Ancora dell'Apostolato
CAPITOLO VII
81. Gerardo, richiesto con istanza, va a Castelgrande, per riconciliarvi gli animi avversi a causa d’un omicidio. 82. Prodigi quivi operati. 83. Una profezia su la figlia dell’ospite. 84. Una guarigione perfetta. 85. Le conversioni. 86. La visita a Materdomini 87. A Melfi estasi profezie e guarigione prodigiosa. 88. Una bella visione ed una conversione strepitosa. 89. Il vino guasto ritorna buono. 90. In Atella. 91. A Lacedonia. 92. Guarigioni e conversioni. 93. In casa Cappucci - estasi e prodigi.
81. In Castelgrande, terra della diocesi di Muro, un certo Martino Carusi, notaio, aveva da più anni ucciso un giovane di nome Francesco Carusi. Implacabile era l’odio che contro di lui avevano concepito i genitori dell’ucciso, e questi si traevano dietro parenti ed amici, cosicchè si erano formati nel popolo due partiti con minaccia continua che da un giorno all’altro venissero alle mani. Ogni mezzo di conciliazione era riuscito vano, e perciò si fece ricorso a Gerardo, che col permesso dei superiori, vi andò nel mese di giugno . Nel mezzo del cammino quei di Ruvo del Monte, avendo saputo del suo passaggio per là, l’aspettavano. Cercò deviare per evitare gli applausi, ma indarno. Avevano poste le scolte e, dove meno sel pensava, là gli furono incontro; lo menarono come in trionfo entro l’abitato e ve lo costrinsero a restare per più ore, chiedendone i consigli, implorandone le preghiere.
82. Ad un’ora di notte giunse a Castelgrande e prese alloggio in Casa del sig. Gaetano Federici, governatore del luogo. Questi ne diede in appresso la seguente relazione in iscritto: “Saputasi la notizia del suo arrivo, Sibilia Sebastiano venne a dirmi che l’avessi pregato ad interporre le sue preghiere presso l’ Altissimo per una sua figlia ossessa. Dopo cena mi ritirai in camera per prendere animo a fargli una tale proposta: ne uscii e lo trovai che discorreva dell’amoredi Dio cogli occhi rivolti al cielo e con le gote rubiconde come due rose. Allora gli dissi : Fratel Gerardo , questa sera, mediante la tua preghiera, si ha da liberare una giovane ossessa per amor di Dio, ed a maggiore sua gloria Ma, ei rispose, vogliamo mettere il paese in iscompiglio? Nondimeno feci sapere alla madre dell’ossessa che l’avesse condotta a casa, come fece. Nell’entrare l’ossessa mormorò tra le labbra : La bestia già l’ha vinto e poi difilato entrò nella camera, dove eravamo con fratel Gerardo, e subito, a vederlo, cadde prostesa a suoi piedi, così restando finché non compimmo con mio zio, D. Francesco, la recita delle litanie di Maria SS.ma . Allora Gerardo si tolse la fascia e, legatane l’ossessa, si pose ad una certa distanza da lei a recitare sottovoce, com’ io dedussi dal movimento delle sue labbra, alcune orazioni e finalmente l’accomiatò dicendole : Va, sorella, non dubitare conservati in pace con Gesù Cristo e non avrai nulla a temere. Poi mi disse che Dio, por il bene dell’anima sua, non l’aveva voluta pienamente libera . Eppure io osservai, e l’osservarono tutti, che quella giovane d’allora in poi, senza alcuna difficoltà, andava in chiesa, si confessava spesso, attendeva ai suoi lavori e faceva tutto, come aveva fatto prima che fosse stata invasata dal demonio. La dimane tutta Castelgrande era in moto. La casa Federici a mano a mano si riempiva di laici e sacerdoti, di nobili e plebei . Chi voleva vederlo , chi udirlo, l’uno domandava consigli, l’altro chiedeva sollievo . Consolava tutti; ma egli era venuto per la riconciliazione e subito mise mano all’opera. Dopo aver pregato, si procurò il primo incontro con Marco Carusi, padre dell’ucciso, e fattosi a poco a poco la strada nel suo cuore, conchiuse col proporgli la riconciliazione. Marco in sulle prime, quantunque scosso dalle sue parole, non s’arrese; ma ricevuto un secondo assalto, si diè per vinto. Rimaneva di venire all’atto della riconciliazione, quand’ecco arriva al Santo una lettera che lo chiama urgentemente a Muro. V’andò, e fu una vera provvidenza, e mentre per tacere di altro, indusse la moglie del suo ospite, Alessandro Piccolo, a riparare le confessioni da essa malamente fatte da lungo tempo, e le predisse che dopo pochi mesi sarebbe morta. Confortò l’animo del vescovo tra vagliato da podagra e da chiragra. Intanto però in questi pochissimi giorni della sua assenza da Castelgrande il demonio aveva sciolte le furie dell’inferno per distruggere l’opera da lui cominciata. La madre dell’ucciso, avendo saputo, dopo la partenza di Gerardo per Muro, che suo marito fosse già disposto alla riconciliazione, appoggiata dalle figlie parteggiane della stizza materna, corse a dar di piglio alte vesti insanguinate della vittima, che in segno dell’odio