L’ultimo officio
CAPITOLO XV
183. Il soprastante della fabbrica. 184. Travaglia più che gli operai. 185. La supplica a Gesù sacramentato e il generoso rescritto. 186. Il tacchino obbediente . 187. La pioggia dirotta che non bagna. 188 Il cavallo che si arresta all’istante. 189. Un’anima rea scoperta e convertita. 190. Stupore per tale conversione. 191. La scrutazione dei cuori. 192. La visione in distanza 193. La bilocazione . 194. Egli sta in estasi e gli angeli preparano il pranzo. 195. L’umiltà negli onori. 196. Le meraviglie per la conversione del segretario dell’arcivescovo.
183. Dopo che Gerardo era rimasto per alcuni mesi in Materdomini ad esercitarvi l’officio di portinaio, sul principio di marzo del 1755 fu nuovamente mandato a Napoli, come si è avvertito altrove, e da Napoli venne di nuovo in Materdomini, dove giunse sul principio di giugno. In quel tempo si facevano in quel collegio le nuove costruzioni, e perciò, tostochè vi fu arrivato , il P. Caione gli commise la cura di sopraintendere ai lavori, quale egli accettò con piacere, pensando che vi avrebbe trovato motivi d’esercitarvi la sua obbedienza e la sua umiltà.
184. Infatti, lungi dal mostrarsi mai il soprastante dei lavori, appariva invece il più laborioso degli operai. “Non è che invigilava e comandava, dice il Tannoia, ma tra tutti gli operai era il primo per qualunque travaglio ..... Egli alla cava dell’ arena, egli alle calcaie, egli ben di notte in Caposele per unir gente al trasporto delle fascine, egli da per tutto, senza darsi verun riposo”. Riusciva dunque di grande vantaggio per quella bisogna della casa la sua attività . Ma assai più grande era l’utile, che veniva dalla sua filiale confidenza in Dio; perchè questa fu , che chiamò su quel collegio soccorsi straordinari ed inaspettati.
185. Avendolo un giorno chiamato a sè il P. Rettore, gli confidò di non avere più mezzi per continuare la fabbrica. Padre, rispose, fate una supplica a Gesù sacramentato. Fu accettato il consiglio, e stesa la supplica , fu consegnata a lui per il recapito. Egli, presala in mano, andò difilato in chiesa: appressatosi all’ altare del sacramento, la pose su la mensa, poi, colla sua solita ingenuità, picchiando alla porticina del tabernacolo: Signore, disse, ecco qui una nostra supplica, ora tocca a Voi il rispondere. Ciò detto, tornò alle sue faccende. Intanto veniva il sabato, in cui si dovevano pagare gli operai. Gerardo aveva passata la notte del venerdì a piè del sacro altare, pregando fervorosamente per ottenere un generoso rescritto . Al fare dell’alba, eccolo di nuovo a battere la porticina del tabernacolo. Supplica e risupplica Gesù Cristo, che qual padre dei poveri non voglia dimenticare i suoi figli. Oh quanto è ammirabile ed efficace la fiducia dei Santi! Ancora non ha disceso i gradini dell’ altare, e sente suonare il campanello della porteria. Corre e vi trova due sacchi di monete . Le prende e le porta con sollecitudine alla stanza del P. Caione.
186. Ora vogliamo aggiungere altri fatti non meno miracolosi, che sebbene non siano analoghi al già narrato, pure avvennero intorno a quello stesso tempo, e mostrano come Dio giuocasse di amorevolezza col fedele suo servo, rendendogli obbedienti e rispettose le creature irragionevoli e gli elementi stessi della natura, affine di accreditarne sempre più la santità presso gli uomini. Giova però prima avvertire che Gerardo come gli altri Santi, sapeva profittare della vista di qualsiasi creatura, per volgere la sua mente al creatore. Ogni cosa creata , per menoma che fosse, gli serviva di scala per arrivare fino a Dio. Bastava che mirasse una pianticella, una bestiola, un oggetto qualunque, perchè si sentisse portato col pensiero a Colui, che tutte le cose trasse dal nulla. Accadde adunque, che, essendo andato un giorno a Caposele per sollecitare le donne al trasporto delle fascine e trovandosi (come riferisce il P. Tannoia.) sulla loggia dei signori Ilaria, vide nella strada da lontano un gallinaccio. Contemplando in quell’animaluccio la potenza di Dio, vieni qua, esclamò, vieni qua creatura di Dio. Incontanente il gallinaccio, come avesse avuto intendimento umano, svolazzando corre da lui e si mette ai suoi piedi. Egli carezzandolo ed entrando nella contemplazione delle grandezze di Dio, per circa mezz’ora si vide rapito fuori di sè!
