San Gerardo Maiella
A+ A A-

L'oscura radice

Capitolo II

Il cognome di Gerardo non fu Maiella, come lo pronunziarono i Muresi, ma Machiella, come risuonò per secoli sulla bocca degli antenati, prima sui monti di Picerno e poi, verso la fine del secolo XVI, sui monti di Baragiano. Qui lo incontriamo la prima volta nel libro dei battezzati della parrocchia di Santa Maria Assunta il 14 settembre 1578, quando un certo Antonio Machiella presentò al fonte battesimale la figlia Allegranza e poi, il 21 dicembre 1580, il figlio Ovidio. Tutte e due le volte il libro, accanto al nome di famiglia, annota il luogo d'origine: « della terra di Picerno ».

Il cognome è tutta la storia degli avi, umile progenie di pastori e di artigiani: Machiella, col suo sapore di bosco, ricorda appunto i luoghi delle loro trasmigrazioni attraverso una delle zone meno note e più romantiche d'Italia: case addossate ai burroni, sentieri ripidi e rocciosi, campi e prati a saliscendi coi torrenti che rumoreggiano a valle e il sole che sorge e muore tra le gole selvagge, cariche di fiere leggende.

Da questo ceppo di modesti braccianti nacque il padre del nostro santo, di cui abbiamo cercato invano negli archivi un dato personale qualunque che rendesse meno incerta la sua immagine. Tutte le notizie, racchiuse nelle fedi battesimali dei figli e in un paio di annotazioni fugaci del catasto di Muro, si riducono a un nome: Domenico; un cognome: Machiella; e un riferimento geografico: della terra di Baragiano.

Da Baragiano passò a Muro Lucano verso i primi del 1700, forse per motivi economici. Certo, non ebbe nulla dai suoi che, probabilmente, non erano in grado di dargli altra cosa oltre al mestiere. Così, dovendo fin da giovane provvedere a se stesso e non avendo nulla da perdere andando altrove, un bel giorno, s'infilò al braccio tutto il suo corredo di sartore ambulante e discese, come gli avi, i monti della prima adolescenza, in cerca di fortuna. Gli si aprì davanti una pianura bislunga tutta valli e valloncelli e dune solitarie in fuga verso l'orizzonte; poi gli venne incontro un fiumicello con le acque fangose e ne risalì lentamente il corso, sfiorando una catena spolpata di monti. A un certo punto, il fiumicello - era il Platano - piegava decisamente a nord-est; doppiava una protuberanza scogliosa e nascondeva le sorgenti negli squarci apocalittici del terreno. Ma, prima di addentrarsi in quelle forre paurose, veniva a lambire un mucchietto di case che scendevano in frotta verso il fiume, come pecorelle assetate. Era il Pianello, il quartiere più antico di Muro, quasi isolato dal resto della città.

Questa sorge più su, a mezzacosta, sfruttando ogni masso, ogni picco, ogni rigonfiatura del suolo, fino al nero castello medievale e al tozzo campanile della cattedrale. Ecco Muro: una bianca catasta di case, picchiettate di verde; la Muro tranquilla e sonnacchiosa, anche se posata sugli abissi, i quali anzi le conferiscono qualche cosa di fiabesco, come se la mano ingenua di un bambino avesse allineato così tutti quei balocchi di carta per un puro gioco di fantasia. Dai muri di cinta occhieggia la vite, il fico, il mandorlo e sui cortili assolati l'olivo getta a ogni sussurro di vento una nota di pace. Questa è la Muro di ieri e di oggi; la Muro che i secoli hanno appena sfiorata, lasciandola intatta nel suo anfiteatro di rocce. Si avvicendano le generazioni degli uomini; rimangono identici gli usi, i costumi e la patina del tempo.

Così la vede il turista moderno che sale rombando con la sua fuoriserie, così la vide il nostro oscuro viaggiatore che attraversò il grottone delle Ripe ed entrò in quelle viuzze scoscese.

