Sorrisi ma terni
CAPITOLO XXXVII
Il sei di settembre, le condizioni del Majella si aggravarono per l'alta febbre e la dissenteria. perché la sua debolezza fisica era allarmante, per timore che non superasse la notte, si voleva amministrargli il Sacramento degli infermi. Ma d'improvviso la situazione cambiò, perché il P. Fiocchi, direttore spirituale di Gerardo, gli mandò, per lettera, l'ubbidienza di non più sputar sangue e di guarire.
Nel leggere questa lettera, il Majella fece rimuovere la sputacchiera e da quell'istante l'emottisi cessò, ma perché continuava la dissenteria, il medico pregò il P. Garzilli di avvicinare il paziente, affinché l'ubbidienza si estendesse anche a questo malanno.
-Ebbene, Gerardo, -gli disse il P. Garzilli in tono burlesco. -Così, dunque, tu fai
l'ubbidienza? Il P. Fiocchi vuole che non solo tu non sputi più sangue ma che, sfebbrato e libero da ogni malanno, ti alzi da letto.
-Ebbene, Padre mio! -dichiarò il Santo. -Dacchè egli vuol così, io voglio ubbidire in tutto.
Da quel momento scomparve ogni sintomo di malattia; perciò al medico venuto a visitarlo al pomeriggio, Gerardo disse che, al mattino seguente, doveva alzarsi ed era quindi pronto anche a mangiare.
Proprio allora, la famiglia Salvadore aveva mandato per Gerardo un paniere di bellissime pesche e il dottore, nel vederle su di un tavolo, disse al Majella:
-Se mi promettete di far l'ubbidienza del P. Fiocchi, ve ne lascierò mangiare una. -Ebbene ... -confermò Gerardo. -Si faccia l'ubbidienza e si dia gloria a Dio.
Poi mangiò tre pesche con sorpresa del medico, che lo sapeva in condizioni di non poter inghiottir più nulla. Ma la sua sorpresa fu ancor maggiore al mattino successivo, quando, entrato in camera, non vi trovò più "il morente'". Chiesto dove fosse andato, gli si rispose ch'egli passeggiava per il giardino.
-Ma questo è un miracolo dell'ubbidienza! -esclamò il dottore ammirato. Poi, disceso in giardino si compiacque con il "redivivo", il quale però gli disse:
-Veramente io sarei morto oggi, se Iddio non avesse voluto manifestar quanto gli sia cara l'ubbidienza.
Così il Majella si espresse anche con i confratelli, che si congratulavano della sua guarigione.
-Il buon Dio -disse -ha così disposto in me per glorificar Se medesimo e dimostrare in me stesso quanto possa l'ubbidienza. Ma tra pochi giorni sarò all'eternità.
Intanto però sembrava incredibile alla Comunità vedere il "redivivo"partecipare alla mensa comune e a tutti gli esercizi di pietà come se fosse perfettamente guarito.
Il 14 di settembre, mentre conversava in ricreazione, egli disse a un confratello che"la M. Crostarosa a Foggia era già salita al premio eterno ".
-Come lo sai?! -gli domandò l'altro. Il Majella sorrise, ma quando, poco dopo, giunse la partecipazione funebre al Padre Rettore, si verificò che l'ora dell'avvenuto decesso era proprio quella in cui Gerardo ne aveva dato il preavviso.
Alcuni giorni dopo, il Santo fu visitato da Erberto Caifi, venuto anche per portargli i saluti di D. Salvadore. Prima che il visitatore parlasse. Gerardo gli disse:
-D. Arcangelo è assai addolorato per la morte del suo caro papà.
-Possibile?! -obbietò l'altro con sorpresa. -Prima di partir da Oliveto, ho visto quell'uomo sano come un pesce ...
-Eppure egli è già morto di apoplessia. Ritorna quindi dall'Arciprete per dirgli che si rallegri, perché il suo buon papà è volato direttamente al Cielo.
Ritornato a Oliveto, il Caifi constatò la verità di quanto gli aveva confidato il Majella e quando l'Arciprete fu informato della felicità eterna già conseguita dal compianto defunto, ne ringraziò il Signore con tutta la famiglia.
Il 4 di ottobre, Gerardo incontrò il medico curante e gli disse :
-Dottore, ora ho fatto l'ubbidienza, ma è ormai tempo che me ne vada e quindi non v'ha più alcun rimedio sanitario per me.
Il dott. Santorelli supponeva ch'egli celiasse,perché le sue condizioni fisiche sembravano soddisfacenti; invece il mattino seguente il Majella dovette rimanere a letto per mai più rialzarsi. Visitato dal sanitario, costui riscontrò effettivamente un grave rincrudimento della malattia ormai ribelle a qualunque rimedio.