187 . Fu mandato un giorno a Caposele per alcuni bisogni della fabbrica, ed appena erasi messo in via, cominciò a cadere la pioggia rovescioni, accompagnata da frequenti lampi e tuoni. Il P. Caione, il quale ne conosceva l’ubbidienza e sapeva, che nessun temporale l’avrebbe impedito di fare la commissione affidatagli, spedì subito uno per richiamarlo a casa . Questi lo raggiunse a mezza strada camminante con passo tranquillo e calmo. Ma quale non fu il suo stupore nel vederlo, sotto quell’acqua cadente, asciutto?
188. Un altro giorno, mentre che tenevasi con due o tre forestieri (dei quali uno era il già suo maestro di Muro, Vito Mennona), presso ad un finestrone della nostra casa di Materdomini, vide passare non molto lontano di là un giovanotto che cavalcava. Questi era in prossimo pericolo di vita; perchè avendogli presa la mano, il cavallo si diede a correre sfrenatamente ed era al punto di precipitarlo nei burroni fiancheggianti la strada. A tal vista tutti sbigottiti gridarono: è perduto. Ma Gerardo, stendendo la mano verso di lui esclamò: Vergine Santa, aiutatelo; e rivolto agli astanti, caderà, disse, ma non si farà male. Così fu; imperocchè, dicendo esso quelle parole, il cavallo restò fermo all’orlo del precipizio; e se il giovanotto cadde per la subita fermata, niuna offesa riportò nella caduta.
189 . Poco di poi il zelantissimo Fratello cavò fuori di ben’altro abisso uno sciagurato. Ai 19 di giugno era venuto a passare alcuni giorni coi nostri Monsignor Giuseppe Nicolai, arcivescovo di Conza, gran benefattore di quella casa. Fra le persone del suo ,seguito era un tale vento da Roma, d’indole assai giuliva e molto atto al maneggio degli affari, che l’arcivescovo aveva scelto a suo segretario. Ora, mentre la comunità era tutta nel fare ossequio all’ illustre visitatore, Gerardo sempre intento alla gloria di Dio o alla salute delle anime, portò gli occhi su di colui e penetrò nelle tenebre della sua coscienza, che era in uno stato deplorevolissimo. Subito risolse di strappare quell’anima rea dalle fauci dell’ inferno. L’impresa non era di facile riuscimento; ma ei seppe tanto ben disporre l’assalto, da riportarne compiuta vittoria. Primamente, per guadagnarsene la confidenza, studiò il modo di spesso incontrarlo e parlargli con amabilità; rideva pure alle facezie, e rispondeva con grazia ai motti arguti di lui. Indi, colto il tempo opportuno, l’ abbracciò affettuosamente. A questo tratto d’amicizia parve che subito fosse sorto nel cuore del misero un moto di conversione . Imperocchè da. quell’amplesso non ebbe più riposo. Incominciò da quel punto a cercare la compagnia del santo Fratello, e non sapeva più separarsene. Gerardo allora lo mena in disparte e, gittandosi ai suoi piedi colle lacrime agli occhi gli dice: Amico, non posso capire, come potete stare così allegro, ritrovandovi in disgrazia con Dio. Voi ,non mi potete negare che siete ammogliato, ed avete moglie in Roma. Perchè fingervi libero? Poi continuò a dire su questo tono, precisando ogni menoma circostanza, e fino il numero degli anni passati in questo infelice stato senza un pensiero di Dio e della sua eterna salute. A tale scoprimento della sua coscienza, quel peccatore confuso e pentito si pose a piangere dirottissimamente, si buttò ai piedi di Gerardo, confessò i commessi delitti e lo scongiurò ad essergli largo di consigli e dell’ aiuto di sue preghiere. Era il momento di rilevarne l’animo, ed il nostro Santo si diede allora a magnificare la misericordia di Dio, la Cui bontà non rigetta mai l’anima quantunque rea, se veramente è pentita. Indi, perchè ben presto quei potesse ordinare gli affari della sua coscienza, lo consigliò a portarsi subito appiè del P. Fiocchi, che la presenza