6 Gennaro
EPIFANIA DI NOSTRO GESÙ CRISTO
Molto antica e sempre solenne fu nella chiesa universale la festività di questo giorno. L’istituzione d’essa è incerta, e salendo ai primi tempi del cristianesimo sembra apostolica. Se poi vorremo argomentare la santa letizia delle omelie de’ padri latini e greci a noi pervenute, potremo affermare con verità che essa andava per le maggiori. Cominciando da san Gregorio taumaturgo (1), e scendendo fino a san Bonaventura (2) noi lo troviamo celebrata con magnifiche orazioni di sacra eloquenza da san Gregorio nanzianzeno (3), da san Giovanni Crisostomo (4), da san Ambrogio (5), da santo Agostino (6), da san Leone Magno (7), da san Pier Crisologo (8), da san Massimo di Torino (9), da san Cromazio d’Aquileia (10), da san Fulgenzio (11), da san Gregorio il grande (12), da san Proclo (13), da venerabile Beda (14), e per tacere d’altri da santo Anselmo, da san Pier Damiani, e da san Bernardo fra soavissimi pensieri e celesti affetti.
Ella come termine e compimento delle feste natalizie, a noi pare che tenga fra esse quel rispetto medesimo, che Pentecoste tra le feste di Pasqua. Imperocchè siccome a quella precedono la quaresima, la passione, la risurrezione e l’ascensione di Gesù Cristo; anche a questa precedono i digiuni e le domeniche dell’Avvento, le solennità del Natale, della Circoncisione e del nome di Gesù; nelle quali essendo egli principalmente riconosciuto vero uomo, ed unigenito della beatissima Vergine Maria, nato a viver umana vita: rivelasi poi nelle presente alle sue ragionevoli creature per quel Dio che egli è, disceso in terra secondo le sue promesse ad ammaestrare gli uomini in persona coll’esempio e colla parola, finché compirà col sacrificio intiero dell’umana sua vita la sublime opera della nostra redenzione: post haec in terris visus est, et cum hominibus conversatus est (1).
Lo scopo dunque specialissimo, a cui tende la solennità di quest’oggi, è il riconoscimento della divinità di Gesù Cristo, non perché i cristiani debbano dimenticarla giammai, ma per rinnovar la memoria dell’avvenuto, opportunissima alla culla di Gesù Cristo bambino. Perciò questa festività fu chiamata da padri antichi Epifania, e spesso ancora Teofania, che è quanto dire comparsa di Dio fra noi; poiché vollero sollevate le nostre menti all’incomprensibile mistero di un Dio fatto uomo per amore dell’uomo, appellato però Emmanuele dal profeta Isaia, cioè Fio fra noi. e sembra bene, che la chiesa avesse molto a cuore d’imprimere nell’animo de’ fedeli questa gran verità; perché ella seguita ad inculcarcela tanto nell’offizio divino, quanto nella sacra liturgia per molte domeniche avvenire, e non cessa fino a che incominci a disporci per celebrare un’altra serie di solennità, le quali sono chiuse anch’esse per lo appunto dalla Pentecoste rannodata all’avvento con una più lunga sequela di domeniche somigliantissima a quelle dell’Epifania. Così la chiesa cattolica, diletta sposa di Gesù Cristo, ha sempre in vista il suo divino Redentore in tutto il corso dell’anno; affinché con le feste a lui consacrate egli primeggi nel pubblico suo culto fra i santi suoi, come il sole primeggia nel cielo fra gli astri minori. Ed è ben degna d’ammirazione la saviezza di questa madre nel governare le nostre intelligenze fra i misteri della fede. Perché se noi, tutti senso e poco intelletto, non avessimo contemplato nel pargoletto figliuolo di Maria altro che umiliazione, povertà e patimenti d’un bambinello, senza rammentare a noi stessi che egli era Dio, non ne avremmo forse ricavato senonché il frutto d’una sterile compassione.
