L'apostolato
CAPITOLO VI
71. Dio vuole che Gerardo eserciti un apostolato presso i popoli. 72. L'arrivo, l’accoglienza e le conferenze in Muro. 73. Un moribondo guarito in un istante. 74. Le bestemmie non resteranno impunite. 75. Il passaggio dell'Ofanto a cavallo. 76. Preso per mago, conduce alla scoperta del tesoro nascosto. 77. La strage dei sorci. 78. Le meraviglie che il nostro Santo fece nella città di Corato. 79. Un’estasi in pubblica chiesa. 80. Qual pro venne ai nostri da questo apostolato.
71. Dopo la professione, Gerardo non visse che soli tre anni, ma furono anni di continuo apostolato. L’ubbidienza, che fu sempre la norma delle sue operazioni, lo costrinse spessissimo a rinunziare alla pace della solitaria dimora per andare in mezzo ai popoli delle città, delle castella, delle borgate, quando per trattare gli affari della casa, quando per servire ai Padri nelle missioni, quando per accorrere ai miseri che lo domandavano con istanza. I superiori non avevano chi meglio di lui potesse salvare gl’interessi ed il decoro della casa: la divina Provvidenza nascondeva i suoi disegni nelle pellegrinazioni di lui e le convertiva in altrettante corse apostoliche con immenso profitto delle anime. In verità egli aveva quanto bastava per procacciarsi la stima, per conciliarsi l’affetto, per vincere gli animi. Era di slanciata statura, di fronte alta e serena, di sguardo dolcissimo, di volto bislungo, avvenente. Il rigore dei digiuni e dei flagelli gli avevano impallidita la faccia, incavate le guance, e tanto consunte le carni da farlo apparire stecchito; ma tutto questo, anzicchè togliergli la grazia del sembiante, aggiungeva al suo aspetto tale una gravità, che non si poteva guardare senza tenerezza e venerazione. L’istesso suo andare di- Vita dimesso, la veste logora, il cappello negletto, le scarpe rattoppate gli suscitavano l’ammirazione di tutti, che solo in vederlo lo dicevano un santo. Parlava con dolcezza, trattava con umiltà, usava belle maniere; imperocchè a forza di repressioni aveva saputo così domare il temperamento sanguigno, il naturale ardente, da sembrare un agnello il più mansueto. Se però il discorso lo portava a ragionare di Dio, di Gesù Cristo, di Maria SS.ma tosto s’accendeva nel volto, e tutte le sue mosse prendevano novella vita: o, se si trattava d’impedire l’offesa della divina Maestà, le parole gli uscivano dal labbro tutte di fuoco. La fama della sua santità, la vita di preghiera e di mortificazione, le estasi, le profezie, i miracoli facevano intorno a lui un corteggio da mettere in commozione i popoli ai quali arrivava e lo rendevano atto a portare dovunque andasse le benedizioni di Dio. Era come una nube che, scorrendo di paese in paese, apporta con la sua pioggia la fertilità e l’abbondanza. Vediamolo coi fatti.
72. La provvidenza dispose che la prima volta fosse mandato a Muro, sua città natale, a raccogliervi oblazioni per il collegio di Deliceto, che allora versava in istrette finanze. Tutti, appena vi giunse, gli si strinsero intorno, chi per salutarlo, chi per implorarne le preghiere, chi per chiedergli consiglio. Al convento dei Francescani, che lo aveva alloggiato, era un accorrere di sacerdoti e di notabili della città, che gareggiavano per testimoniargli la loro venerazione. I confessori lo consultavano per raccoglierne lumi alla direzione delle anime: il Vescovo Monsignor Vito Muio volle sentirlo e risentirlo e non sapeva più distaccarsene; in seminario lo costrinsero a fare una conferenza su le parole: In principio erat Verbum, e tutti stupirono, dice un testimone nel Processo Apostolico, in udirlo parlare dell’eterna generazione del Figlio di Dio con elevatezza di concetti e felicità di espressioni; le Clarisse vollero anch’esse udirlo e l’ottennero per mezzo del Vescovo. La conversazione s’aggirò sui principali ostacoli del progresso di un’anima religiosa, e sui mezzi che questa deve prendere per tosto raggiungere la perfezione. Mostrò il male che proviene dalla frequenza del parlatorio, e dall’attacco alle creature; dipinse i vantaggi che derivano dal distacco dal mondo, dal raccoglimento e spirito d’orazione. E, come riferisce il Tannoia, ei disse: " E’ nel silenzio della cella che Iddio parla al cuore dell’anima fedele. Là, essa trova vera consolazione ad effondere i suoi affettuosi sentimenti dinanzi a Gesù Cristo Signor nostro, ed alla dolcissima sua Madre Maria", e così di seguito. Avvennero allora tra quelle religiose alcuni fatti che meritano di essere ricordati. Una di loro, malgrado i ripetuti avvisi dei suoi confessori, s’era incaponita a portare sospeso al collo un cuoricino d’oro, contro lo spirito di povertà e di modestia che aveva professato. Dopo aver ascoltato gli avvisi del Servo di Dio, se lo tolse senza indugio e non volle più saperne. L ‘abbadessa Mariaa Giuseppa Salines, da gran tempo soggetta alla febbre terzana, si raccomandò alle preghiere di lui. Egli, dopo aver pregato, le mandò un poco di polvere della tomba di S. Teresa, che aveva avuto dalle Carmelitane di Ripacandida. L’inferma facendone uso, guarì subito perfettamente.