del1’ Arcivescovo aveva chiamato a Materdomini. Infatti, senza indugio il convertito si porta da quel Padre e gli narra filo a filo quanto con Gerardo eragli accaduto. Bisogna convenire disse, che Iddio o il demonio gli abbia rivelato il mio interno: ma non può essere il demonio, perchè io sono pentito di cuore. Ed invero, fece incontanente la sua confessione con cuore veramente compunto. Riconciliato con Dio, il giorno seguente volle ricevere la santa Comunione . E già andava in chiesa quando un nuovo prodigio venne ad arrestarlo per via. Gerardo incontrandolo sul limitare del luogo santo, gli domandò dove andasse, ed avendo quegli risposto: Vado a comunicarmi, egli soggiunse: Ed il tale peccato da voi dimenticato? Andate a confessarlo, indi andrete quieto nell’ animo a ricevere G. Cristo. Ubbidiente il convertito tornò indietro; e poichè ebbe meglio purificata la coscienza, mercè una seconda assoluzione, si appressò alla sacra mensa per cibarsi di quel Dio, tanto largo in misericordia con lui.
190. Il cangiamento fu radicale, cosicchè ognuno potè vedere che il faceto segretario era ben altro da quel di pria. Dalle lepidezze passò al grave ed al serio. Il suo portamento raccolto ed il volto atteggiato a mestizia portavano l’impronta di una verace compunzione, e, ciò che è più, le lagrime, che di quando in quando gli sgorgavano dagli occhi, rivelavano che l’interno dolore era da lui vivamente sentito. Questo fenomeno causò sorpresa in tutto il seguito dell’ Arcivescovo, il quale, tosto informato della cosa, fe’ venire a sè il segretario, e gli richiese la cagione di tal novità. Quegli dando in dirotto pianto, non seppe meglio rispondere, che con le parole della Samaritana: “Venite e vedete l’uomo che mi ha rivelato tutti i miei traviamenti”. Nella sincerità del suo pentimento non trovò neppure grave manifestare a Monsignore lo stato infelice in cui fin’allora era vissuto, e il modo onde n’era uscito. L’ Arcivescovo volle immantinente vedere il Servo di Dio, e scorgendo, nell’udirlo, quei tesori di celeste sapienza di cui era ricolmo, godeva trattenersi con lui in santi discorsi, non senza sentirsene tocco e lagrimare per tenerezza. Ma la sua meraviglia non ebbe limite, quando udì il racconto delle cose prodigiose che Iddio si compiaceva operare per mezzo del santo fratello, o dei doni soprannaturali di cui l’aveva arricchito. Ed invero i doni straordinari, di cui lo Spirito Santo l’aveva ricolmo, in quel tempo lampeggiavano d’ una luce più viva. Imperocchè alla sua parola, non solo svanivano le malattie, ma la morte stessa arrestava il passo. Fu sorpreso da crudi dolori di sciatica un forestiero, che si trovava di passaggio nella casa di Materdomini. Lo segnò di croce e i dolori cessarono. - Si presentò a lui Alessandro Fafilli di Muro, che recava seco il suo figlio, di dieci anni, affetto di scrofole. Applicò col dito un po’ di saliva al collo del fanciullo e poi gli disse: Andate alla Madonna di Monte Vergine che vi farà la grazia, come avvenne. - Accorse al letto d’un certo Gennaro Liguori, già moribondo per subitaneo malore ed in procinto di perdersi eternamente per essere stato da molti anni lontano dai Sacramenti. Accostò quale altro Eliseo alla faccia di lui la sua, e lo richiamò all’uso dei sensi, onde quei potè ricevere i conforti della religione e chiudere da buon cristiano i suoi giorni. Un miracolo ancora più stupendo è raccontato dal P. Landi in questi termini: “Un sacerdote da Muro, a nome D. Donato Spicci, il quale aveva una stima altissima di Gerardo, era venuto a fare gli esercizi spirituali in questa casa di Materdomini . Terminati gli esercizi, nell’atto di ritornare a Muro, fu a ritrovare Gerardo per prenderne commiato e per chiedergli qualche