eterno giurato, tenevano ancora custodite in casa: e, spiegatele innanzi agli occhi del marito, incominciò a gridare furibonda: Mira queste vesti, e poi va, se hai cuore, a fare la remissione. Questo sangue di tuo figlio grida eterna inimicizia all’uccisore e tu ti disponi ad abbracciarlo! Ma sapranno trovar vendetta le grida d’una madre disperata. E così dicendo, gli gittò quelle vesti ai piedi e partì urlando come belva ferita. Quegli urli, quelle vesti fecero rimescolare il sangue e ridestarono il desiderio di vendetta nel cuore di Marco, che respinse con orrore l’idea del perdono. Il demonio gongolava! Ma ritornò Gerardo, e subito che seppe l’accaduto! No, disse, il demonio non trionferà: deve riportare la vittoria Iddio. E senza indugio corse in casa Carusi e, chiamati il signor Marco e sua moglie, perorò loro la causa del perdono. Restarono insensibili! Gerardo non si smarrì. Cadde innanzi a loro inginocchioni, prese il crocifisso che portava sul cuore, e postolo per terra, gridò: Venite, calpestatelo. Quegli impallidirono e indietreggiarono, ed egli: Perchè vi state? sappiatelo, o perdonare, o calpestarlo; non v’è via di mezzo, perchè conservare l’odio è mettersi sotto i piedi Colui che comanda di perdonare e perdonò egli stesso ai suoi crocifissori. Quei due erano già profondamente commossi, ma non ancora, s’arrendevano. Dunque, ei proseguì, dunque che risolvete? O per forza o di buona voglia dovete perdonare. La prima volta, venni chiamato da altri : ora mi manda, Dio. Vostro figlio pena nel purgatorio : vi resterà finchè vi ostinerete. Volete liberarlo? dunque perdonate. Se non lo farete, aspellatevene il castigo. Ciò detto volse le spalle per andarsene. No, no, restate, quegli esclamarono, vogliamo perdonare subito subito la riconciliazione!. E la riconciliazione fu fatta. Sparvero da quel giorno i rancori e gli odii, ed in tutto il paese ritornò la pace. A questa vittoria su l’inferno teneva dietro altro trionfo non meno splendido. “Due povere madri di famiglia (così fratel di Cosimo nel processo apostolico), avendo udito di esser giunto a Castelgrande il Servo di Dio, si recarono colà e e richiesero di lui. Avendo D. Pasquale Federici loro detto che si era recato in chiesa ad adorare Gesù Sacramentato, immantinente vi andarono, recando anche seco le rispettive loro figliuole che erano tormentate da più tempo da demoni. Queste, ocome si appressarono al Servo di Dio, misero acutissime strida e poi si ripetevano a gara: Chi è costui che ci perseguita da per ogni dove? Gerardo destossi dalla sua profonda adorazione, e veduto il pianto delle due madri, prima le confortò a sperar bene, indi si tolse la fascia che aveva intorno alla sottana e la porse loro, dicendo: Come sarete tornate a casa, cingetene le infelici vostre figlie e vedrete partirne i demoni. Non dubitate: quando le vedrete tramortire, allora gli spiriti maligni si partiranno. Però subito dopo fate che si confessino e si comunichino, onde i detti spiriti non abbiano a ritontare. Sperate: Iddio è più forte ed a lui non si resiste. Ciò praticarono le madri di quelle infelicissime donzelle, e quanto il Venerabile Servo di Dio avea predetto, tanto avvenne, con istupore di tutto quel comune, che col detto Federici gridò:” E’ gran santo fratel Gerardo. Un fatto simile, accaduto nella medesima chiesa, ci viene narrato dai PP. Tannoia e Landi. S’intratteneva Gerardo con Gesù Sacramentato, quando sentì levarsi un improvviso rumore . Accorse tosto e trovò con la faccia a terra una giovanetta ossessa, la quale nella casa di Dio, e particolarmente durante il divino sacrifizio, soleva dare in grida e bestemmie orrende contro Gesù Sacramentato e Maria SS .ma. Cogli occhi rivolti al cielo, pregò brevemente il Signore, quindi intimò allo spirito immondo di non più vessare quell’infelice. L’ossessa si quietò all’istante, guarì perfettamente e potè sin d’allora confessarsi e comunicarsi speisso e darsi a vita spirituale con somma ammirazione di tutto il paese.
83. Il dott . Gaetano Federici aveva una figliuoletta di nome Giuditta, a cui era venuta meno la vista a causa del vaiuolo. La madre, nell’alto suo rammarico, pregò il caritatevole Fratello di chiedere a Dio la guarigione della fanciulla. Ei lo promise a condizione che essa ancora avesse pregato col medesimo intento, poi subito venne a dirle: “ Se la vostra Giuditta ,ricupererà la vista, farà cattiva riuscita: quindi rassegnatevi alla volontà di Dio. Ma siate di buon animo: la figliuola ne sarà ben compensata, perchè avrà maggiore talento che non le altre.” Così fu: la cieca apprese per bene i lavori domestici e divenne atta ad educare le sorelle minori. Così fu deposto nel processo apostolico.