73. Frattanto che Gerardo veniva da tutti ricercato, non trascurava la questua, la quale era lo scopo della sua venuta.; per meglio riuscire all’intento, aveva aggiunto a sè il figlio dell’orefice Alessandro Piccolo, affinchè andasse a fare la cerca da una parte nel tempo stesso ch' egli andava dall’altra. Ora avvenne un giorno che questo giovane inciampasse pel troppo affrettare il passo e battesse il capo in una pietra. Fu raccolto moribondo e portato in una casa vicina. In quel punto, passando col Servo di Dio il padre suo, sentiva nel trambusto della gente accorsa: Sta morendo: non v’è speranza! Fattosi strada tra la folla e vedendo che trattavasi del proprio figlio, tramortí. Sopraggiunto Gerardo: Non è niente, disse, non è niente. E, segnata col pollice una croce su la fronte del giovane moribondo, lo guarì all’istante. Oltre questo miracolo, Gerardo diede altri segni alla sua patria della sua inoltrata santità. Il primo fu quello di leggere nel profondo d’una coscienza, che da gran tempo s’era addormentata nel sacrilegio. Un certo Pietrangelo de Rubertis, notaio di Muro, dopo aver ucciso un ladro, che aveva trovato a cogliere le ciliege in una sua vigna, aveva sempre per molti anni tenuto nascosto questo suo peccato a chicchessia, anche al confessore. Però il nostro Santo, avendolo incontrato, senza preamboli gli disse: " Signor Notaro, vi siete confessato ed al Padre spirituale non avete svelato l’omicidio che commetteste di quel villano per le colte ciliege, il quale fu da voi sepolto nella stessa vostra vigna". A questa terribile rivelazione il notaro restò sbalordito e, durante la forte emozione narrò il segreto alla moglie, conchiudendo: « Fr.llo Gerardo è un gran santo, giacchè mi ha svelato l’omicidio noto solamente a me ed a Dio". L’emozione non fu sterile, perchè si confessò con molte lacrime, e ricuperò la perduta pace dell’anima . Un altro segno della sua santità furono le profezie che fece. Era andato un giorno in casa di un certo Carmine Petrone, quando, portato lo sguardo sopra un figlioletto di costui, che aveva tre anni e chiamavasi Antoniuccio, investito da lume superno, disse al padre: Carmine, rassegnatevi alla volontà di Dio, Antoniuccio vi sarà tolto e morrà con un istrumento di musica in mano. Non si pensava più a queste parole, allorchè, già partito il Servo di Dio da Muro, il bambino ammalò gravemente e prima di morire volle la chitarra del padre. Mentre vi faceva scorrere sopra la mano, rese la bell’anima al cielo.