divozione, che si era incaricato di portare alla Signora Rosa Matilde, cognata del sig. Arciprete Marolda. Essendo questa da molti anni stata privata, dietro una certa infermità, della vista d’ambedue gli occhi, in maniera che non si poteva esercitare a niente, ancorchè avesse adoperati tutti gl’immaginabili medicamenti, aveva pregato il detto sacerdote Spicci, quando seppe la di lui andata a Materdomini, le volesse portare qualche devozione di fratel Gerardo, affinchè il Signore, per mezzo di quel suo servo, si fosse compiaciuto restituirle la vista . Gerardo a bella prima si scusò di acconsentire alla domanda, dicendo che il Signore voleva così purificare la paziente e che questa non avesse pensato a guarire, ma solamente ad uniformarsi al divino volere. Il sacerdote non s’arrese a questa risposta: ma seguitò a scongiurarlo, e Gerardo a rispondere che il Signore non voleva così presto sanarla e che avesse atteso a consolarsi colle pene di Gesù Cristo. All’ ultimo, vedendo il sacerdote l’ostinazione di fratol Gerardo, replicò : io già devo partire, ma non partirò se non mi dai prima qualche speciale devozione per portarla a detta signora. Allora Gerardo, vedendosi così stretto, scelse una delle devozioni che aveva e gliela diede. Arrivato a Muro, D. Donato ebbe subito la visita della serva, mandata dalla paziente per sapere se aveva portato qualche devozione. La mattina seguente si portò esso stesso a consegnare la devozione consegnatagli da Gerardo, la quale fu ricevuta con incredibile fede ed ardore dalla inferma. Stava la medesima e cogli occhi quasi secchi e coverti di un pezzo e di sangue, e da gran tempo ne aveva perduto l’uso. Ma appena cominciò ad applicarvi quella devozione, passò meglio, ed a capo di otto soli giorni gli occhi si rischiararono in maniera che poté fare non solo gli affari ordinari, ma anche applicarsi a cucire, con grande stordimento di tutto il paese. Anzi, dice detto sacerdote, che mentre andarono varie persone a visitare detta signora per rallegrarsi della vista ricuperata, esclamavano tutte: Viva Dio, Viva Dio per la grandezza della grazia”. Oltre il dono dei miracoli spiccava anche in lui, nel tempo in cui siamo col racconto, la scienza infusa. “I sapienti del secolo, scrisse poi in una relazione il canonico D. Camillo Bozio, rendevansi mutoli e confusi a fronte di questo Servo di Dio. Anche i primi teologi si confondevano trattando con esso. I misteri più oscuri rendevansi chiari in bocca sua: nè v’era teologo o letterato che potesse stargli a fronte”. Un certo D. Giuseppe di Lucia, che allora era uno dei nostri studenti, per farne la prova, volle introdurre con lui alcuni discorsi teologici e ne restò stupito a segno che disse non avrebbe potuto udirne più belli da un santo Padre. - Ma, ciò che era più mirabile talvolta comunicava anche agli altri la scienza che gli era stata infusa dal cielo. “Attesta un sacerdote di fede degnissimo (così il Tannoia) come, non potendo capire alcune cose metaforiche nel libro di Mons. Palafox, intitolato il Pastore della notte buona, Gerardo gli fece sulla fronte un segno di croce, dicendogli: Legga ora in nome della SS.maTrinità. Lesse e nell’istante si vide così illuminato intorno a quelle cose, che restò attonito e stupefatto”. Non sono cose queste per voi, disse un giorno al sacerdote D. Donato Spicci, che leggeva “dello stato di solitudine interna nel Calvario” sulla vita della Ven. Suor Maria Crocifissa. E quegli : Perchè non sono cose per me? E’ forse questo un libro francese o ebraico?- Orsù, riprese, leggete e ditemi ciò che nell’estasi comprese la Santa. Quei lesse e non capì. Allora, vedendolo confuso, segnò di croce nella fronte e, interrogatolo di nuovo, trovò che aveva ben capito.