84. Non vi fu ammalato in Castelgrande che non avesse voluto una benedizione del santo Fratello. Tra le molte guarigioni operate da lui ricorderemo una sola, di cui fa memoria il P . Tannoia . Volle il dottore Gaetano Cianci che seco andasse Gerardo a visitare un fanciullo di tre anni, chiamato Antonio Pace, il quale giaceva attratto nelle braccia e nelle gambe. Accostatosi Gerardo al piccolo infermo, gli pose una mano sul capo e facendogli un segno di croce, disse rivolto alla madre di lui: “ State di buon animo, che in seguito il figliuolo non sarà più incomodato.” Difatti il fanciullo guarì, crebbe forte e robusto, nè mai più risentì gli effetti del malore avuto .
85. Oltre la riconciliazione, il nostro Santo riportò dalla sua gita a Castelgrande altri frutti salutari , che il Tannoia ricorda nel modo seguente: “La sua gita colà fu una missione per tutti. Assistendolo il dono di Dio, non lasciò mettere avanti a tutti lo stato di loro coscienza . Furono così efficaci le sue paro le, che in tutti si vide una mutazione. Fra gli altri compunse e guadagnò a Gesù Cristo quindici giovinastri, che col loro scandalo rovinavano gli altri, e perchè prepotenti, non facevano conto di veruno.” Giunto il tempo della sua partenza, il paese fu tutto in moto. Circa trecento persone, colmandolo di benedizioni, lo accompagnarono per oltre un miglio fuori dell’abitato, ed i contadini, abbandonando il lavoro, accorsero sulla strada per ricevere la benedizione. Perché poi il fratel Fiore, suo compagno, lo aveva proceduto d’un tratto di via, credendo essere lui il Servo di Dio, lo fecero segno alle dimostrazioni di stima e corsero ad inginocchiarglisi innanzi. Laonde ad impedirle, il fratel Fiore gridava da lontano: “ Non sono io il Santo; egli viene appresso.”
86. Ad alcune miglia da Castelgrande è Materdomini, ove era rettore della nostra casa il suo primo direttore, il P. Cafaro. Desideroso di conferire con lui intorno alle cose dell’anima, aveva innanzi chiesta licenza al P. Fiocchi di visitarlo, e vi andò tanto più volentieri, perchè voleva presentargli la preda testè fatta dei quindici giovinastri venuti sin là per confessarsi. Questo fu l’ultimo incontro che ebbe con quell’anima santa, perchè poco tempo dopo il P. Cafaro venne a morte, come vedremo.
87. Ai 15 di luglio, festa del SS. Redentore, Gerardo secondo il solito, rinnovò i voti con i suoi confratelli nel collegio di Deliceto, ed il giorno dopo fu assegnato come compagno al P. Stefano Liguori e ad altri due Padri, che andavano a Melfi per la cura delle acque minerali. Là non giunse ignoto vescovo lo aveva tenuto per più giorni in sua casa; i sacerdoti ne ricordavano le conferenze piene di lumi celesti, il popolo aveva notato che ogni sua comparsa colà era stata segnata da qualche nuovo prodigio, e soprattutti i signri Scoppa, che l’avevano sempre ospitato, ne conoscevano più degli altri la virtù. La madre di famiglia la signora Anna, aveva avuto la cura di registrare giornalmente tutte le azioni, tutte le mosse di lui in una nota, che nel 1838 andò sventuratamente distrutta da un incendio. Però le tradizioni di famiglia ci hanno conservato la memoria delle cose che ora narriamo. Un giorno, guardando un’immagine della Madonna, che stava in casa, incominciò ad esclamare : Oh! donna Anna, che bella cosa voi avete! e così esclamando, fu rapito in estasi fino all’altezza dell’immagine, che era di otto palmi. La signora Anna ne cadde svenuta per la commozione. - Una povera donna, cui era per morire il consorte, si dava in preda alla più amara angoscia. Non temete, le disse Gerardo, vostro marito non morrà di questo male: avrà a soffrire una penosa infermità, ma senza pericolo di morte. L’evento provò che aveva predetto il vero. A questi fatti, che si riferiscono alle precedenti sue venute a Melfi, aggiungiamone qualche altro della sua venuta coi Padri, che andarono con lui ad alloggiare presso la vedova Murante. Un giorno la signora s’accorse quanto ei fosse mortificato anche nel mangiare perchè, avendolo osservato che spargeva di nascosto certa polvere sopra il cibo, volle per curiosità assaggiarlo e lo trovò amarissimo . Poscia notò come alla mortificazione sapesse sempre unire la giovialità, infatti dopo il pranzo, per tenere allegri i Padri che erano infermicci, sedeva al gravincembalo, che suonava benino. Una volta fu invitato a cantare quella strofetta di Metastasio:
Se Dio veder tu vuoi,
miralo in ogni oggetto,
Cercalo nel tuo petto,
Lo troverai con te.