74. Un altro giorno, andando col rettore del Seminario, in udire un empio che proferiva orrende hest,emrnie contro l’augustissima Trinità, esclamò : Queste bestemmie non rimarranno impunite: ben presto lo vedrete! Tre giorni dopo il bestemmiatore fu colpito a morte su la pubblica piazza, senza aver tempo a ravvedersi. Tali furono le meraviglie che il Santo operò nella prima andata che fece nella sua città natale, per le quali fin d’allora i suoi concittadini concepirono la speranza di vederlo un giorno dopo la morte su gli altari. E poichè vi fu chi s’avanzò a dirglielo, egli rispose: " Di certo io spero essere un dì santo in cielo, ma porrò ogni ostacolo per non essere santificato in terra ". La speranza dei Muresi si è compita, e la sua risposta restò qual protesta della sua profonda umiltà e non qual profezia. Non sappiamo in quali altre città o terre fosse stato poi mandato. Però è certo che dovette intraprendere nuovi viaggi, appena ritornato da Muro. In questi viaggi avvennero alcuni fatti, dei quali ci fu conservata la memoria e li narriamo.
75. Dovendo andare un giorno alla città di Melfi, dove l’aveva chiamato il suo superiore, P. Fiocchi, fece sosta in Carbonara presso il medico, Antonino di Domenico. Questi lo volle seco a pranzo, nè voleva poi farlo partire, perchè pioveva dirottamente. Vi ,ringrazio, ei disse, D. Antonino mio, ma io devo trovarmi questa sera a Melfi. D. Antonino cercò dissuaderlo, tanto perchè l’ora era già, tarda, quanto perchè avrebbe corso pericolo nell’attraversare prima un torrente vicino e poi l’Ofanto. Egli però non s’arrese. Compatitemi, disse, per amore di Gesù Cristo. Io devo fare l’ubbidienza. Mi aspetta questa sera nella casa del vescovo di Melfi il P. Fiocchi. E qui, per rassicurare l’amico, prese a dire come del torrente non temesse, perchè aveva un cavallo forte, che sapeva ben andare dentro l’acqua; in quanto all’Ofanto, se fosse cessata la pioggia, l’avrebbe passato a cavallo, e, se fosse continuato a piovere, avrebbe pigliata la volta del ponte della pietra dell’olio. Poi conchiuse: Per carità non mi trattenete: anzi vi dico che se non esco di casa, il tempo non s’aggiusterà. Vedutolo così risoluto, il buon ospite lo sollecitò esso stesso a partire, perchè l’ora non si facesse più tarda, e comandò a due uomini che l’accompagnassero sino all’Ofanto. Allestito il cavallo, Gerardo partì. Allora cessò di piovere, e, quantunque il torrente scorresse gonfio, pure lo passò felicemente coi due uomini, che fece montare l’un dopo l’altro in groppa. Ma quando furono in riva all’Ofanto, Gerardo, gli dissero gli uomini, non t’azzardare: il fiume è grosso. Vedi come trasporta tronchi e pietre? - Non temete, ei rispose, il cavallo sa nuotare: e, fattosi il segno della santa croce: Via, disse al cavallo, passiamo in nome della Santissima Trinità, e tosto entrò nel fiume. Il cavallo affondò fino alla testa, che sola usciva sopra dell’acqua, e come fu in mezzo al fiume, ecco un albero intero, trasportato dalla corrente, che gli era già addosso. Madonna, aiutalo! gridarono i due uomini rimasti alla riva. Ed egli: Non temete che mo si sposta in nome della Santissima Trinità, e col segno della santa croce scostò da sè quell’albero, che passò oltre. In men che si dica, egli fu col cavallo salvo all’altra sponda. Di là, fatto segno ai due che se ne andassero in nome di Dio, partì per Melfi, dove, come l’ubbidienza voleva, arrivò la sera. Questo fatto ci fu tramandato da una relazione scritta del sacerdote D. Matteo Serio, canonico della Cattedrale di S. Angelo dei Lombardi, il quale afferma di esserne stato in parte testimone di vista e di aver udito il resto nel giorno appresso da D. Antonino, il medico, per relazione dei due uomini che accompagnarono Gerardo fino all’Ofanto.