Intanto il paziente si preparava alla morte con una esemplare rassegnazione alle divine disposizioni. Aveva sempre desiderato di partecipare agli strazi del Salvatore crocifisso e quindi, giunto all'epilogo del suo esilio terreno, domandò a Dio la grazia di provare le pene interne ed esteriori sopportate dal divin Redentore sulla croce. Tale domanda fu esaudita e quindi gli ultimi giorni della prova terrena furono così amareggiati da costituire una straziante agonia. Prima però d'iniziar la penosa ascesa al suo "calvario ", il paziente fu visitato dall'abate D. Prospero dell'Aquila e dal dott. Salvadore. Ma quando i due graditi visitatori si presentarono a lui, Gerardo, dopo i convenevoli, disse loro d'introdurre anche il contadino, che li aveva accompagnati fin là e stava fuori della porta.
Sorpreso all'udire che il Santo ne aveva notato la presenza senza esserne informato, e che lo desiderava vedere, il bifolco entrò timidamente e allora l'infermo gli indicò un clavicembalo pregandolo di suonare.
Perché il poveretto era ignaro di musica, voleva esimersene, ma Gerardo lo rassicurò che sarebbe bastato scorrere con le dita sulla tastiera dello strumento per trame una soave armonia.
In realtà, appena poste le rozze mani sui tasti del clavicembalo, da essi si sprigionò una così suggestiva armonia, da far trasecolare i visitatori perché, come disse poi l'improvvisato suonatore, sentiva una forza misteriosa muovergli le dita. Probabilmente era un angelo che gliele moveva, per dare un saggio dei celesti concerti al santo Morente, la cui anima era ormai in procinto di spiccare il volo verso il Cielo per esservi trionfalmente accolta e incoronata. Ma dopo questo breve preludio alle eterne dolcezze, il Cielo riservava all'invitto Campione di fortezza cristiana le strazianti pene del Golgota. Benchè il Santo fosse volontariamente disposto a bere fino alla feccia l'amaro calice
della sofferenza, pure, di tratto in tratto, la sua resistenza minacciava di venir meno per la estrema debolezza fisica.
-Signor! -sospirò quindi Gerardo rivolto al Crocifisso. -Aiutatemi in questo purgatorio, in cui mi avete posto ...
Queste angosciose parole erano come l'eco di quelle proferite dal divino Agonizzante all'Orto degli ulivi': "Padre mio, se è possibile, allontanate da me questo calice ... "
Poi al medico, che lo interrogò riguardo alle sue sofferenze, il Santo disse':
-Dottore! Ho chiesto a Gesù la grazia di patir per amor suo ed Egli mi ha esaudito facendomi provare il purgatorio su questa terra. Mi consolo però al pensiero di dar, così gusto al Redentore. Al visitatore D. Gifone, che gli domandava quali fossero le sue sofferenze; confidò di "star sempre dentro le piaghe di Gesù'"e soggiunse che "esse stavano in lui così da fargli patire continuamente le pene della Passione'". Le misteriose sofferenze, che da parecchi anni lo facevano agonizzare, a ogni venerdì, continuarono per tutto il corso della sua malattia. Eppure egli, con lo sguardo fisso sul Crocifisso, diceva sommessamente: -Patisco assai, ma tutto è poco, o mio Gesù, per Voi, che moriste per me.
Quando tuttavia intervennero l'infermiere e il medico per confortarlo, soggiunse: -Oh, non patisco affatto ... Soffro piuttosto perché non patisco per Gesù.
Impressionato nel notare l'aspetto dolente dei confratelli e le cure che gli si prodigavano, soggiunse:
-lo sono un soggetto inutile e quindi non merito tanto...
Anche al medico curante raccomandava di non prescrivergli più medicine, perché non aveva procurato, fino allora, alcuna utilità alla Congregazione e non meritava perciò alcuna attenzione.
Intanto la dissenteria e la febbre minavano il fisico già logoro del Santo, che pensava al sepolcro come a una liberazione.
Nessun fetore però tra quelle pareti, dove soffriva un autentico Santo. Dal suo corpo in dissoluzione emanava invece una soave fragranza e il P. Caione affermava che quella cameretta "odorava di Paradiso". A questo proposito, un confratello laico, che visitò il Sofferente, scriveva': "Il suo corpo, i panni è tutta la stanza emanavano uno straordinario profumo. Perché non sapevo distinguer che odore fosse, domandai a Gerardo se portasse addosso profumi contro la Regola. Benchè egli mi rassicurasse in proposito, io ne informai il Rettore, il quale mi disse semplicemente "che Gerardo aveva da Dio grandi grazie'".
Poi constatai che il profumo esalava dal sangue uscito dalla sua bocca e perché al venerdì egli soffriva più degli altri giorni, l'olezzo pure aumentava'".