L'ascesa fu lenta e difficile attraverso umiliazioni e fatiche, a contatto con persone sconosciute, con padroni esosi e sprezzanti, lavorando senza posa e dormendo per terra o sui banconi tarlati. Così raggranellò quei pochi carlini che gli permisero di prendere in affitto, nell'ambito della parrocchia di S. Andrea, uno stanzone tutto fare con l'impiantito di terra battuta. Lo popolò di qualche utensile di cucina, una madia, un cassettone, un vasto letto di legno. Quando questo fu pronto, era il giorno delle nozze.

Quella mattina Domenico si unse i lunghi capelli alla nazzarena, indossò il giubbone bianco, orlato di rosso, i calzoncini corti, le calze di lana, le scarpe con la fibbia d'ottone, si gettò in testa il lungo berretto e si avviò in chiesa con aria spavalda. Tornò verso mezzogiorno con la venticinquenne Benedetta Galella, una contadina di Muro che condivideva con lui il sentimento gagliardo della famiglia, la forza rassegnata al dolore e la fiducia illimitata nella Provvidenza, necessaria per sorridere ai figli che si affacciano alla vita.

Nel 1712, nacque Brigida; nel '16, un maschietto di nome Gerardo, volato al cielo dopo appena otto giorni; nel '17 Anna-Elisabetta; nel '23, ancora una femminuccia di nome Elisabetta. E il Signore benediceva visibilmente la famigliola con la fusione perfetta di cuori e di volontà e forse anche con la fortuna esteriore. Sta a dimostrarlo il fatto che in quel tempo si trasferì a pochi passi dalla chiesa di San Marco, forse a Vico Celso, nel cuore pulsante della vita cittadina. Nel piazzale antistante si svolgeva il mercato; qui il mastro giurato, la prima autorità del paese, teneva le assemblee popolari per deliberare su affari di pubblico interesse. Il popolo si raccoglieva a suon di campana, o veniva chiamato dalla voce del banditore che si recava di porta in porta. Il governo sedeva all'aperto intorno a un desco di pietra, detta « la pietra del pesce »; qui ogni anno, d'estate, si proclamavano gli eletti del popolo, veri assessori comunali, e qui si vendevano all'asta i poveri utensili di cucina, sequestrati ai contribuenti morosi.

Ma Domenico rifuggiva dal chiasso. La tradizione lo vuole taciturno e appartato, tra la chiesa e il negozio. Passava le giornate agucchiando su stoffe nuove e panni vecchi, mentre la buona Benedetta andava e veniva dalla campagna, o tornava dal bosco con una bracciata di legna che gettava accanto al focolare. A sera si raccoglievano assieme in preghiera, e dormivano assieme nell'immenso lettone. Solo Elisabetta dormiva in disparte nella culla, ma la culla pendeva sul letto, raccomandata con corde alla trave. Bastava un soffio e scivolava silenziosa nella notte.

Qualche volta si faceva sull'uscio la barba fluente del padre Bonaventura che rideva compiaciuto di tanta semplicità e, più, della perfetta letizia che avrebbe rallegrato il cuore di San Francesco. Allora Domenico si alzava a baciargli la mano, le piccole gli frullavano attorno e Benedetta cercava invano di trattenerlo più a lungo, - ah sempre di corsa quel suo fratello ! - ma egli già si allontanava con un rumore di tonaca sbattuta.

Stavano così le cose, quando una nuova vita si accese nel seno di Benedetta e una nuova gioia nel cuore del marito in un crescendo continuo di preghiere e di speranza. « Sarà un maschietto ? », si chiedevano ansiosi gli sposi, e ripensavano al loro angioletto volato al cielo dieci anni prima, lasciando nella loro anima tanto rimpianto.

Finalmente la mattina del 6 aprile 1726, alle prime luci dell'alba, con un piccolo, breve lamento, due occhi incantati di bimbo si aprirono alla terra, fissandosi sereni lassù, quasi a rimirare il posto da cui era venuto.