Ma qual fia cuore, per quanto vogliasi immerso nelle vanità del mondo, il quale creda pur come dee, che questi è creatore e padrone dell’universo, voluto nascere bambino e prove di stenti e di morte per ciascheduno di noi, e fra tanto non si senta commuovere, e non apprezzi di quel prezzo infinito che valgono l’origine e il riscatto divino dell’anima sua? Bella è certamente questa economia nella chiesa universale; ma quanto allo scopo, per cui si celebra l’Epifania, ancor più bela ci sembra nella chiesa romana, la quale siccome centro di tutte le chiese, e legittima custode della tradizione apostolica, si mostra eziandio nella festa d’oggi per madre e maestra antichissima delle chiese orientali, rette da Pietro beatissimo suo fondatore. Celebrava ella, come sempre fu solita, il natale di Gesù Cristo ai 25 dicembre; e di fatto nel calendario pubblicato dal p. Bucher della Compagnia di Gesù, che per sentenza comune degli eruditi non è posteriore alla metà del quarto secolo, si annunzia VII. KAL: NATUS CHRISTUS IN BETLEEM IUDEAE; anzi dagli antichi calendari di Polomeo Silvio, o forse meglio P. Anneo Silvio (1), e della chiesa di Cartagine scritti anch’essi fra il quarto e il quinto secolo dell’era volgare, giustamente argomentasi, che tutte con lei si accordavano le chiese d’occidente. Ignoravano intanto la maggior parte de’ Greci, tranni forse l’Illirico e la Tracia e con lei Bizanzio per comunicazione immediata colla chiesa romana (2), il vero giorno natalizio del Salvatore, e discordando fra loro i più celebravano a’ sei di gennaio, in cui festeggiavano pure l’Epifania: ma essendo stati avvertiti, si uniformarono in seguito alla chiesa romana. Quando anche vogliansi escludere le epistole di san Telesforo e di San Giulio romani pontefici (3), non v’ha dubbio che una costituzione apotoslica ne ammaestrò i Greci (4): imperocché ne’ canoni apostolici, non ignorati da santo Atanasio e da Eusebio, una ne abbiamo in questi termini: “Fratelli, osservate le feste, e primieramente la festa di Natale, che da voi dovrà celebrarsi nel vigesimo quinto giorno del meso nono” il quale secondo gli orientali era il dicembre (5). E quantunque si possa mettere in quistione quel sia stato il romano pontefice che l’ordinò, non è priva di fondamento, anzi a noi pare molto probabile la congettura che tal pontefice sia stato il pontefice san Damaso. Imperocchè se egli mandò a Melezio e a Paulino la costituzione apostolica citata da Eusebiuo, s’intende ottimamente perché san Giovani Crisostomo nell’omelia sopra il Natale da lui recitata in Antiochia nell’anno CCCLXXXVI abbia affermato, che non erano passati ancora dieci anni, da che s’incominciò colà a celebrare nel vero suo giorno la festa del Natale: sendochè l’epoca del trecento sessantotto cade precisamente nel tempo, che sarebbe necessario a verificare cotesta opinione. Ecco le parole di san Giovanni Crisostomo: “Non sono ancora dieci anni, da che questo giorno ci fu manifesto e palese; e tuttavia da tempi antichi egli era noto e solenne a’ cristiani, che dalla Tracia si stendono in Gibilterra (1)”. Farà meraviglia che la chiesa d’Antiochia, tanto più vicina alla Giudea che la romana, ignorasse quel giorno; ma prescindendo eziandio dalla tradizione apostolica, in Roma poteano facilmente consultarsi gli atti pubblici del censo eseguito nella Giudea, e sapersi quel giorno con tutta certezza. Impararono dunque i greci dalla chiesa romana il giorno preciso, in che nacque il Redentore; e per conseguenza separarono l’Epifania dal Natale collo spazio di dodici giorni (2); poiché quanto alla celebrazione dell’Epifania tutte le chiese accordavano nel sei di gennaio. Non in tutto però si attennero essi al rito romano trasferendo al vero suo giorno la festa del Natale. Imperciocchè trasportarono a quel giorno anche l’adorazione de’ magi, e nell’Epifania seguitarono a commemorar solamente il battesimo di Gesù Cristo, e quinci derivò per l’Epifania medesima quella differenza di rito nelle due chiese, che ora brevemente descriveremo.