La cantò, ma rapito dal pensiero del Dio d’amore, ebbro di santo entusiasmo, levossi in piedi, e danzando festosamente in giro, abbracciò il P . Liguori, portandolo in alto qua e là per la stanza, non senza qualche spavento del Padre infermo e con molta meraviglia degli astanti. A quest’estasi ne tenne dietro un’altra. Era a quei dì in questa città un santo canonico per nome D. Leonardo Rossi, grande amico dei nostri, quali soleva accompagnare nelle missioni per aiutarli a confessare. Venuto una volta Gerardo a visitarlo, egli che ne conosceva l’eminente santità, volle profittare dell’occasione per infervorarsi nell’amore di Dio, e cominciò subito a dire delle divine perfezioni. Non andò guarì che il santo fratello, immergendosi nella considerazione dell’infinita amabilità di Dio, se ne andò in estasi. Vedevasi allora tutto di fuoco: la fronte risplendeva di una luce celeste ed il cuore per i fortissimi palpiti sembrava volesse uscirgli dal petto. Accortosi di questo interno incendio, il Rossi gli versò sul petto acqua gelata, e così lo fe’ ritornare ai sensi; ma egli, conchiude il Tannoia, a capo chino e tutto confuso s’accomiatò. Sappiamo ancora d’una guarigione unita ad una profezia, che merita d’essere ricordata. Un tal Michele Di Michele, compiuti a diciotto anni gli studi letterari, fu sorpreso sul principio di quell’anno 1763 da una grave infermità, per cui videsi costretto interrompere il corso di filosofia e ritirarsi dal seminario nella casa paterna. Dopo due mesi era guarito e rientrava in seminario, per uscirne però nuovamente a causa della stessa infermità; il che venne appunto quando Gerardo era a Melfi coi tre Padri. Era a lui nota la famiglia Di Michele, per ciò portossi a visitare il giovane infermo; al quale, non appena ebbe toccato il polso: Che febbre, che febbre? disse, voi siete sano. E la sua parola fu efficace, perchè la febbre lo lasciò all’istante, e dal medico fu dichiarata perfetta la guarigione. Alquanti giorni appresso, incontrandosi col giovane guarito e guardandolo affettuosamente, gli disse: Voi un giorno sarete nostro. - Lo sarò, rispose l’altro, quando toccherò il cielo con la mano, dando così ad intendere la nessuna propensione che aveva di ritirarsi nella nostra Congregazione. Ebbene, non erano ancora. passati cinque mesi da questo incontro, che il Di Michele trovavasi già nel nostro noviziato di Ciorani. Ascoltiamone da lui stesso il “racconto. Dappoichè Gerardo mi disse che sarei stato della Congregazione, il Signore non mi faceva più trovare pace, e nell’orazione mi spingeva fortemente a lasciare il mondo, ora con lumi, ed ora con sentimenti interni; ed erano tanto grandi ch’era costretto a parlare qualche volta della fugacità de’ beni caduchi, della vanità del mondo, e della grande miseria ch’è l’abitarvi. Dicevo beati quelli che l’avevano lasciato, e che se il Signore avesse voluto ciò da me, volentieri l’avrei fatto non badando ad onori, ricchezze e parenti, quali cose mi faceva conoscere come niente, anzi le aveva in abominio. Nelle visite al SS.mo Sacramento, nelle orazioni e letture spirituali di altro non si trattava che di questo, onde fui costretto a manifestare il tutto al mio confessore, uomo dotto e pio, il quale era il canonico D. Leonardo Rossi. Egli a bella prima disapprovò il mio disegno, dicendo che aveva molto in che impiegarmi nella città in cui mi trovava. Ubbidiente mi uniformai a quanto egli mi diceva, ma il Signore non lasciava darmi nuove spinte, perchè voleva essere da me servito non dove voleva io, sibbene in quel luogo dov’era la sua maggiore gloria. Quindi gl’ impulsi erano continui: la terra mi sembrava un carcere, e tutte le cose terrene un fumo. In nessuna cosa potevo trovar pace, parendomi essere nel mondo come un sentenziato a morte: tutt’era effetto della grazia di Dio. Io frattanto continuava a manifestare tutto al mio confessore, ed egli pure su quell’affare si consigliava con uno della stessa Congregazione, alla quale Iddio mi chiamava. Quindi, dopo quasi quattro mesi, egli insieme con quel Padre approvò la mia vocazione. Intanto il Signore seguitava a darmi impulsi, e fra gli altri uno ve ne fu che mi atterrì, e mi spinse a porla in esecuzione; e fu che egli mi parlò all’anima, dicendomi che se non seguiva la chiamata, mi avrebbe abbandonato. Avuta dunque l’approvazione della vocazione, teneva celato il tutto ai miei; ma avendo saputo mio padre ch’io non faceva secondo egli mi comandava, per distogliermi dall’intrapreso cammino, ora ponendomi avanti agli occhi le possessioni e gli averi, ora che avrei potuto fare nella città lo stesso bene che nella Congregazione, ora facendomi parlare dai preti e maestri, con mille ragioni cercava dissuadermi. Alla fine lo stesso vescovo mi contraddiceva dicendo che non era vocazione, e, quante volte m’incontrava, mi diceva che la Congregazione non faceva per me, essendo io di gracile salute. Ma il Signore mi dava allora tanta forza che resisteva a tutti senza badare ad accettazione di persone; il mio fine principale era di fare la volontà di Dio, che là mi chiamava dove avrei avuto più agio di occuparmi nell’orazione, ed in modo speciale di starmene innanzi il SS.mo Sacramento, e che in questa Congregazione avrei avuto facile occasione di attendere al cotanto da me sospirato ministero della salute delle anime, specialmente della conversione degl’ infedeli. Si differì per qualche tempo a causa della mutazione di aria la mia entrata nella Congregazione, così ordinandomi gli stessi Padri .Quel tempo mi pareva lungo, ogni giorno sembravami un anno. Finalmente arrivato il dì stabilito, mi partii dal secolo con somma allegrezza, e con pari rammairico dei parenti ed amici, e pervenni al collegio della Consolazione in Deliceto, d’onde, dopo avermi fatti fare gli esercizi spirituali, mi mandarono dal P. Rettore Maggiore. Questi avendomi approvata la vocazione, ed avutosi i voti de’ suoi consultori (per grazia speciale di Dio), fui mandato al noviziato, in cui, passato qualche tempo con lo proprie vesti, fui ammeso e alla vestizione il giorno dell’Immacolata Concezione dell’anno 1753, essendo io allora di anni 18 e mesi due.”