La cattedrale era già aperta; gli operai, intenti ai restauri, salivano e scendevano dalle impalcature traballanti, in un turbinio di calcinacci e di polvere. Ma i muratori avranno sospeso il loro cupo martellare quando l'arciprete don Felice Coccicone versò tre volte l'acqua lustrale sul capo del neonato, scandendo ad alta voce la formula rituale : « Gerardo, io ti battezzo nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo». Era il sabato di passione, la chiesa si velava a lutto e un'aria di tristezza si posava sugli uomini e sulle cose. Penetrava nell'anima stessa di Gerardo coi lenti rintocchi dell'agonia del Redentore e la invitava a staccare la marcia sulla via della Croce. Subito, senza perder tempo, come avesse il presentimento della brevità della sua vita.

Una tradizione molto tardiva lo vuole asceta nella culla : è lì, sereno e beato, ad aspettare che mamma Benedetta se lo stringa al seno, orgogliosa e felice. Allora schiuderà leggermente la bocca, docile ai richiami della natura. Una volta al giorno e non più. Ma al venerdì si ricompone con le mani incrociate sul petto, incurante del cibo, indifferente alla vita che gli si svolge intorno. Allora è inutile che la sorella Brigida se lo prenda caldo tra le braccia, ballonzolandolo per la stanza; inutile che mamma Benedetta gli sprema qualche goccia di latte sulle labbra rosate: si contorce, volgendo altrove la testa quasi indispettito. E la madre intuisce il mistero della presenza di Dio in quell'anima e lo bacia a lungo, intensamente sul petto, esclamando: « Figlio mio, sii benedetto ! ».

è un'ingenua fantasia popolare che anticipa fatti e prodigi dell'età matura, eppure racchiude qualche cosa di vero: la precocità con cui Gerardo corrispose alla grazia. Se non nacque santo, lo divenne ben presto con un movimento spontaneo, ma sempre più attivo e cosciente dell'anima, stimolata da forti sentimenti emotivi e da un'immaginazione vivace. Sentì nella chiesa, attraverso il culto liturgico, come una comunicazione diretta del suo essere con Dio e tutto ebbe un linguaggio per lui : i ceri accesi e i paludamenti sacerdotali, la voce impetuosa dell'organo e lo squillo delle campane, i canti solenni delle feste e le lugubri lamentazioni della settimana santa. E tutto volle riprodurre nell'intimità delle pareti domestiche. Volle il suo altarino con le candele e le immagini di santi, schierate come in una parata. Al centro, l'arcangelo San Michele, con la spada sguainata, incalzava il demonio dentro un vortice di fiamme. E volle ancora - conviene notarlo perché c'è in germe il carattere specifico della sua spiritualità - volle ancora l'altare-sepolcro del giovedì santo. Lo costruiva con le sue mani, suggestionato dalla croce velata, dal verde pallido di grano e dai lumi che si consumavano in muto olocausto a Dio.

Poi passava e ripassava da una parte all'altra dell'altare, genuflettendo e modulando la voce. Infine piegava a terra le ginocchia, alzava gli occhi al cielo e pregava. Intanto, fra i battenti socchiusi, gli occhi furbetti delle sorelle foravano il buio, trattenendo il respiro. Lo spiavano dappertutto le biricchine, e dappertutto lo scovavano, perfino negli angoli più remoti, tra la sedia e il tavolino, tra la parete e la legna ammucchiata, dove, coperto da una nuvola di fumo, genufletteva a lungo, immobile come un angelo. Poi correvano a raccontarlo ai vicini, ai parenti, agli amici e anch'essi venivano a godersi lo spettacolo. Ci venne dal portone accanto la giovane signora Caterina Zaccardo, sposa del bracciante Vincenzo di Napoli; ci venne l'amico di casa l'orefice Alessandro Piccolo. Ci vennero spe-cialmente i coetanei con la lieta spensieratezza degli anni. Lo chiamavano da fuori e, quando non sentiva, gli correvano vicino. Allora si riscuoteva, preparava in fretta l'altare e dava inizio alla messa, inentre la piccola assemblea, in piedi, era tutt'occhi a guardare. Poi genuflettevano e pregavano insieme.

