Il questuante infermo
CAPITOLO XXV
Sotto il torrido sole d'agosto del 1755 Gerardo era di nuovo in cammino per le aride vie polverose e gli acquitrini ronzanti di zanzare lungo la Valle del Sele per raccogliere fondi alle costruende casa e chiesa di Materdomini. Pallido e sparuto come sempre, non lamentava i suoi malanni, anzi vi scherzava per non destare apprensione. Durante la giornata aveva espettorati sanguigni, sintomi d'etisia che non erano sfuggiti al medico, Nicola Santorelli. A lui Gerardo medesimo aveva annunziato: «Non lo sai che burlando burlando quest'anno me ne muoio tisico?».
Quello che operò di bene e di prodigi durante la sua marcia può suonare esagerato, ma le testimonianze dei contemporanei, mitigando lo spirito critico del nostro tempo, possono far scoprire la potenza di Dio nell'uomo trasformato in sua immagine perfetta. La questua procedette bene fino alla sera del 21 agosto, malgrado la tosse e l'affanno; ma mentre stava inginocchiato nella chiesa di San Gregorio Magno ebbe uno sbocco forte di sangue. Salassato alla tempia da un medico inesperto, non vedendo miglioramento, pensò di far ritorno a Caposele. Arrivò a Buccino la sera dopo, il 22 agosto. Per trascorrere la notte riuscì a trascinarsi in canonica. Assalito ancora dalla tosse violenta, ebbe il secondo sbocco di sangue, e due medici lo salassarono al piede, consigliando subito il cambiamento d'aria. Raggiunse con sforzo Oliveto Citra. Dalla casa dell'arciprete Arcangelo Salvadore, informava il rettore padre Gaspare Caione: «Sappia vostra Riverenza che, mentre stavo inginocchiato nella chiesa di S. Gregorio, mi venne un butto di sangue. Andai con segretezza a ritrovare un medico e gli raccontai quanto era accaduto. Egli mi assicurò che il sangue non veniva dal petto, ma dalla gola; mi osservò che non avevo febbre, né dolore di testa, e perciò mi replicò con molte espressioni che non era niente; mi fece salassare alla vena della testa, mentre io non mi sentivo veruno incomodo. Ieri sera, giunto a Buccino, mi venne la solita tosse e buttai sangue nella stessa maniera. Mandarono a chiamare i medici, i quali mi ordinarono certi medicamenti e fra l'altro mi fecero salassare il piede. Il sangue che buttai lo buttai senza dolori e senza incomodi. Mi dissero ancora che non viene dal petto, e mi ordinarono che subito, la mattina seguente, che è stata questa mattina, fossi partito da quell'aria sottile e mi consigliarono che mi fossi ritirato a Oliveto, tanto per l'aria, quanto per parlare col signor don Giuseppe Salvadore, uomo insigne per medicina.
Io non l'ho trovato, ma mi dice l'arciprete suo fratello che viene questa sera. Tutto questo l'avviso a Vostra Riverenza per sapere come fare. Se volete che seguiti la questua, io la continuerò senza incomodo; perché circa il petto io mi sento meglio di quando stavo in casa. Tosse non ne ho più. Or via, mandatemi un'ubbidienza forte, e sia come sia. Mi dispiace che Vostra Riverenza si metta in apprensione. Allegramente, Padre mio caro, non è niente. Raccomandatemi a Dio, che mi faccia far sempre la sua divina volontà e il suo gusto divino».
Questo documento-relazione, calmo, misurato, preciso, cui non si può né aggiungere né togliere una parola, è una cronaca abbagliante. Rispecchia tutto intero Gerardo Maiella, che rivestito di cinque voti di perfezione, batte la sua strada inchiodato alla volontà di Dio, cadendo improvviso sotto la croce, ed esausto domanda la forza di riprendere il cammino.