88. Il tempo dei bagni era già terminato, e Gerardo fece ritorno coi Padri in Deliceto. Ivi trovarono la notizia che il .P. Cafaro, l’ottimo suo direttore, era gravemente infermo. Pregò: ma quel servo di Dio ora già maturo per il cielo. Il 13 di agosto, stando Gerardo in compagnia dei suoi confratelli, fu visto alienato dai sensi. Interrogato perchè, rispose: Contemplavo l’andata in cielo del P. Cafaro. Subito giunse la novella che quel Padre lo stesso giorno era morto. Non erano passati ancora tre mesi e il nostro Santo dovette riprendere il cammino per andare di nuovo a Melfi, per accompagnarvi, a richiesta del Vescovo, il P. Fiocchi, il quale doveva predicarvi la novena di S. Teodoro il Tirone, di cui là si celebra la festa ai 9 di Novembre. Si rinnovarono nel palazzo del vescovo, dove questa volta era stato accolto col P. Fiocchi le visite di sacerdoti e laici di ogni ordine, i quali tutti volevano vederlo ed udirlo. Però questa volta il vescovo aveva sollecitata la sua venuta, principalmente per la conversione dei peccatori, e questo fine fu conseguito. “Molte furono, scrive il P. Tannoia, le conversioni che operò in quel tempo. Quando i parroci e confessori sapevano qualche anima radicata nel peccato, mezzo non lasciavano per farla abboccare con lui, ed appena era innanzi a lui, si trovava cangiata. Fossero anche stati i peccatori più duri, bastava che loro parlasse per vederli compunti. Vedendoli maturi, li portava tutto lieto al P. Fiocchi per la confessione.” Un notabile della città trascinava da lungo tempo una catena di sacrilegi. Gerardo la spezzò. Incontratolo, gli disse: Figlio mio, tu vivi in peccato. Perchè vuoi morire dannato Confessati e mettiti in grazia di Dio. Quegli profittò dell’avviso. - Conosciuto per celeste lume lo stato miserabile di una donna, che da gran tempo taceva i peccati in confessione: Sorella, le disse, come puoi aver pace, vivendo in disgrazia di Dio perchè non confessarti di quei peccati, che per tanti anni hai taciuti’! La peccatrice, come colpita da un fulmine, andò a gittarsi ai piedi di un confessore. - Un’altra donna, che faceva la devota ed era una ipocrita, per darsi credito volle conferire con lui. L’ascoltò, ma poi le disse: Figlia, perchè mi state vendendo frottole?Sono tanti anni, che vi confessate e comunicate sacrilegamente, ed ora volete vendermi santità? Andate e confessatevi bene, se non volete morire dannata. Quella donna non trovava più pace, finchè non fece una conversione piena e durevole.
89. Ma poteva Gerardo partire senza lasciar un’altra impronta della forza taumaturgica largitagli dal cielo? La vedova Murante, di cui si è fatta parola più sopra, aveva venduto una certa quantità di vino. Quando il mercante venne a prenderlo, trovò che in una botte di grande dimensione era diventato cercone. Era giusto che il contratto fosse rescisso, e la vedova se n’affliggeva. Non è niente, le disse il Santo che si trovò presente, ponete dentro la botte questa cartellina dell’ Immacolata Concezione e vedrete che il vino tornerà nella bontà primiera. Non ostante la sua diffidenza, la signora lo fece, e l’esito fu qual egli aveva predetto.