Altre volte filavano cantando per le stradicciole deserte: Gerardo andava avanti portando una piccola croce. Più spesso, quando il tempo era bello, salivano sui pianori assolati lungo i margini occidentali della città, o penetravano nel giardino della famiglia De Cillis. Egli tirava fuori il suo armamentario di candele e di santi e preparava proprio lì, sotto i vecchi alberi che gettavano le nuove gemme e sul prato che rinverdiva, il suo altare. Si arrampicava sui rami dei mandorli in fiore e vi collocava le candele ; affiggeva la croce alla scorza del tronco ; più in basso, sui sassi piazzava il coperchio coi santi.

Era l'ora particolarmente solenne in cui l'ombra, scendendo dai monti, si allungava sulla città e sulla pianura, tagliando l'una e l'altra con una linea di luce e d'ombra; poi la luce si spostava sempre più verso oriente; risaliva sui monti opposti, guizzava sulle vette e scom-pariva nell'aria. Allora Gerardo accendeva le candele e lo spettacolo diveniva più suggestivo : grappoli fioriti luccicavano, come stelline bianche, con le venette sanguigne e tutto l'albero sembrava un candelabro d'argento, sospeso sotto la volta silenziosa del cielo. Dalle finestre vicine qualcuno si fermava a guardare; qualcuno, tornando dai campi, sostava un momento, mentre la cantilena dei fanciulli si perdeva nella valle già buia.

Saremo forse sorpresi di tutto l'elemento sensibile che avvolge questa come le scene precedenti. Sembra quasi che Gerardo non sappia pregare senza tradurre in forme spettacolari il suo mondo interiore, senza in qualche modo eccitarsi davanti alle architetture della sua fantasia. Donde l'origine di tale atteggiamento? Alla base c'è, e in maniera determinante, la ricchezza naturale della sua anima, ma ad essa vanno aggiunti l'influsso del mondo esterno che gli parlava col frastaglio delle rocce e l'eco lontana delle acque e il colore locale delle tradizioni religiose, riboccanti di sentimenti istintivi. Ogni mistero riviveva attraverso il folclore popolare : specialmente il mistero del Pane Eucaristico, che parlava a quelle anime semplici col fascino dell'amor di Dio. Al giovedì, quando sbocciavano le prime stelle, come per incanto, i davanzali si accendevano di lumi. Così dal castello alle pendici del monte, di gradinata in gradinata, la città palpitava di mille fiammelle che cantavano l'umile ringraziamento di tutto un popolo al Signore. Questa tradizione, ora purtroppo scomparsa, può fornire più di una spiegazione alla scena del giardino De Cillis.

Ma vi è in Gerardo qualche cosa che trascende gli elementi sensibili e lascia intravedere l'ispirazione dall'alto: l'affacciarsi dei simboli che parlano di sacrificio e di morte. La sua infanzia serena sembra già percorsa da brividi forieri di tempesta. Era la voce di Dio che lo addestrava alla prova ? Possiamo credere di sì, perchè questa venne quasi subito e lo trovò molto ben preparato.

Dopo anni di stenti e relativa tranquillità, la sua famigliola cominciò a dibattersi prima nelle ristrettezze, poi nella miseria. Forse in conseguenza di questa, dovette sloggiare dalla casa di Vico Celso e prendere un'altra stanza alla Raia del Castello, N. 63, pagandone l'affitto annuo di venti carlini a un certo Giuseppe Galella, suo lontano parente. Ma le cose andarono in peggio. Si resero necessari nuovi sacrifici collettivi e nuove restrizioni nel vitto già scarso. Queste restrizioni e la tristezza del babbo dovettero produrre una forte impressione nel cuore del fanciullo che già toccava, coi sette, otto anni, l'uso di ragione. Lo dicevano certe sue occhiate silenziose, seguite da scoppi improvvisi di tenerezza verso i genitori e specialmente certe limitazioni insolite che s'imponeva nel cibo. Qualche volta lasciava intatto fino a sera il pezzetto di pane che la mamma gli aveva preparato al mattino, quando usciva per i campi; qualche volta ne cedeva una parte alle sorelle, dicendo di non aver più fame, di aver mangiato a sufficienza. Ma intanto la sua faccina diveniva color di cera e la testa sembrava emergere sproporzionata dal corpicciolo sottile. Eppure, sempre allegro come prima; sempre dietro ai suoi altarini e alle sue processioni. Il babbo invece si abbuiava di giorno in giorno ; forse ricercava le cause che lo avevano ridotto a quello stato : ricerca vana perché le cause trascendevano il suo caso particolare ed investivano una cerchia di responsabilità più larga e profonda.