76. Un altro fatto lo raccogliamo dal P. Laudi, dal P. Tannoia e dai due processi, ordinario ed apostolico . Un giorno il Servo di Dio tornando, non si sa donde, s’imbatté, a poche miglia da Deliceto presso Montemilone, in un giovane avventuriere il quale, sorpreso all’aspetto di lui sparuto, incominciò a squadrarlo da capo a piedi, pensando tra sè che forse quell’uomo dal mantello logoro e dalle scarpe rattoppate potesse essere uno zingaro che andasse in cerca di tesori nascosti . E poiché i suoi sogni non erano che argento ed oro, se ne persuase, e fattosi innanzi, gli domandò: Sareste voi per avventura un mago? La strana domanda, e più probabilmente un lume celeste fecero intendere al Santo chi fosse quel giovane e, vedendo in lui un’anima da guadagnare, giuocò di astuzia e rispose in modo equivoco . L’altro, confermato nel suo pensiero bizzarro, e stimandosi già ricco di molto denaro, gli si offrì, dicendo : Se volete trovare un tesoro, eccomi qui, son pronto, io v’ accompagno . - Ma, soggiunse Gerardo, siete voi uomo di coraggio? E quegli: Ah! voi non sapete chi io mi sia! Ascoltate che ho fatto. E qui prese a narrare le sue tristi avventure, conchiudendo che da sei anni non avesse più saputo di sacramenti. Va bene, va bene! disse allora il supposto negromante, per voi dunque voglio trovare un tesoro. Fate quanto vi dico e il tesoro è bello e trovato. Meglio incoraggiato, l’illuso si sbracciava a continuare il racconto delle fosche sue prodezze, mentre il Santo studiava un pio stratagemma. Cammin facendo giunsero presso una boscaglia foltissima. Frate! Gerardo vi entrò per primo: il compagno gli tenne dietro, stimando toccare il termine dei suoi voti. Giunti in mezzo alla macchia più fitta: 0rsù ci siamo, disse il supposto negromante, eccovi al punto voluto. Ciò detto, si toglie il mantello e lo stende in terra, indi levatosi in silenzio, fé cenno con la mano al giovane di avvicinarsi. Costui, immaginando dover vedere il diavolo, cominciò a tremare. Ma Gerardo gl’ impose d’inginocchiarsi, gli ordinò di congiungere le mani, poscia levando gli occhi al cielo, pregò tacitamente Dio, e dopo pochi istanti ruppe a dire con tuono solenne: Poiché vi ho promesso di farvi trovare il tesoro, voglio mantenervi la parola. Ma il tesoro di cui parlo non è di questo mondo, è il tesoro dei tesori, è il tesoro del Paradiso: se volete vederlo, eccolo qui e tirò fuori il Crocefisso, che portava sul petto sotto la sottana. L’altro guardava esterrefatto. Sì, continuò Gerardo, eccolo qui, questo è il tesoro che avete perduto da tanti anni, questo tesoro avete barattato per vili creature di fango ... E cosi di seguito, con l’usato zelo, prese a dipingere coi più foschi colori lo stato infelice del peccatore, che stavagli innanzi atterrito, e dopo avergli posto sott’occhio la serie dei commessi delitti, gl’ intimò di far ritorno a Dio. Durò (dice il P . Laudi) questa patetica perorazione intorno a mezz’ora, e Dio la benedisse in maniera che quel giovane si diede a piangere ed a gridare come un pazzo. Vedendolo compunto, Gerardo allora se l’abbracciò e gli disse: Fratello mio, vieni con me; e lo menò nella nostra casa. Quivi gli fece fare una buona confessione ed ebbe cura di lui per alquanti giorni. Indi quel novello convertito si ritrasse pienamente consolato, benedicendo l’ora fortunata in cui incontrando il Servo di Dio, aveva trovato il vero tesoro.
Un terzo fatto lo togliamo dal processo ordinario. Passando un giorno Gerardo, a motivo di questa, per la terra di San Menna in quel di. Muro, s’avvide che il suo cavallo aveva perduto i ferri. Ricorse al maniscalco, e questi, dopo averlo ferrato, ne chiese il prezzo assai maggiore del dovuto. Il Santo che quanto giusto, altrettanto era sollecito della povertà e degl’ interessi della casa, neppure rispose all’ingiusta richiesta; ma volto al cavallo : Rendigli, gli disse, rendigli i ferri. Il cavallo fece un passo innanzi e, scossi l’un dopo l’altro i piedi, fece cadere i ferri a terra . Il maniscalco restò senza fiato e, riavutosi dal lungo sbalordimento, corse dietro al Santo, che s’era già allontanato, gridandogli: Aspettate, uomo di Dio, aspettate. Avrebbe voluto chiedergli perdono, ma Gerardo proseguì il suo cammino .