191. Alla scienza infusa aveva Dio unito nel nostro Santo la scrutazione dei cuori, che meglio che l’addietro si manifestò in questo tempo. Un giorno il giovanetto Nicola Benincasa, sofferente di mal di petto, trovandosi a conversare con lui, ebbe questo pensiere: “Questo fratel Gerardo fa tanti miracoli cogli altri, e per me non prega Dio che mi faccia passare questo dolore di petto”. Mo’ che hai detto? ei subito esclamò: Io non prego Dio per te? Non è vero: Dio non ti vuole sano; perchè tu, figlio mio, non sei per questo mondo. Poco tempo dopo il giovinetto morì. -Che siete venuta a fare? domandò un giorno ad una donzella che vide uscire dalla chiesa. A confessarmi, quella rispose. Lo so, ma non vi siete confessata bene, perchè avete taciuto questi peccati per rossore, e disse quali erano . La giovinetta confusa e compunta tornò indietro a riparare la confessione _ malfatta. - Incontrò nel giardino un certo Francesco Mugnone che faceva gli spirituali esercizi: Francesco, gli disse, avete fatta una buona confessione? - Credo di sì, quegli rispose. - No, non è stata benfatta allora riprese, perchè vedete chi vi sta alle spalle? Voltosi indietro, quei vide un demonio, onde preso dallo spavento corse a gittarsi ai piedi del confessore e la sua confessione riuscì buona.- Voi, disse ad una che si fingeva ossessa, voi fate questa finzione per tal motivo, e disse quale: non lo fate più, altrimenti vi manifesto con vostra vergogna. Incontanente cessò la finta ossessione.
192. Vedeva, oltrechè nell’interno, anche a distanza. Incontrandosi un giorno colla signora Candida Fungaroli, la richiese d’una pezza di bianca stoffa per farne una copertina alla sacra pisside. La signora, che voleva ad ogni costo contentarlo non avendo trovato in casa altro, che fosse acconcio all’ uopo, pensò di tagliare l’abito suo da sposa. Gerardo, che l’incontrò di nuovo il giorno appresso, le disse: Che! vorresti guastare un abito di tanto costo? Cerca invece che troverai le pezze. Trovate le pezze, com’egli aveva detto, ed avutele in mano, andò subito a mostrarle al P . Caione, il quale gli comandò di farne due copertine. Tagliata la prima, non vi trovò da cavarne fuori la seconda, e percò ricorse di nuovo al P. Caione. Fate come vi dissi, questi rispose: in quanto al modo di riuscirvi, sia vostro pensiero. Allora , sebbene D. Donato Spicci, là presente, gli dicesse essere la cosa affatto impossibila, pure rispondeva : Io devo fare l’ubbidienza, e la devo far presto. Essendo opera di Gesù Cristo, esso ci ha da pensare. Poi, prostato in ginocchio cogli occhi rivolti al cielo, pregò per alcuni istanti e, levatosi, prese le forbici ed applicato su la stoffa il modello, incominciò a tagliare. “Ricavò dal drappo, scrive il P . Landi, quattro parti uguali, e ciascuna di esse aveva nel bel mezzo il suo fiore a ricamo intero e distinto, proprio come fossero state staccate da una gran pezza”.
193. Però il dono specialissimo, che non era mai apparso in lui negli anni precedenti della sua vita, fu quello della sua presenza simultanea in più luoghi. Nella famiglia De Gregorio di Lacedonia un servitore, caduto gravemente malato, andava esclamando: Fratel Gerardo mio, dove sei? Perchè non vieni ad aiutarmi? Ecco, vede aprirsi la porta e scorge il Servo di Dio che gli dice: Tu mi chiami ed io vengo. Abbi fede in Dio e sarai guarito. Dopo ciò non vide più altro, ma era già sano. Disse un giorno ad un certo Teodoro Cleffi: La prima volta che tornerai, fammi sapere quali siano in Caposele gl’infermi più bisognosi di soccorso. Subito quegli s’accomiatò da lui e partì. Arrivato a Caposele per la via più retta, entrò da un infermo miserabilissimo per interrogarlo di che avesse più bisogno. Di nulla, quei rispose, perchè ora è venuto fratel Gerardo e mi ha lasciato il necessario. Dunque, conchiuse Teodoro, fratel Gerardo nel medesimo tempo sta in due luoghi, e, calcolate tutte le circostanze, non poté affatto dubitarne. - Lorenzo di Maio, uomo degno di fede, attestò d’averlo un giorno veduto in Muro, mentre gli altri giuravano che in quel giorno non s’era mosso dal collegio di Materdomini. - Il P. Margotta assicurava al Medico Santorelli che l’ avevano veduto in estasi, innanzi al Venerabile esposto, sul coretto dei Francescani in una notte che non era affatto uscito dalla sua stanza. Questa simultanea presenza in due luoghi alcune volte si operava in una maniera intellettuale . Il medico Santorelli raccontava che, andando un giorno in giro per la visita degli ammalati, si vedeva, dovunque fosse, sempre ai fianchi il Servo di Dio con una chiarezza e sicurezza tale da superare quella che sarebbe venuta dalla vista degli occhi del corpo. - Lo stesso avvenne alla sorella del detto medico, la quale attestò, come riferiscono i Padri Landi e Tannoia, d’aver ricevuta una visita di questa specie da fratel Gerardo una volta che doveva partire da Materdomini, e nell’attestazione conchiuse: “Nè fu questa una mia immaginazione, non un parto della mia fantasia; imperocchè potrei anche affermare con giuramento aver veduto e riconosciuto chiaramente fratel Gerardo”.