Infatti i Maiella rivivevano la tragedia della loro classe sociale di nullatenenti, sempre in cerca di un buco per ripararsi dal freddo e di un boccone per non morire di fame. Ma la tragedia di questa classe sociale, che costituiva da sola la grande maggioranza della popolazione, va inquadrata in una più vasta tragedia: la tragedia della Lucania, anche oggi la regione più depressa d'Italia. Proiettato su questo schermo, lo spettacolo assume proporzioni gigantesche con una folla anonima, ignorante, superstiziosa e spiantata, e un pugno di signori, adusi a tutte le storture del sistema feudale, non ancora abbattuto dalle leggi giustiziere di Napoleone. Da qui, il malumore latente tra padroni e sudditi, e la lotta, quasi sempre verbale, tra comuni e feudatari.

I feudatari, veri discendenti degli antichi predoni, non contenti di possedere gran parte dei beni immobili allora esistenti, stendevano le mani rapaci anche sulle terre del demanio che costituivano l'unica risorsa dell'amministrazione comunale, chiamata università, quasi amministrazione dei beni di tutti. Tutti infatti potevano recarsi nelle terre demaniali, in maggioranza boschive, a pascolarvi le greggi e a farvi la legna. L'amministrazione era presieduta dal sindaco e dai quattro eletti del popolo, con poteri strettamente economici, mentre l'esecutivo e il giudiziario erano demandati al governatore e al mastro giurato, tutti e due creature del conte. Questi poteva così manovrare a suo talento la cosa pubblica, allargando sempre più le sue pretese e vincendo le riluttanze con le armi della violenza. Le università, da parte loro, costrette a far fronte contemporaneamente al fisco regio e alle imposizioni del signorotto locale, si rifacevano con balzelli sulle classi meno abbienti. E la miseria cresceva.

Le condizioni di Muro non erano migliori, nonostante la ricchezza relativa del paese ; e ciò per colpa specialmente del conte Filippo Bernualdo I degli Orsini di Gravina. Questa famiglia era ormai da duecento anni padrona di Muro : religiosa per tradizione, non eccessivamente violenta per natura, oscurava ogni altro pregio per quella voracità insaziabile, già bollata a sangue dai noti versi di Dante. Unica eccezione Pierfrancesco, conte di Muro, che seppe uscire dall'orgoglio di casta per vestire il saio domenicano e percorse con rapidità fulminea tutta la scala della gerarchia ecclesiastica fino al supremo pontificato, dove prese il nome di Benedetto XIII. Egli, prima come arcivescovo di Benevento, poi come pontefice, volle largheggiare con la popolazione della sua antica contea, specialmente in occasione dei restauri della cattedrale : ma cosa poteva la gene-rosità di uno solo contro l'ingordigia secolare della razza ? E gli Orsini figurano tra i tiranni di Muro.

Chi più soffriva di questo stato di cose era la massa, formata in gran parte di pecorai, vaccari, braccianti e cafoni, letteralmente schiacciati dalla tassa sul vino, carne, bestiame e macinati, unici loro proventi. Da ciò, i debiti coi proprietari da scontare con prestazioni lavorative, o coi prodotti del lavoro al tempo del raccolto : se l'annata era cattiva, come spesso avveniva, la miseria dilagava come un contagio, livellando nel comune destino i contadini e gli artigiani. La differenza tra le due categorie non era rilevante. Anche gli artigiani chiudevano di tanto in tanto i loro negozi e si davano alla campagna al tempo delle semine, della mietitura o della vendemmia. Vivere solo del lavoro di categoria sarebbe stato difficile perfino agli artigiani rinomati. Figuratevi poi a un uomo nuovo e forestiero, come Domenico Maiella ! Nessuno quindi si meraviglierà della sua povertà : era nella logica delle cose. Si potrà meravigliare soltanto della forza d'animo con cui affrontava la vita, tirando avanti una discreta famigliola, mentre la sfortuna si abbatteva alle sue porte.