77 . Sacerdoti e signori di Corato nelle Puglie, ritornati dai santi esercizi, che avevano fatti nel nostro collegio di Deliceto, non seppero parlar di meglio ai loro parenti ed amici, che delle rare virtù di Gerardo che avevano là conosciuto . Tali racconti destarono nell’animo dei Coratini tanto desiderio di vederlo, che tutti uniti scrissero suppliche al P . Fiocchi, che per carità l’avesse mandato. Laonde nello scorcio della quaresima del 1753, poco tempo dopo che dalle ultime peregrinazioni erasi restituito in collegio, il santo fratello ebbe l’ordine di partire per quella città . Ciò che gli avvenne in questo viaggio, lo riferiamo con le parole del P. Camilla Ripoli, il quale lo depose nel processo apostolico: “Attraversando la via che da Andria mena a Corato, vide un massaio di campo piangere disperatamente. Non resse alle angustie del campagnuolo ed avvicinandosegli amorevolmente, gli dimandò perchè piangesse. “ Padre, rispose colui credendolo sacerdote, anche sapendolo non potreste recarmi consolazione. - Come, buon uomo, ripigliò Gerardo, lddio non ti potrebbe aiutare? - Oh certo si, riprese il campagnuolo; ma vedete quanti sorci hanno devastato e devastano i miei seminati. Si morrà di fame la mia famiglia! Gerardo ch’era animato da viva carità per tutti, restò commosso, guardò il campo, ed alzando la destra fece un largo segno di croce, e confortando quell’infelice se ne andò verso Corato. Il massaio, come colui che tutto riponeva nelle fatiche del campo, si rivoltò addolorato a percorrerlo con la vista, e vide sulla superficie di quello, or qua, or là morti i sorci devastatori; e riandando più con lo sguardo, più ne vedeva estinti ed indi più e più. Allora stupefatto alzò la voce e correndo verso Gerardo, diceva: Aspettami, uomo di Dio, aspettami! Ma Gerardo, che fuggiva ogni plauso, battendo di sproni al suo cavallo, affrettò il passo e così si sottrasse alle grida di Santo, che il campagnuolo ed altri, che seco lui a quelle grida eransi per quelle campagne riuniti, mettevano ad ogni passo.” A questo racconto il P. Landi aggiunge che, proseguendo il cammino e non sapendo dove abitasse il sig. Felice Papaleo che doveva ospitarlo, abbandonò la briglia sul cavallo, sperando che la divina Provvidenza l’avesse guidato. Infatti, avendo ei domandato nel punto in cui il cavallo si fermò, dove fosse di residenza il sig. Papaleo, si senti rispondere: Ma voi già ci siete.
78. Una lettera scritta dal sig. Saverio Scoppa al P. Fiocchi ci rivela le cose che il Santo fece in quella città. Essa dice: “ Molto Reverendo P. Rettore. - La divina Provvidenza ha fatto che in Corato si portasse fratel Gerardo inaspettatamente, anzi per divino volere miracolosamente, per provvedere alla salute delle sue dilette creature; mentre con la sua venuta e col suo buon esempio ha tirato a divozione tutto il popolo, ed ha operate stupende conversioni. I signori, le gentildonne lo seguitavano in folla e la compunzione e l’ammirazione è stata somma, anche al solo sentire nominare e proferire qualche e mezza parola di Dio. Padre mio, mi si confonde la mente, e mi mancano le parole per potermi spiegare. Non si può V. Riverenza immaginare il concorso del seguito che aveva per la città; mai lo lasciavano, anzi lo portavano in mezzo, giusto come un santo calato dal Paradiso. E poi non soddisfatti d’avergli parlato tutto il giorno, la sera si empiva la casa del sig. Felice Papaleo di moltissimi signori, preti ed altri, i quali non lo lasciavano fino alle sei ed alle sette della notte, stimolando sempre il buon fratello a dire qualche cosa di Dio . E sappia V. Riverenza che era una cosa meravigliosa, mentre ogni parola che usciva di bocca a Gerardo feriva i cuori di tutti gli astanti. Al solo proferire qualche sentimento di Dio si serbava il silenzio e si udivano i profondi sospiri, giacchè egli con poche parole ammolliva ed atterriva ogni duro cuore. Infiammati dalla sua santità e dal suo esempio, i signori non solo vogliono la missione in Corato, ma benanche per li 15 o 20 dell’entrante mese vogliono venire nel Collegio di Deliceto a fare i santi esercizi, e molti anche sono animati a lasciare il mondo. Per dirvi la verità, io sono rimasto fuori di me stesso. E tutto ciò è poco in riguardo a quello che sono per dirvi: mentre non solo il popolo è restato infuocato dall’amore