Evidentemente il Signore premiava così gli atroci dolori del Sofferente, ch'egli sopportava con eroica rassegnazione e pazienza..
A sollevarlo da tali pene, concorsero anche le melodie degli Angeli, come dichiarava il P. Caione che scriveva: "Alla vigilia della sua morte, si udì nella sua stanza un'armonia celeste che imparadisava'".
Per la festa di S. Teresa, il Majella pregò il medico di raccomandarlo alla Santa e di far la Comunione per lui. Poi chiese il Viatico.
La Comunità, che accompagnò il divin Visitatore in religioso corteo alla camera del Morente, nel veder costui "serafico in ardore'", ebbe l'impressione di vedere'"un angelo che si unisse alla divina Essenza'". Egli volle che restasse sul suo petto il corporale, che gli rimase fino all'ultimo suo anelito. Mentre scendevano le tenebre, il Morente, ormai presago della sua fine imminente, disse al visitatore Stefano Sperduti:
-Fratello mio, questa notte devo morire. Vestitemi, quindi, perché voglio recitar l'Ufficio dei morti per l'anima mia.
Con questo esemplare fervore di spirito, il Majella si preparava dunque a comparire dinanzi al divin Giudice, che doveva essere per lui soltanto Salvatore. Benchè il morente non avesse, fino allora, mai commesso una colpa veniale deliberata, pure recitava il "Miserere"con tanta umiltà e devozione, come se fosse stato il più gran peccatore del mondo e tale atteggiamento sincero e spontaneo inteneriva ed edificava il confratello che lo assisteva.
Poco dopo, il Santo disse all'infermiere:
-Osserva, fratello, quanti abitini! Forse erano le anime elette, che il Majella aveva liberate dal Purgatorio mediante lo scapolare del Carmelo, da lui tanto propagato.
Ma la visione, che lo doveva maggiormente estasiare anche in premio della sua ultima vittoria conseguita sul demonio, fu l'apparizione della Vergine circonfusa di luce e con il divin Bambino al cuore. Ecco
... si
sfoglia,
dietro i monti di ametista,
il commiato del sol, che tutto abbaglia
placido in una vampa di conquista.
Per l'aria serena la campana dell'Ave diffonde le sue note argentine, che ricreano l'udito del Morente, il quale pensa alla Vergine da lui tanto venerata.
-E' l'ave Maria ... -dice Gerardo al visitatore Filippo Galella. -Ancora altre sette ore e poi la fine!
Invece il medico curante, che veniva a visitarlo proprio allora, non giudicò il trapasso tanto imminente. Quantunque il moribondo lo pregasse di restar presso il suo capezzale per assistere alla sua dipartita, il dottore si allontanò da lui per visitare altri malati. Si attuava così il voto del Santo di morir quasi abbandonato come Gesù sulla croce. Ciò perché anche la Comunità, persuasa che l'ora del volo fosse ancor lontana, andò a riposare lasciando ad assistere il morente l'infermiere d' A uria.
Poco dopo, il moribondo subì l'ultimo assalto del Maligno, che fu ricacciato vittoriosamente anche mediante il pietoso infermiere, che asperse la stanza di acqua benedetta. Allora il Santo ricompose il viso alla consueta serenità e poi, con voce gioiosa, esclamò :
-Ecco la Madonna! Rendiamole ossequio!
Era veramente la Madre celeste che veniva con un vago corteggio di angeli osannanti a confortare il suo grande devoto, per assicurarlo della immarcescibile corona da lui meritata con una vita intessuta di opere elette.
Quale conforto più soave e gradito a Gerardo che tanto ama
la Regina gloriosa e tutta santa
la cui virtude in poter cotanta sale
che l'infermo paventa e il Cielo canta
con la terra a Lei un cantico immortale?
Questa visione perciò estasia il Majella: essa è il preludio della visione eterna che renderà felice per sempre l'anima sua.
Anche in queste ultime ore, dalle sue labbra esangui affiorano i nomi soavi di Gesù e della Vergine:
-Dio mio! -egli sospira. -Voglio morire per darvi gusto, per far la vostra santissima Volontà.
Poco prima di entrare in agonia, il morente domandò, come Gesù sulla croce, un sorso d'acqua, di cui però non potè refrigerarsi, perché il refettorio era chiuso a chiave. Quando l'infermiere ritornò con il P. Buonanno, Gerardo era già agonizzante, e il Padre potè appena impartirgli l'assoluzione.
Poi l'anima eletta del giovane Santo varcò, ricca d'innumeri meriti, le barriere del tempo per essere incoronata con un prezioso diadema rutilante di gloria.
Perciò, nel cuore di quella notte memoranda, parve che anche il firmamento, trapunto di occhi d'oro, sorridesse di gioia perché un. nuovo "astro"era sbocciato dal cielo della celeste Gerusalemme per brillarvi eternamente.