Soleano dunque i Greci in memoria del battesimo di Gesù Cristo celebrare nell’Epifania la solenne benedizione del fonte battesimale con gran luminaria, da cui venne alla festa la più comune appellazione dei lumi, o come noi diremmo candelora, se volessimo trasportare a questa il nome di tutt’altra romana solennità. Nel menologio Basilicano l’Epifania si annunzia semplicemente così: il battesimo di nostro Signor Gesù Cristo (3); e san Gregorio nanzianzeno nell’omelia che recitò sopra la stessa festa in Costantinopoli dice: “Questo santo giorno de’ lumi, a cui siamo giunti, e che oggi la Dio mercé festeggiamo, ha per principio il battesimo del mio Signor Gesù Cristo, vera luce che illumina ogni uomo che venga al mondo (4)”. Lo stesso insegna san Giovanni Crisostomo (5), ed aggiunge che “Il popolo levatosi a mezza notte accorreva in folla quest’oggi alla chiesa per attignere con ogni maniera di vasellame l’acqua benedetta, e recarsela in casa, e serbarla a tutto l’anno; perché quest’oggi le acque furono santificate dal contatto della carne divina di Gesù Cristo”. E in tanto onore salì a Costantinopoli la cerimonia solenne della benedizione del fonte, che era propria del solo patriarca, e se quindi non potea, la compia quale altro de’ patriarchi o d’Alessandria, o d’Antiochia, o di Gerusalemme fosse allora in città /1). Dopo la benedizione si amministrava in seguito il battesimo a’ catecumeni, e in somma faceano i greci nell’Epifania quasi ciò stesso, che la chiesa romana con più maestà certamente e proprietà suol fare ne’ giorni di pasqua e pentecoste, quando ella celebra solennemente il battesimo secondo un’antichissima sua consuetudine attestata dal pontefice Siricio nella lettera ad Imerio Tarragonese (2), e da san Leone Magno ai vescovi di Sicilia (3). Egli è pertanto a notare, che sebben fosse solennissima anche fra’ greci l’odierna festività sia quando la celebravano col Natale di Gesù Cristo, e colla adorazione de’ magi; sia dopo che l’ebbero separata consacrandola solo al battesimo del Salvatore: non era tuttavia il suo rito così espressivo di ciò che significa Epifania, quanto il rito della chiesa romana. Ella conservò sempre in questo giorno la memoria de’ tre misteri che sovra tutti manifestarono al mondo la divinità di Gesù Cristo: e perciò la solennità di quest’oggi nell’antico calendario di Cartagine, e nell’altra di P. Anneo Silvio si annunzia nel modo che segue: VIII. IDUS EPIPHANIA QUO DIE INTERPOSITIS TEMPORIBUS STELLA MAGIS DOMINUM NATUM NUNCIABAT ET AQUA VINUM FACTA VEL IN AMNE IORDANIS SALVATOR BAPTIZATUS EST. E giacché per ragionare dell’Epifania secondo il rito romano, è necessario esporre questi tre misteri medesimi, non ne parleremo con quell’ordine stesso, in che ci sono proposti dalla romana liturgia.