di Dio, ma anche un certo monastero di monache, molto libertino, è rimasto riformato e mutato al solo apparire di detto Fratello, essendo stato così efficace un solo suo discorso che le ha distolte da ogni vanità e le ha rese ubbiedienti alla Madre Superiora; ciò che per innanzi riusciva impossibile. Adesso ubbidiscono con prontezza alle sue parole, e come piaceva ad esso fratel Gerardo, e di ciò se n’è veduta anche l’esperienza, perchè avendo loro imposto che non avessero più frequentati certi finestroni molto pericolosi, e che non avessero più contradetto la Madre Abbadessa, esse hanno fatto l’ ubbidienza, e per futura memoria della promessa, hanno cercato a Gerardo il suo Crocifisso per metterlo, come infatti l’ hanno posto, nei suddetti fìnestroni, alli quali non si sono più accostate, essendo state dal fuoco e dallo zelo del Fratello infuocate, con sommo stupore di tutta la nobiltà. Padre mio, io non so come spiegarmi per far capire come Dio ha operato in persona di detto Fratello, mentre tutti i galantuomini lo vogliono qui di nuovo allora quando saranno ai santi esercizi. Ed io indegnamente vi prego, per quanto amore portate a Gesù Cristo, a mandarlo, perchè sarà una cosa di somma gloria di Dio. Vorrei più scrivere, ma per scrivere quanto mi sta in mente, mi manca la lena. Spero al Signore di venire di persona per parlarvi a viva voce di molte cose meravigliose. E resto. Corato, 29 Aprile 1753. Di V . Riverenza D.mo Servitore Saverio Scoppa.”
Fra le cose meravigliose, alle queli allude la lettera precedente, sono d’annoverarsi queste, che desumiamo dal processo apostolico. Un giorno che parlava alle Monache Domenicane dell’infinito amore di Nostro Signore verso gli uomini, ad un tratto fu preso da santo entusiasmo; gli si accese il volto, gli si fe’ ansante il petto e gli occhi brillanti fissarono il cielo. Afferrata con le sue mani l’inferriata del parlatorio, si diè a sospirare, come oppresso sotto il peso delle celesti dolcezze, di cui si sentiva l’anima ricolma . Restato per tal modo lunga pezza, sembrò ritornare ai sensi, e chiese dell’acqua fresca; ne bevve pochi sorsi, e si versò il resto sul petto, per rattemperare gli ardori del santo amore. Anche questo giovò molto che tutte le suore si sentissero animate dal più vivo desiderio di corrispondere all’amore di Gesù Cristo. Una giovinetta, a nome Vincenza Palmieri, unica erede di cospicua famiglia dimorante a Napoli, passava i giorni in questo monastero da’ suoi primi anni, affine di ricevervi l’educazione; già essendo al termine, aspettava col massimo ardore dell’animo l’arrivo di sua madre, che sarebbe venuta a rilevarla dal luogo santo per menarla nel mondo . Ella non provava gusto per la vita religiosa, e la famiglia aveva ben altri disegni su di lei. Di ciò avvisato, fratel Gerardo chiese di vedere la giovane, la quale senza ambagi esposegli il tedio causatole dalla vita di chiostro. Egli le disse: E che? figliuola, vuoi uscire da questa santa casa? No, questo è il posto tuo. Qui devi essere monaca. La Vincenza rispose non esser questa la sua intenzione; ma egli le predisse come, cangiato pensiero, si sarebbe rinchiusa nel monastero dove avrebbe passato lunga vita e molto edificante. Di fatti, di lì a poco arrivò la madre, e trovò che lungi dal volere ritornare a Napoli, domandava istantemente l’ingresso al noviziato e l’ottenne. A suo tempo fece la professione, e giusta la profetica parola di Gerardo, menò vita fervorosissima, e morì molto vecchia, dopo essere stata consolata negli estremi momenti da un’apparizione del glorioso patriarca S. Giuseppe, come fu deposto nel processo . Anche il monastero delle Benedettine volle godere della presenza del Santo, e ripetute volte lo fece chiamare per sentirlo parlare di Dio e delle cose celesti. L’abbadessa, Madre Azzariti, pensando al conto che a Dio rendere debbono i superiori, desiderava ardentemente essere esonerata da tanto peso. E non contenta d’aver chiesto consiglio e conforto al Servo di Dio, l’interessò a pregare il Signore, perchè si degnasse appagare questo suo desiderio. Egli disse: Sarete esaudita, e ben presto, ma vi vedrete caricata di una croce più pesante. Fu una vera profezia, perché la rinunzia dell’abbadessa fu accettata, ma videsi tosto afflitta da un cancro che per più anni la travagliò fino alla morte.
