi l’unione con Dio . Si recava ogni mattina alla chiesa di S. Maria del Soccorso, fuori dell’abitato . Ivi, come nota il P . Caione, dopo aver servito tutte le Messe che vi si celebravano in buon numero, il più delle volte restava solo a pregare sino alla sera. Talvolta vi restava tre o quattro giorni continui in santo ritiro, pregando, contemplando e facendo penitenze . Questo genere di vita agli occhi del mondo sembrò stoltezza, ma l’uomo animale, dice la santa Scrittura, non sa le cose che sono dello Spirito di Dio. Intanto i giovinastri lo chiamavano bacchettone e talvolta, fatti più temerari, lo schernivano e bastonavano. Egli taceva ad esempio del divin Maestro, o tutto al più diceva: Oh Dio! e che vi ho fatto io?
24. Un’altra tribolazione gli era riservata in San Fele. E’ questa una terra circa sei miglia distante da Muro. Un certo Luca Malpiedi, suo concittadino, vi aveva aperto un pensionato per giovani studenti, e non avendo chi lo servisse, vi chiamò lui, anche perchè vi facesse da sarto. Egli vi andò sul principio del 1747, ma vi trovò molto a soffrire. Quei giovani, discoli ed insolenti, non gli lasciavano mai posa, né di giorno, né di notte. Lo dileggiavano, lo schernivano, lo staffilavano, né vi era chi li frenasse, perché lo stesso Malpiedi teneva loro bordone. Egli taceva, o, quando non ne poteva più, apriva le labbra solo per dire: Finitela mò ! Dopo qualche mese ritornò a Muro. Noi seguiamolo, che ve lo vedremo darsi in preda d’una santa follia , la follia della croce .