194. Per compire il racconto delle meraviglie, ricordi qui il lettore il fatto di S. Isidoro Agricola. Mentre questo Santo pregava in chiesa, gli angeli invece di lui guidavano i buoi aggiogati all’aratro. Ora narrano i processi, ordinario ed apostoilico, che un fatto simile avvenne a Gerardo. Essendo egli addetto alla cucina, un giorno dopo la comunione si ritirò ai piedi d’un Crocifisso, dove, rapito in estasi, dimenticò d’apparecchiare il pranzo. Venuta l’ora della mensa, la cucina era ancora chiusa. Lo cercarono e, vedutolo uscire dall’oratorio col volto infiammato, un fratello gli disse: Gerardo che avete fatto! Sta per suonare l’ora della tavola e la cucina è ancora chiusa? - Uomo di poca, fede, ei rispose, e gli angeli che debbono fare? Intanto, dato il segnale del desinare, la comunità si recò a mensa ed egli apprestò quel giorno vivande, di cui per l’avanti nè fratelli nè Padri avevano provato l’uguali.
195. Udito il racconto di queste cose, l’ Arcivescovo di Conza non cessava dal fare le sue meraviglie, e prima di ritornare alla sua residenza volle testimoniare a Gerardo la grande stima che aveva concepita di lui, pregandolo colle più vive istanze a tenerlo presente nelle sue orazioni. Monsignore, diceva l’umile fratello, io ho bisogno di tutta la misericordia di Dio per salvarmi e supplico Vostra Eccellenza a non perdermi di vista sopra l’altare. 196. Ritornato l’Arcivescovo a. S . Andrea di Conza, tutti stupivano ad udire le meraviglie del Santo, che egli raccontava. Però niuna cosa fece tanta impressione quanto il cambiamento avvenuto nel suo segretario. Questi mostrava tutt’altro contegno da quello di prima. Cosa è? gli disse il Sig . D. Giacomo Bozio, rettore del Seminario, io, non vi vedo più colla solita vostra allegria, nè so capirne il perchè. - E che vuol essere? rispose il segretario. Voi non sapete ciò che mi è successo in Materdomini? Caro amico, io sono ammogliato ed il fratello Gerardo, senza conoscermi, mi ha posto avanti gli occhi checchè passava tra me e Dio. Tanto fu il fervore della sua conversione, ch’ei non si peritò di manifestare a chiunque ciò che eragli accaduto con Gerardo . Lieto di queste buone disposizioni, l’Arcivescovo lo rimandò a Roma per un prelato suo stretto parente, Mons. Casone. Il novello convertito non indugiò a raccontare a questo la storia della sua conversione, e quel racconto guadagnò nel Monsignore un novello ammiratore alla santità di fratel Gerardo. Anzi la cosa andò più oltre; perchè, avendo Mons. Casone riferito quel racconto ad un Cardinale, questi si accese di un vivo desiderio di conoscere in persona il Servo di Dio, ed a tal fine fe’ scrivere allo stesso Arcivescovo, perchè lo inviasse a Roma. Ma quando quella lettera pervenne al suo indirizzo, Gerardo era passato di questa vita.