Passi da gigante
CAPITOLO XIV
Dopo aver marciato, quasi senza soste, lungo le strade scabrose, per un giorno, il solitario viandante giunse stanco ma contento a Deliceto, il 17 maggio. Quando si rivolse a un passante per informarsi dove fosse il collegio dei Redentoristi, ebbe la gioiosa sorpresa di apprendere che esso era dedicato alla Vergine consolatrice. Volò quindi a prostrarsi dinanzi al suo altare per assicurarsi la sua materna protezione e poter vivere e morire sotto il manto di Lei.
Secondo il Tannoia, " piangeva di consolazione e non finiva di ringraziare Gesù e la Madonna per essere finalmente uscito dal mondo e poter abitare una Casa religiosa,dove si amava il Signore e Lo si faceva amare".
Sentiva che l'amore a Dio e l'ubbidienza ai superiori suoi rappresentanti erano le due possenti ali ricevute in dono dalla Vergine per salire fino a Lui.
Il collegio sorgeva all'estremità di un querceto, a mezzogiorno del paese e, perché fasciato di silenzio, era come un romitaggio per contemplativi. Quando vi entrò il Majella, egli, nel vederne i lunghi corridoi fiancheggiati di celle, lo suppose come " il vestibolo del paradiso'". Anche il P. Cafaro, Rettore succeduto a S. Alfonso, scriveva che " là dentro gli sembrava di godere ]a solitudine degli anacoreti d'Egitto ".
Questo fu l'asilo scelto dalla Provvidenza per il nuovo postulante, che lo avrebbe santificato con le sue elette virtù, con l'assidua preghiera, con le estasi e con numerosi prodigi.
" Ammesso in comunità, -scriveva il P. Caione -perché umile, paziente, mortificato e dedito all'orazione, Gerardo divenne presto l'esempio e attirò l'ammirazione di tutti. Fin dal suo ingresso, si fece amare per il suo grandissimo fervore di spirito e per la straordinaria carità'".
Per saggiarne la resistenza alla fatica, egli fu destinato alla manutenzione del giardino, dove lavorò indefessamente, anche perché gli piaceva coltivare i fiori riservati agli altari del Santissimo e della Madonna. Ma non contento di tale mansione, aiutava gli altri in diverse faccende, preferendo a tutte, le più umili.
Quando perciò venne a quella Casa il Venerabile P. Cafaro, gli si disse che " Gerardo non solo era santo, ma anche un infaticabile lavoratore".
" Lavorava per cento", scriveva il Padre Caione. Informato di ciò S. Alfonso, costui ordirnò che si desse la veste dell'Istituto al postulante.
Così rivestito, il Majella cominciò gli Esercizi spirituali con il massimo impegno e fervore. Tra gli altri buoni propositi da lui scritti durante il pio ritiro, sono significativi i seguenti:
" Sappi, o Gerardo, che Iddio ti ha strappato dal mondo e ti ha posto qual novello Adamo su questo paradiso della Congregazione, al solo scopo di operare e di praticar i precetti e consigli del S. Vangelo condensato nelle Regole. Avrò quindi cura di osservare minutamente ogni regola, di perseverare e crescere nel bene, d'impegnarmi con il silenzio e la pazienza ad acquistare principalmente l'unione con Dio'".
Per procedere diritto per la via così tracciata, scelse come suo direttore spirituale lo stesso P. Cafaro, perché dotto e prudente,di tempra austera, mortificato e rigoroso osservante della Regola. Gerardo lo considerava come il suo più grande benefattore e nel vivere alla luce dei suoi esempi, cominciò a emularlo come perfetto modello di vita religiosa. Il ven. Cafaro divenne perciò il moderatore del Majella e "quasi la voce di Dio parlante che lo spingeva alla perfezione". Secondo lui, " senza orazione e umiltà un'anima non può mantenersi nello stato di grazia e di favore. Umiltà profonda e preghiera incessante: chi prega ottiene. Bisogna pregar sempre come pezzenti alla porta della divina Misericordia".
Ecco quindi l'uomo, di cui la Provvidenza si servì per la santità di Gerardo, ch'egli tenne sotto la verga di ferro, non perché convinto che il postulante fosse un inutile sognatore, ma perché persuaso di trattar con un'anima grande la quale faceva passi da gigante verso le vette supreme della santità.
Ammesso al noviziato, che perdurava sei mesi, il Majella fu affidato a un Maestro incaricato di addestrarlo alla vita religiosa e di esperimentarne il carattere. Il novizio vestiva una specie di talare che scendeva fino alle ginocchia ed era stretta ai fianchi da una fascia.
Guidato dal P. Cafaro, Gerardo si esercitò nella mortificazione e nell'umiltà. Trattato spesso duramente dal Venerabile, il novizio supponeva di meritar quel trattamento perché " incorreggibile peccatore". Scrisse quindi al suo direttore " di aver capito che gli spiaceva la sua presenza e gli rincresceva di doversi privare delle sante benedizioni di lui mentre ne aveva tanto bisogno per l'anima propria. " Padre mio! -concludeva. -Voi siete così caritatevole, ricco di bontà, benigno e amabile con tutti, ma' soltanto di me vi siete annoiato forse per i miei
peccati".
Per tale persuasione, il novizio si sforzò di disciplinare le sue esuberanti energie spirituali secondo le norme prescritte dalla Regola. Instancabile nel lavoro, assiduo alla preghiera, ubbidiente ai superiori, dedito ai digiuni e alla mortificazione, egli viveva sempre unito a Dio con ammirazione della Comunità. Sembrava la Regola vivente.