ADORAZIONE DE’ MAGI
La storia di questo fatto è narrata da san Matteo nel capo secondo dell’evangelio da lui scritto, e tradotta fedelmente alla lettera con esatto confronto del testo greco e della volgata latina ci dice così: “Nato dunque Gesù in Betlemme di Giuda al tempo di Erode re, ecco perciocché noi ne abbiamo veduta la stella in oriente, e siamo venuti per adorarlo. Nell’udire tal cosa, Erode re conturbossi e tutta con esso lui Gerosolima. E raunati quanti erano i capi de’ sacerdoti, e scribi del popolo, domandò loro: dov’è che ha da nascere il Messia? Ed essi risposero: in Betlemme di Giuda. Imperocchè così fu scritto per lo profeta: E tu, o Betlemme, terra di Giuda, no che non se’ la più piccola fra le principali di Giuda: perché uscirà di te il condottiero che reggerà il mio popolo Israele. Erode allora, chiamati segretamente i Magi a sé, s’informo a minuto da quanto tempo fosse loro comparsa la stella. E mandandoli a Betlemme soggiunse: Andate e cercate esattamente notizie del fanciullino, e quando l’avrete trovato, datemene avviso; affinché possa anch’io venire ad adorarlo”. Questi, uditi il re, si partirono; ed ecco che la stella da loro veduta in oriente andava loro davanti, finché arrivata sopra il luogo, dove stava il fanciullino, vi si fermò. Riveduta intanto la stella, si rallegrarono essi di grande allegrezza: ed entrati nella casa trovarono il fanciullino con Maria sua madre, e prostrandosi l’adorarono, ed aprendo i loro tesori gli afferirono in dono oro, incenso e mirra. “Avvertiti poi per risposta ricevuta mentre dormivano di non ripassar da Erode, per altra via se ne tornarono al loro paese. Partiti che furono i Magi, ecco che un angelo del Signore comparve in sogno a Giuseppe dicendogli: Levati, prendi il fanciullino e sua madre, e fuggi in Egitto, e fermati colà fino a quando ti avviserò. Imperocché avverrà che Erode ricerchi il fanciullino per metterlo a morte. Egli dunque svegliatosi, tolse di notte il fanciullino e sua madre, e si ritirò in Egitto, ed ivi si rimase fino alla morte di Erode; acciocché si avverasse quanto era stato predetto dal Signore per bocca del profeta che dice: Ho richiamato dall’Egitto il figliuol mio. Allora Erode veggendosi burlato da’Magi s’adirò fieramente, e mandò ad uccidere tutti i fanciullini ch’erano in Betlemme, e ne’ suoi confini d’attorno, dall’età di due anni in giù, secondo il tempo che avea rintracciato dai Magi”. Per questa chiara e semplice narrazione noi sappiamo con certezza, che i Magi vennero da un paese posto all’oriente di Gerosolima, e dove coloro che aveano titolo di Magi erano uomini di grande autorità, ma incertissima è quale ne fosse la patria. Argomentando dal testo greco si potrebbe credere che venissero d’assai lontano; perché li dice venuti dagli orienti (4), quasi non uno esser deebba il meridiano, da cui volendo dovrebbesi misurarne la distanza; mentre all’opposto si adopera il singolare chiamandosi solo oriente (2) la patria stessa, dove loro apparve la stella, fra le longitudini d’un medesimo meridiano, e sotto l’orizzonte di molti paesi occidentali alla patria loro e molto più della Giudea, dove perciò la stella non si era veduta. Pare altresì che la stella medesima secondo la forza del testo greco fosse un segno predetto e noto a que’ popoli orientali, da cui vennero i Magi; perché la chiamano la stella di lui, e forse per qualche tradizione patriarcale sapeano, che alla comparsa d’una nuova stella in un dato punto di ciclo, sarebbe nato nella Giudea quel gran re che si aspettava eziandio dalle nazioni, e di cui s’era già sparsa in oriente la fama esser vicino a nascere. Comunque sia, per me credo che Iddio non abbia voluto rivelare né il luogo nativo, né il numero, né la dignità, né i nomi di questi personaggi chiamati a riconoscere Gesù Cristo a nome de’ popoli che non erano Giudei; affinché non si giudicasse privilegio né di pochi uomini, né d’un popolo solo, ciò che era beneplacito di Dio per tutte le genti. Egli è vero che nessuno de’ padri ha negato che fossero tre; e nessuno ci vieta di credere, che fossero principi e signori di stato; anzi Tertulliano, san Leone Magno, san Cesario, Santo Ilario, san Massimo Torinese, il venerabile Beda accordano l’una e l’altra cosa; e tale è pure circa il numero loro l’antica credenza della chiesa ricavata da’ suoi monumenti. Ma egli era cosa inopportuna allo scopo dell’evangelio, ed è anche inutile al fine cui mira la chiesa, una più lunga storia di questi adoratori. Ciò che non può mettersi in dubbio si è, che l’adorazione de’ Magi accade in Betlemme, e che questi filosofi chiamati da Dio, re futuro di tutti re, e che l’adorarono in spirito e verità, e con supremo culto di religione. Così volle Iddio con sapienza tutta profetica, che i superbi Giudei, mentre aspettavano prossimo il Messia, dagli stranieri sapessero ch’era venuto, e nella cecità portentosa dell’orgoglio loro fossero non per sé, ma per le genti conservatori ed interpreti de’ profeti.