Ma gli abitanti di Muro, come quelli della Lucania, avevano la forza rassegnata dei secoli che scivolavano lentamente sulle loro bianche casette sdraiate al sole.

Per essi il lavoro non aveva un canto, una voce; l'officina, un ritmo, uno squillo. L'artigiano apriva al mattino in silenzio il suo negozio, mentre la folla dei braccianti si rovesciava sui campi, anch'essa in silenzio.

Durante il giorno, la città sembrava un paese abbandonato, abitato solo dalle vecchiette che filavano sui ballatoi esterni, accanto alla porta, e da frotte di ragazzi seminudi che ruzzavano nella polvere. Ma di tanto in tanto quell'aria sonnolenta veniva rotta dalle squadre di bravacci in livrea, dallo strepito dei corni e dai latrati dei cani. Allora i Muresi avevano il piacere di apprendere che era giunto dalla capitale il padrone con un gran codazzo di baroni e di cavalieri per le clamorose partite di caccia nei boschi dintorno. Allora le vecchiette si ritiravano dal ballatoio, gli artigiani socchiudevano la porta e i contadini, che risalivano le valli con gli arnesi sulle spalle, curvavano maggiormente a terra il volto patito e assente.

Cancellazione dati iscrizione

Inserisci il numero di cellulare e\o la mail con cui ti sei registrato e clicca sul tasto in basso

CHIUDI
CONTINUA

INFORMATIVA PRIVACY

Lo scopo della presente Informativa Privacy è di informare gli Utenti sui Dati Personali, intesi come qualsiasi informazione che permette l’identificazione di una persona (di seguito Dati Personali), raccolti dal sito web www.sangerardomaiella.it (di seguito Sito).
La presente Informativa Privacy è resa in conformità alla vigente normativa in materia dei Dati Personali per gli Utenti che interagiscono con i servizi del presente Sito nel quadro del Regolamento Ue 2016/679.

Il Titolare del Trattamento, come successivamente identificato, potrà modificare o semplicemente aggiornare, in tutto o in parte, la presente Informativa; le modifiche e gli aggiornamenti saranno vincolanti non appena pubblicati sul Sito. L’Utente è pertanto invitato a leggere l’Informativa Privacy ad ogni accesso al Sito.

Nel caso di mancata accettazione delle modifiche apportate all’Informativa Privacy, l’Utente è tenuto a cessare l’utilizzo di questo Sito e può richiedere al Titolare del Trattamento di rimuovere i propri Dati Personali.

  1. Dati Personali raccolti dal Sito
    • Dati Personali forniti volontariamente dall’Utente

      L’invio facoltativo, esplicito e volontario di posta elettronica agli indirizzi indicati sul sito comporta la successiva acquisizione dell’indirizzo del mittente, necessario per rispondere alle richieste, nonché degli eventuali altri dati personali inseriti nella missiva. Specifiche informative di sintesi verranno progressivamente riportate o visualizzate nelle pagine del Sito predisposte per particolari servizi a richiesta.
      L’Utente è libero di fornire i Dati Personali per richiedere i servizi eventualmente offerti dal Titolare. Il loro mancato conferimento può comportare l’impossibilità di ottenere quanto richiesto.

    • Dati Personali raccolti tramite cookie:

      Nel Sito viene fatto uso di cookie strettamente essenziali, ossia cookie tecnici, di navigazione, di performance e di funzionalità.
      I cookie sono informazioni inserite nel browser, fondamentali per il funzionamento del Sito; snelliscono l’analisi del traffico su web, segnalano quando un sito specifico viene visitato e consentono alle applicazioni web di inviare informazioni a singoli Utenti.
      Nessun dato personale degli Utenti viene in proposito acquisito dal Sito.
      Non viene fatto uso di cookie per la trasmissione di informazioni di carattere personale, né vengono utilizzati c.d. cookies persistenti di alcun tipo, ovvero sistemi per il tracciamento degli utenti.
      L’uso dei cookie di sessione (che non vengono memorizzati in modo persistente sul computer dell’Utente e svaniscono con la chiusura del browser) è strettamente limitato alla trasmissione di identificativi di sessione, necessari per consentire l’esplorazione sicura ed efficiente del Sito.
      I cookie di sessione utilizzati in questo Sito evitano il ricorso ad altre tecniche informatiche potenzialmente pregiudizievoli per la riservatezza della navigazione degli Utenti e non consentono l’acquisizione di Dati Personali identificativi dell’Utente.

