"Vieni e seguimi!"
CAPITOLO XI
E' proprio vero ciò che scriveva il Faber: che cioè "un'anima santa val più di un milione di anime volgari". Gerardo tendeva alla santità concreta, la sola reale: cioè alla intera docilità agli inviti della grazia con l'amorosa accettazione di tutte le disposizioni della Provvidenza verso di lui e verso tutte le creature nel tempo e per tutta la eternità. Egli amava ardentemente Gesù e la Vergine non solo a parole,. ma specialmente con i fatti. Giunse quindi alla santità, perchè questa è Gesù Cristo vissuto: cioè la fedele riproduzione del Redentore nell'anima con i lineamenti concreti e le sfumature individuali volute da Lui in particolare. Perchè il Majella si sforzava di praticar eroicamente tutte le virtù, queste plasmarono in lui il Santo.
Con la grazia di Dio egli riusciva invincibile, perchè poteva sperare che il male non riuscisse a sopraffarlo, ma si sarebbe invece infranto contro la purezza del suo cuore rinnovellato continuamente in Gesù via, verità e vita. Era invulnerabile agli attacchi del nemico infernale, perchè nessuna ferita nè morale, nè spirituale poteva toccare il centro vitale della sua immortalità affidata a Gesù e alla Vergine.
-Mio figlio è veramente nato per il Cielo! -diceva perciò mamma Benedetta edificata del suo irreprensibile contegno e della sua serafica devozione.
In realtà, Gerardo non era adatto alla vita del secolo, perchè fornito di un'indole disposta alla pietà, alla sofferenza e alla solitudine operosa. Pensava perciò a evadere dal mondo, perchè simile a un vascello tra i marosi di mari procellosi, ai quali urgeva sottrarsi per non naufragare miseramente. A giovani superficiali il mondo poteva apparire, almeno di lontano, quasi un giardino ricco di fiori e di profumi inebrianti, ma il Majella lo scrutava da vicino, con occhio perspicace e alla luce della fede: perciò gli risultava un misterioso labirinto, per il quale sarebbe stato pericoloso avventurarsi, perchè
irto d’insidie e pieno di lacci come l'aveva visto S. Antonio abate. Gerardo teneva perciò il suo cuore in alto e .guardava le vanità terrene per disprezzarle; procurava d'impiegare bene il tempo per moltiplicare i meriti con buone azioni e così conseguire la immarcescibile corona da Gesù promessa ai vittoriosi.
Perchè i Cappuccini non lo accettavano per cause indipendenti dalla sua volontà, pensò di farsi eremita su qualche vetta solitaria o tra la ramaglia di un bosco, per vivere lontano dalle persone e unicamente proteso verso il buon Dio.
Confidato tale proposito a un amico di buono spirito, si decise di attuarlo con un regolamento di vita severo, al quale si voleva essere fedeli.
“Esso -come scriveva il Tannoia consisteva in vari esercizi di pietà, in lavori manuali e in penitenze. I due eremiti si sarebbero alimentati di erbe come gli antichi solitari; avrebbero riposato pochissimo per poter impiegare notevole parte della notte nell'orazione'".
Ma l'amico, incapace di adattarsi a tali rigori, dopo pochi giorni di prova, desistette. Il Santo invece avrebbe voluto perseverare, ma vi rinunciò appena convinto che quella non fosse la sua vocazione. Così appunto gli disse il confessore, che l'obbligò a ritornar presso la mamma. Gerardo quindi ubbidì a chi gli parlava a nome di Dio e riprese il mestiere del sarto, docile alla madre, assiduo alla fatica, raccolto nella preghiera,modesto, fervoroso ed esemplare specialmente in chiesa.
Iddio intanto ne confermava la santità con i miracoli. Nel vedere una giovane mamma che teneva in braccio il piccolo Amato piangente per gravi scottature, il Santo lo toccò sul braccio e sul petto doloranti e subito il piccino sorrise, perchè immediatamente guarito.
Un giorno, nel passar per "la contrada Maddalena'", Gerardo vide alcuni muratori angustiati perchè privi di travature adatte a coprire una tettoia.
-Abbiate fiducia in Dio! -consigliò loro il Santo. Poi propose loro di sistemar le travi con le corde e allora tutto andò a meraviglia con stupore degli astanti, che quasi non credevano ai propri occhi.
Nonostante questi fatti straordinari però il Majella non era contento, perchè si trovava quasi come un pesce fuor d'acqua. Spesso si astraeva da tutto, perfino dal suo mestiere. Mentre cuciva, pensava al chiostro dove si sarebbe trovato così bene, perchè nel proprio ambiente. Là sarebbe vissuto di ubbidienza, in povertà e nella innocenza, perché difeso dai pericoli del mondo traditore; là avrebbe potuto arricchirsi d'innumeri meriti e dedicarsi alla continua preghiera. Benchè povero di condizione, aspirava alla Povertà volontaria di spirito, perchè questa gli avrebbe impedito di sconfinare nel desiderio dei beni caduchi e che sono spine per chi li possiede; la vita religiosa gli avrebbe tolto il superfluo e anche il non strettamente necessario per assicurargli così il possesso dei veri beni imperituri. Quantunque giovane nella primavera della vita, voleva che la giovinezza non fosse per lui l'età del piacere, ma l'età dell'eroismo. Desiderava essere eroico nel sacrificio, nella penitenza, nell'ubbidire, nel faticare per amor di Dio e vantaggio del prossimo, alieno com'era dall'egoismo, dalla libertà, dai comodi della vita per non attaccarvi il cuore. Dacchè la buona mamma avrebbe ormai presto cambiato l'esilio con la Patria, egli sarebbe rimasto orfano e libero di sè, forse quindi in balia del capriccio. Desiderava quindi ubbidire docilmente a superiori che rappresentassero Iddio, per far sempre la Volontà divina e rendere così meritorie tutte le sue azioni regolate dall'Ubbidienza religiosa sicura barriera che lo avrebbe premunito contro ogni assalto delle passioni, perchè in essa avrebbe trovato la sicurezza di vivere in perfetta fedeltà alle leggi di Dio.
Gerardo pensava perciò alla vita religiosa come a un'oasi provvidenziale nell'arido deserto del mondo agitato dai monsoni di ogni tentazione e tomba di tante anime da esso ingannate e condotte alla rovina eterna.
Ma l'ora di Dio stava per scoccare: l'ora provvidenziale, in cui il Majella avrebbe finalmente trovato la vera via regale, che avrebbe dovuto percorrere per conseguire la santità; l'ora in cui, pur tra tante prove e ripulse, avrebbe potuto corrispondere alla vocazione prescelta per lui dal buon Dio e dalla Vergine.