90. Terminata la novena di S. Teodoro, il P. Fiocchi con altri Padri, si recò in Atella, terra poco distante da Melfi, per farvi una missione, e Gerardo fu destinato ad accompagnare i missionari come fratello assistente. Il servizio che ebbe a prestarvi fu leggero, perchè erano stati accolti nel palazzo del signor Benedetto Grazioli, il quale, essendo grande amico, anzi insigne benefattore della nostra Congregazione, volle provvederli non solo dell’alloggio, ma ancora del vitto. Per la qual cosa egli poté a suo bell’agio pregare, trattenendosi a lungo innanzi al sacramentato suo Bene. Fu principalmente la chiesa delle monache Benedettine che scelse per suo oratorio. Quanto accesi fossero allora i suoi affetti verso l’amato Signore, apparisce dalle deposizioni che due religiose di quel monastero fecero nel processo ordinario. “Ho inteso da varie relazioni delle anziane di qui (così la Suora Maria Benedetta Corona, che era allora in età di settant’anni), che tale era l’ impeto dell’affetto che il Servo di Dio portava a Gesù sacramentato ed il desiderio di comunicarsi, che prendeva delle figurine ed alternativamente le portava al suo labbro, baciandole per così distogliere la mento dal pensiero che caldamente lo trasportava al suo amato Bene... Quando poi aveva fatta la santa comunione, vedevasi stare assorto in orazione di siffatta maniera che pareva come non esistesse, nè da quello stato felice egli si ritraeva se non comandato dall’ubbidienza che gliene faceva il Padre Rettore, altrimenti non si sarebbe risvegliato dal suo assorbimento.” E poi soggiunge: “La sua posizione nell’orare era lo starsi disteso per terra. Del che fu testimone la Suora Maria Angela, la quale andava dal coro a risvegliarlo dalla sua estasi, gridando ad alta voce: Ah! Gerardo pazzo, pazzo di Gesù Cristo, i padri sono a tavola col P. Rettore.” - “Io so (così Suor Maria Carmela Cianci) por bocca di Suor Maria Angela Addona, morta da trent’anni, che Fratel Gerardo una volta si era posto lungo disteso sulla predella della Concezione di questo monastero, e fatto tardi non si muoveva dalla orazione, cosicchè la detta Addona andò dal coretto di sopra per distorglielo e farlo ritirare, perchè tarda era l’ora, e dovette servirsi nel nome del suo Superiore. Gerardo alla chiamata si risvegliò: tutto arrossito si scosse e se ne andò alla casa ove erano i Padri missionari.” Non è da dubitare punto che anche in Atella il Santo Fratello abbia molto contribuito al felice successo della missione, conciossiachè, disse nel processo apostolico il padre Camillo Ripoli, dovunque si portasse coi missionari, egli solo produceva quel bene che tutti i Padri insieme non avrebbero prodotto.” E ne possiamo anche trarre una prova dalla testimonianza della lodata Suor Maria Benedetta Corona, la quale alludendo manifestamente alle conversioni operate da Gerardo durante questa missione, depone: “li Servo di Dio si mostrava tanto zelante della salute delle anime che andava in traccia de’ peccatori per condurli a Dio, in modo che si potrebbe chiamare cacciatore delle anime·”
91. Alcune settimane dopo il suo ritorno da Atella a Deliceto, nel principio del 1754, l’uomo di Dio fu chiamato a consolare la città di Lacedonia afflitta da doppia epidemia: da un morbo contagioso che uccideva i corpi, dallo scandalo di alcuni licenziosi che menava strage di anime. Là era ancora fresca la memoria dell’invitta pazienza del servitorello del vescovo, e del prodigio del Bambino nel pozzo. Tutti d’accordo aveano sollecitata la sua venuta e perciò vi fu accolto come un angelo venuto dal cielo. Bramavano di vederlo, ognuno voleva ascoltarlo, lo chiamavano or qua, or là. Dalla casa dove alloggiava, accorreva a tutti senza posa e senza accettazione di persone: anzi a preferenza accorreva ai poveri e li assisteva con più tenerezza . Consolava tutti: alcuni esortandoli alla pazienza , altri disponendoli al viaggio dell’eternità, risanandone moltissimi.
92. Assalito dall’ infezione epidemica l’arcidiacono Antonio Sapomero era in pericolo di morte . Chiamato presso lui, Gerardo gli disse; Arcidiacono, dà gloria a Dio, perchè sei sano. In una relazione, che è giunta sino a noi, l’arcidiacono soggiunge : “ Così dicendo, mi segnò col pollice destro una croce su la fronte ed io restai talmente sano, che più non mi risentiva della malattia sofferta e mi sarei alzato in quel punto, se egli non m’avesse imposto d’alzarmi l’indomani, come feci.” Dopo l’arcidiacono venne la volta del fratello suo, anch’esso ridotto all’estremo. Questi, appena lo vide, esclamò: Benedetto sia Dio! Egli rispose: State allegramente, che non avete più febbre. Il Tannoia, che narra il fatto, conchiude: Come disse, così fu. Non meno pronta fu la guarigione d’un altro personaggio afflitto non già dalla corrente epidemica, ma d’altra malattia . Questi era da molto tempo confinato in letto e così attaccato nei nervi, che non ricevendo niun giovamento dall’arte medica, non faceva altro che piangere la sua dolorosa sventura. Avendo egli pure saputo l’arrivo di Gerardo, lo foce chiamare, ed egli, recatosi a lui, gli fece un segno di croce sulla testa, dicendo : Via su in nome di