  2. Finalità e Base giuridica del Trattamento

    I Dati Personali raccolti possono essere utilizzati per finalità di registrazione dell’Utente, ossia per consentire all’Utente di registrarsi al Sito così da essere identificato. Base giuridica di questo trattamento è il consenso liberamente espresso dall’Utente interessato.
    I Dati Personali forniti dagli Utenti che inoltrano richieste o intendono utilizzare servizi eventualmente offerti tramite il Sito, nonché ricevere ulteriori specifici contenuti, sono utilizzati al solo fine di dare riscontro alle richieste o eseguire il servizio o la prestazione richiesta e sono comunicati a terzi nel solo caso in cui ciò sia a tal fine necessario. Base giuridica di questi trattamenti è la necessità di dare riscontro alle richieste degli Utenti interessati o eseguire attività previste dagli eventuali accordi definiti con gli Utenti interessati.
    Con il consenso espresso dell’Utente i dati potranno essere usati per attività di comunicazione commerciale relativi ad offerte di eventuali servizi offerti dal Titolare. Base giuridica di questo trattamento è il consenso liberamente espresso dall’Utente interessato.
    Al di fuori di queste ipotesi, i dati di navigazione degli utenti vengono conservati per il tempo strettamente necessario alla gestione delle attività di trattamento nei limiti previsti dalla legge.
    È sempre possibile richiedere al Titolare di chiarire la base giuridica di ciascun trattamento all’indirizzo info@sangerardomaiella.it.

  3. Modalità di trattamento

    Il Trattamento dei Dati Personali viene effettuato mediante strumenti informatici e/o telematici, con modalità organizzative e con logiche strettamente correlate alle finalità indicate. Il Trattamento viene effettuato secondo modalità e con strumenti idonei a garantire la sicurezza e la riservatezza dei Dati Personali.

    In alcuni casi potrebbero avere accesso ai Dati Personali anche soggetti coinvolti nell’organizzazione del Titolare (quali per esempio, amministratori di sistema, ecc.) ovvero soggetti esterni (come società informatiche, fornitori di servizi, hosting provider, ecc.). Detti soggetti all’occorrenza potranno essere nominati Responsabili del Trattamento da parte del Titolare, nonché accedere ai Dati Personali degli Utenti ogni qualvolta si renda necessario e saranno contrattualmente obbligati a mantenere riservati i Dati Personali.

  4. Luogo

    I Dati Personali sono trattati presso le sedi operative del Titolare ed in ogni altro luogo in cui le parti coinvolte nel trattamento siano localizzate. Per ulteriori informazioni, è sempre possibile contattare il Titolare al seguente indirizzo email info@sangerardomaiella.it oppure al seguente indirizzo postale Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ).

  5. Diritti dell'Utente

    Gli Utenti possono esercitare determinati diritti con riferimento ai Dati Personali trattati dal Titolare. In particolare, l’Utente ha il diritto di:

    • revocare il consenso in ogni momento;
    • opporsi al trattamento dei propri Dati Personali;
    • accedere ai propri Dati Personali e alle informazioni relative alle finalità di trattamento;
    • verificare e chiedere la rettifica;
    • ottenere la limitazione del trattamento;
    • ottenere la rettifica o la cancellazione dei propri Dati Personali;
    • ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti;
    • ricevere i propri Dati Personali;
    • proporre reclamo all’autorità di controllo della protezione dei Dati Personali.
  6. Titolare del Trattamento

    Il Titolare del Trattamento è TC65 S.r.l., con sede in Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ), Partita Iva 01750830760, indirizzo email: info@sangerardomaiella.it

Ultimo aggiornamento 27/07/2021