79. Quello però che vie meglio accreditò la santità di Gerardo in questo monastero, anzi presso ogni ordine di cittadini, fu l’estasi ch’egli ebbe il Venerdì Santo , 20 aprile di quell’anno 1753 . Nel pomeriggio di detto giorno, portavasi in processione per la città una pittura assai espressiva di Gesù appassionato. Quando il religioso corteo entrò nella chiesa delle Benedettine, Gerardo, che tutto quel giorno era stato immerso nella contemplazione delle pene dell’Uomo-Dio, trovavasi colà in orazione. Egli volse lo sguardo a mirare la santa immagine, ed ecco un subito rapimento straordinario s’impadronì di lui . Lo si vide (dice un testimone) elevato in estasi più palmi dal suolo, come tirato da forza superiore verso il sacro dipinto. A tale vista i numerosi spettatori furono penetrati di divozione e tutti inteneriti, ed il santo Fratello, che aveva già dati ai Coratini, segni non equivoci di sua santità, fu da quel giorno come vero santo apprezzato e predicato. Intanto la missione di lui toccava al termine. Spirate le feste pasquali , manifestò la presa risoluzione di ritornare a Deliceto . Si pregò , si supplicò, perchè differisse la sua partenza, ei rispondeva: Bisogna che me ne vada, giacchè il superiore mi ha chiamato. E poichè non era arrivata nè lettera, nè ambasciata alcuna, questo linguaggio sembrò strano; ma il P. Fiocchi confidò al canonico Giovo che in quel giorno stesso con ordine mentale gli aveva comandato di ritornare a Deliceto.
80. A causa di questo apostolato del nostro Santo, s’istituirono più simpatiche relazioni. tra i Coratini ed i Nostri. A partire da quel tempo, quei cittadini restarono affezionatissimi alla nostra Congregazione, impresero a meglio frequentare la nostra casa di Deliceto, quantunque lontana, e chiesero senza indugio una missione. Questa nostra Missione fu predicata sul finire del 1754 e fu molto benedetta da Dio, sicchè produsse frutti ubertosi di conversioni e di santificazione. Entusiasti i coratini domandarono una stabile residenza dei nostri nella loro città, ma per quanti sforzi si fossero fatti, tutti riuscirono allora inefficaci. Solo un secolo dopo, nel 1856, in seguito ad un’altra Missione si potettero iniziare i lavori del grandioso Collegio iniziato per la munificenza dei cittadini. Ma anche questa volta i desideri dei buoni coratini venivano frustrati per l’infausto succedersi della Rivoluzione del 1860. Il nome di S. Gerardo suonò per lungo tempo celebratissimo in quel luogo, ed il Padre D. Claudio Ripoli col suo germano P. Camillo, nati a Corato, il primo nell’ anno l785 e l’altro nell’ anno 1780, affermano nei processi che, a loro tempo, la memoria del Servo di Dio era tuttora vivissima nella città. Ed il secondo in particolare termina così la sua deposizione: “Perchè fu conosciuto modello di virtù e di penitenza, avendo anche il dono della penetrazione de’ cuori e dei miracoli, gli accordarono concordemente il nome di Santo. E perchè io mi sentiva ripetere lo stesso, non solo da mio padre e da mio zio D. Domenico Can. Ripoli, ma da tutti i miei concittadini; fu questo il motivo che mi determinò a prendere l’abito liguorino nel 1798.” Laonde conchiudiamo il capitolo coll’ osservare che ai mirabili risultati della visita di Gerardo a Corato, è d’aggiungersi quest’altro rilevantissimo, d’aver fornita la nostra Congregazione di uno dei suoi soggetti più ragguardevoli, quale fu il Reverendissimo P. Gian Camillo Ripoli. Questi la governò quale Rettore Maggiore e Superiore Generale dal 1832 al 1850, in cui pieno di meriti se ne tornò a Dio. Ecco come i santi, eziandio dopo la morte, continuano a pro degli uomini la loro benefica missione. La loro memoria è una benedizione.