Dio, alzatevi e venite con me a confessarvi in chiesa. Tanto bastò per operare il miracolo della guarigione. L’ammalato si alza di letto, va in chiesa, si confessa, e benedicendo Iddio, sano se ne ritorna a casa con istupore di tutta Lacedonia. Con un altro segno di croce guarì una giovane demente, di nome Lelia Coccia. “La guarigione, dice un testimone del processo apostolico, era perfetta e mai più, con prodigio evidente, uscì di bocca alla guarita nessuna e oscenità, mentre fino a quel momento ne aveva dette senza fine.” - E giacchè siamo a parlare del segno di croce, ricordiamo come con questo segno risanasse una botte di vino gusta, della famiglia Di Gregorio, come aveva fatto per mezzo d’ una cartellina dell’Immacolata in casa Murante a Melfi. Questi favori temporali avevano spianata la via all’azione apostolica del Santo, il quale, profittando della buona occasione, si volse con tutto lo slancio del suo zelo alla ricerca dei traviati. Andava a trovarli in casa o li incontrava per la strada: e con belle maniere, insinuatosi pian piano ne’ loro cuori, scendeva poi a descrivere il quadro miserando della loro coscienza. Faceva loro conoscere il pericolo, e li supplicava ad uscirne. Se talvolta incontravasi con alcuni ostinati, allora, dopo averli pregati e ripregati, mettevasi in contegno, come dice il Tannoia, dava tuono alla sua voce, e prendeva così tale ascendente sopra i loro animi, che finiva col conquistarli. Sparirono gli scandali, le pecorelle, quante erano smarrite, tornarono all’ovile, e l’aspetto della città fu cangiato . Vogliamo però narrare fuggevolmente alcune conversioni che fecero più strepito . Si presentò a lui una signora, e, gettatasi in ginocchio, gli fece presente come ella soffrisse molto a causa di suo marito, il quale per la sua vita, rotta ai vizi, era divenuto lo scandalo di tutta la città. La confortò a pregare e, dopo aver molto pregato egli medesimo, si procurò un incontro con quell’uomo ed usò con lui tanta eloquenza ricevuta dal cielo , che da lupo, che era, lo ridusse un agnello. E per consolidare la sua conversione, l’indusse a fare gli spirituali esercizi a Deliceto, donde quegli ritornò ad essere l’edificazione de l popolo, la felicità della moglie e di tutta la famiglia; così attestano i biografi del Santo. -Moriva un peccatore, che neppur su la soglia della eternità aveva voluto saper di sacramenti. Chiamato, Gerardo vi accorse frettolosamente e, gittato uno sguardo su l’infelice, invocò la Speranza dei disperati, recitando l’Ave Maria. Quel cuore di bronzo era ammollito. Si confessò lasciando dopo morte a sperare molto bene di sè. - Un sacerdote, dimentico della santità della sua vocazione, viveva nel sacrilegio. Un giorno che si apparecchiava a celebrare, Gerardo lo chiamò in disparte e, gittatosi piangendo ai suoi piedi, gli rappresentò il gran delitto che andava a commettero celebrando con quei peccati su l’anima, e glieli manifestò. “Questo proto, dice il processo e ordinario, restò talmente commosso, che d’allora in poi fu il più esemplare dei sacordoti del paese, e , confessandosi pubblicamente obbligato a fratel Gerardo, continuò sempre a menare una vita santa.”
93. Il nostro santo aveva preso alloggio in casa di Costantino Cappucci. La sua dimora, che questa volta fu più lunga del solito a Lacedonia, permise ai suoi ospiti di godersi a loro bell’agio dello spettacolo delle sue virtù. Si vedeva in lui un uomo, la cui conversazione era davvero nel cielo. “Trattava con tutti, scrive il Tannoia, ma non perdeva mai di mira nè Dio, nè se stesso. Frequenti ed infuocato erano lo sue aspirazioni, nè vi era azione che non la dirigesse a Dio. Tante volte si vide estatico o sospeso nel mezzo dell’operare, o perché tirato da Dio, o perchè nell’impegno di tirare Dio a sé.” Nè meno mirabile mostrossi il Santo nel rigore e nella continuità delle sue penitenze. La curiosità della famiglia Cappucci volle spiare il tenore della sua vita, e giunse a scoprire, anche nei menomi dettagli, le sante arti ch’egli usava per nascondere le sue mortificazioni, e così ben molte meraviglie si svelarono: sanguinose discipline, notti passate a giacere per terra, cibo scarso ed amareggiato con aloe e centaurea. Le quali cose furono oggetto di ammirazione per la cristiana famiglia. Ma il maggior vantaggio essa lo riportò dai suoi discorsi celestiali. Egli, in ricambio di quello che facevano per lui con tanta carità i suoi ospiti, spezzava loro abbondante il pane della santa parola. Parlò loro dell’amore addimostratoci dal Figliuolo di Dio col farsi uomo e col nascondersi sotto le specie eucaristiche per noi; disse dell’amore che noi dobbiamo a Dio annichilito per nostro bene, della devozione a Maria SS.ma e della felicità degli eletti nella beata eternità. Intorno a quest’ultimo soggetto, mentre discorreva un giorno in una maniera che incantava, dice un testimone, all’improvviso interruppe il discorso, e leggendo in fondo all’animo di uno degli uditori, volgarmente chiamato mastr’ Angelo: “Mastr’ Angelo, disse, perchè non pensi a salvarti l’anima, facendo conto di ciò che io dico, invece di pensare a tua moglie che vorresti presente a questi