Nascita ed adolescenza del Santo
Capitolo 1
Gerardo Maiella nacque a Muro Lucano nella Basilicata il 6 Aprile del 1726 da modesti ma virtuosi genitori: Domenico e Benedetta Cristina Galella.
Fin dalla sua infanzia Gerardo diede segni speciali di santità, come quelli della Cappella di Capotignano (borgatella poco distante da Muro), ove ogni giorno il piccolo Gerardo si recava per scherzare, com'egli diceva, col bambinello Gesù, Che, quasi in premio della sua visita quotidiana,gli donava un bel panino, e gli parlava con amore.
I suoi trastulli puerili erano sempre cerimonie religiose, i suoi canti erano inni, che apprendeva dalle chiese, da lui frequentate, ed anche quando era con i compagni non lasciava i suoi giocherelli santi, ch’edificavano i presenti. Anche a scuola egli fu l’esempio ed il modello dei compagni, e quando era libero delle lezioni, presto correva in chiesa a pregare innanzi al S. Altare.
Un giorno, essendosi recato con la madre in chiesa per ascoltar la Messa, si confuse tra i comunicandi, sperando di ricevere anche egli la S. Comunione; io non so dire quale sia stata la sua triste delusione nel vedersi trascurato dal sacerdote celebrane, che, vedendolo così piccolo, passò oltre senza comunicarlo.
Ritornò al suo posto tutto addolorato, pianse amaramente; ma la notte seguente il Signore lo consolò facendolo comunicare prodigiosamente per mano dell’Arcangelo S. Michele.
Fatto grandicello il padre volle che avesse appreso il suo medesimo mestiere, quello del sarto, ed egli, senza resistere alla volontà del padre, di diede subito ad apprendere tal mestiere presso un tal Martino Pannuto, che ammirò sempre in lui una pietà speciale ed un’accuratezza singolare nel lavoro. Ma per quanto buono era con lui il padrone Martino, per tanto brutale era il capo operaio, il quale, abusando della pazienza e bontà del giovanetto Gerardo, continuamente lo rimproverava per un nonnulla, lo percuoteva, mentre il buon Gerardo soffriva tacitamente, e, quando il padrone si accorgeva di tali maltrattamenti, lo scusava financo. Però il padrone Martino, riconosciuta la malvagità di questo capo operaio, lo mandò via, con gran dispiacere di Gerardo, che perdeva così un gran mezzo di santificazione.
Da Martino il sarto, Gerardo, passò al servizio del Vescovo di Lacedonia, Mons. Claudio Albini, uomo abbastanza iracondo e di natura molto rigida, ragioni per cui mai nessuno durava a lungo al suo servizio.
Gerardo, sebbene contasse appena 16 anni, pure disimpegnava con grande prudenza i suoi uffici, da contentare il Vescovo abbastanza, lo ripeto, irascibile. E pure di tanto in tanto non mancavano riprensioni giuste ed ingiuste, rimproveri, punizioni, che il nostro servitorello sopportava in pace, pensando alle sofferenze di Gesù Cristo, fatto servo per gli uomini e perciò si gloriava di imitarlo soffrendo in tutti i modi.
Un giorno, a farla a posta, attingendo acqua dal pozzo dell'episcopio, cade giù la chiave dell'appartamento del Vescovo, ch'era fuori casa per opera del suo ministero. Chi può dire la giusta trepidazione di Gerardo, che aveva da fare con quel Monsignore!? Come si sarebbe scusato al ritorno del Vescovo? Chi sa come andrà in furia, pensava il buon. Gerardo, ora che tornerà! ... ma ecco, ha un barlume, pensa di farne una delle sue; corre a pigliare una statuetta del Bambino Gesù, la lega ad una corda e giù nel pozzo.
«Va, dice, cavami d'impaccio, Monsignore s'inquieterà con me al ritorno, pensa tu restituirmi la chiave ». Ciò detto, tira su la statuetta, quale prodigio! il Bambino porta nella destra la chiave, e cosi Gerardo è salvo dall'ira del Vescovo, ed ancora oggi quel pozzo a. memoria del fatto, è chiamato il pozzo di Gerardiello.
Morto il Vescovo, dopo circa tre anni di servizio, Gerardo tornò a Muro e fece istanza di entrare nel convento dei Cappuccini, ma ne ebbe un bel rifiuto per la sua malferma salute, e cosi rassegnato alla volontà di Dio, riprese il mestiere di sarto.
Prima lavorò con un altro padrone: Vito Mennone, poi prese a lavorare per conto proprio in casa, ma verso la fine del 1746 si recò a S. Fele, ove fu occupato in un convitto per la manutenzione degli abiti degli allievi, e qui ha pure da soffrire con i giovani studenti, che ora per ischerzo, ed ora seriamente lo tormentavano in tutti i modi, e qualche volta s'aggiungeva pure lo spasso di un malintenzionato maestro.
Gerardo però finisce per andar via e torna a Muro, ove si dà ad una vera ma santa follia, quella della Croce. Si fa flagellare, si fa sospendere ad una croce col capo in giù, si sottomette ad ogni sorta di vitupèri e di scherni, si finge pazzo, si mortifica in mille modi per imitare Gesù Crocefisso, centro di tutta la sua vita.
Sì, chiamiamola pure follia la sua, perché tale la ritiene il mondo, mentre l'anima amante di Gesù Cristo l'apprenderà come vera sapienza e tant'è!
Buona parte del giorno egli la passava tra la meditazione sulla passione e morte di Gesù Cristo e la visita a Gesù in Sacramento, da Cui un giorno gli fu dato di ascoltare: «Pazzerello, che fai tu qui? » e Gerardo di rimando: «Più pazzo di me siete voi, Signore, che per amor mio ve ne state continuamente come un prigioniero in questo Tabernacolo». All'amore di Gesù non mancava di aggiungere quello di Maria, per la cui protezione egli ottenne, tra tante grazie, il dono singolare di una perfetta purità di anima e di corpo.