discorsi? Ella è assente: e tu, pensando a volerla presente, ti alieni da quello che io dico per l’ utilità di tutti.” “ Questa interpretazione (aggiunge nella sua deposizione la quasi nonagenaria Antonia Onorati Scarano, figlia del predetto Angelo) produsse in mio padre grande sorpresa e confusione. Egli si fece rosso e per un bel poco non parlò più, considerando ciò che gli era accaduto, e poi, quando Gerardo si fu appartato, scovrì alla famiglia Cappucci la sua sorpresa, confessando che L’avvertitimento del Servo di Dio era stato giustissimo, e mentre egli in quel momento pensava effettivamente a mia madre, tanto desiderosa di conoscere e di udire parlare fratel Gerardo, e dispiacendosi nel suo interno che essa non fosse presente; per la qual cosa egli stesso non attendeva ad ascoltare. In seguito spesso in famiglia ci raccontava da quanto stupore fosse stato compreso nel vedersi da fratel Gerardo scoverti propri pensieri.” Fra i tanti che vollero in quell’occasione conversare e trattenersi a luogo col Santo, onde ritrarne profitto per il proprio spirito, si deve in primo luogo ricordare il Vescovo di quella città, il quale aveva concepito di lui tanta stima, che avrebbe voluto averlo sempre seco, per sempre udirlo parlare delle cose di Dio, e spesso ripeteva, come ci fa sapere il Tannoia: “ Tanto è conferire delle cose di spirito e teologiche con fratel Gerardo, quanto dichiararsi suo discepolo, e chi entra a discorrere con lui da discepolo, ne esce da teologo. Tanti sono i lumi che acquista dal suo discorso ! Da ciò proveniva che, ogni qualvolta Gerardo si recava a Lacedonia, egli lo chiamasse sempre a sè per averne consigli alla direzione della sua diocesi, per eccitarsi a maggior fervore di spirito, ed anche, come attestano i testimoni del processo apostolico, per consolarsi alla vista della sua faccia, ch’ei chiamava di paradiso. Molti furono quelli che a tutte le ore si recavano nella casa di Costantino Cappucci per vedere il nostro Santo ed udirlo, e così molti furono i testimoni delle cose prodigiose, che il Signore di continuo si compiaceva operare per mezzo del suo Servo. Narra il processo apostolico che un giorno il signor Costantino introdusse Gerardo ed i visitatori di lui nella galleria adorna di pitture e di quadri religiosi. Una di queste pitture rappresentava la Beatissima Vergine. Appena Gerardo vi ebbe fissato lo sguardo, immantinente fu sorpreso da uno di quegli slanci d’amore per la divina Madre, che traevano il corpo di lui a seguire il volo del suo cuore. Quanto è bella, esclamò il Santo, rivolto agli astanti. Mirate quant’è bella! E nel parlar così si elevò in aria fino all’altezza della sacra immagine, e poi ripetendo il grido: quant bella! Mirate quanto è bella! impresse mille baci su di essa. I testimoni di questa scena, che erano tutti sacerdoti o dei primari cittadini, furono compresi della più alta meraviglia non che della più profonda emozione. L’arciprete Domenico Cappucci, fratello del signor Costantino, restò tanto invaghito della santità di Gerardo, che non era mai sazio di trattenersi con lui. Egli aveva avuta la bella sorte di mettersi, durante la missione che i nostri diedero nel 1746 a Lacedonia, sotto la direzione del P. Cafaro e d’allora in poi menò sempre una vita molto esemplare, distinguendosi specialmente nello zelo per la salute dello anime dal tempo in cui acconsentì ad accettare l’arcipretura della cattedrale. Nondimeno non aveva ancora quello spirito di orazione che unisce l’anima a Dio, nè aveva conosciuto quella vita contemplativa, che forma il vero ministro di Gesù Cristo, e dona all’apostolato la vera sua fecondità. Gerardo penetrando con lo sguardo nell’animo di lui, scoprì questa lacuna, e la ricolmò. In grazia dei consigli o degli esempi di lui, il degno arciprete si diede a menare la vita d’orazione, in cui perseverò fino alla morte che accadde nel di 3 marzo 1790. V’era una signora che erodevasi estremamente infelice, perchè assalita da gagliarde e continue tentazioni. Volendo uscire da un tale stato per lei tanto doloroso, trovò mezzo di parlare al nostro Santo, cui comunicò i suoi travagli. Non aveva finito di parlare, che Gerardo le additò la vera causa delle sue miserie: La colpa, le disse, è vostra, è tutta vostra. Non siete tutta fedele con Gesù ()
Cristo. Chiudete meglio la porta del vostro cuore e non dubitale. Il Santo aveva dato nel segno. La povera signora fomentava una passione che l’esponeva al pericolo di cadere nella disgrazia di Dio. Riconobbe il suo errore, e mettendo fedelmente in pratica ciò che Gerardo le impose, tosto si sentì libera dalla passione e dalle tentazioni. Da Lacedonia il nostro Santo passò per Bisaccia, ove risanò miracolosamente un padre di famiglia, Bartolomeo Melchionne, divenuto scemo per marasmo. Passò a Rocchetta, dove fece cessare uno scandalo d’un operaio calabrese, che viveva in concubinato. Ritornò finalmente in collegio sul fine di febbraio 1754, e ne ripartì dopo qualche settimana per Foggia. Quivi nella settimana santa pregava nella chiesa delle religiose del SS. Salvatore, mentre il demonio gli tramava un’orrenda calunnia. Di questa ne parleremo a lungo.