Lasciato pertanto lo scioglimento d’atre quistioni, che sarebbero esercizio d’ingegno e non di cristiana pietà, ne sceglierò a discutere una sola, perché l’esame d’essa è necessario a conciliare gli evangelisti; ed è se l’adorazione de’ Magi sia stata posteriore, o anteriore alla presentazione al tempio. Egli è indubitabile per autorità del testo evangelico che Gesù Cristo fu adorato dai Magi in Betlemme, e non altrove, e mentre tuttora viveva Erode. Dunque non dopo il ritorno dall’Egitto, perché allora Erode era morto; e neppur mentre la sacra famiglia dimorava in Egitto, perché Betlemme è città della Giudea. Resta pertanto il solo intervallo che passò tra 1a nascita e la fuga di Gesù Cristo in Egitto, entro il quale certamente fu fatta eziandio la presentazione di Gesù Cristo al tempio quaranta giorni dopo il suo nascimento. Ora se l'adorazione de' Magi fu posteriore alla presentazione, converrà pur provare che la sacra famiglia se ne ritornasse da Gerosolima in Betlemme anche dopo la presentazione al tempio; perché altrimenti non sarebbe stato adorato dai Magi in Betlemme: ma qual necessità dopo il registro del censo costringea quella povera famigliuola a ritornare in una città;, dove non avea casa1 e dove prima non avea trovato albergo? Possiamo noi pretendere, o nemmeno supporre che Gesù Cristo con la sua madre, per esservi adorato dai Magi, se ne tornasse al presepio, dov'era nato? Se poi vogliansi accolti in seguito dal parentado, ed alloggiati in casa altrui; non sarà vero allora, che Gesù Cristo sia stato adorato dai Magi nello stesso umilissimo luogo del suo nascimento, contro ciò che insinua san Matteo medesimo, e contro l'antica e costante tradizione della chiesa. Né già punto varrebbe distinguere il luogo, di cui dice san Luca (1) reclinavit eum in praesepio, quia non erat eis locus in diversorio, dalla casa cui nomina san Matteo (2), intrantes domum irvenerunt puerum cum Maria matre ejus. Imperocchè ben s'intende che la spelonca degli armenti aver dovea padroni, e questi una casa dove abitavano: ma se i Magi entrati nella casa dovettero farne ricerca per ritrovare il bambino, e la stella erasi fermata non sulla casa, ma sul luogo dove stava Maria col suo pargoletto; egli è chiaro che ambedue gli evangelisti parlarono d'uno stesso luogo, quantunque l'uno esprimesse meglio dell' altro le circostanze locali. Chi poi vorrà credere che non per due o tre mesi, ma 'per due anni quella nazarena famiglia restasse in Betlemme? Eppure tanto, e non meno, sarebbe necessario, se il computo d'Erode a bimatu et infra fu da quel tiranno giustamente applicato alla nascita di Gesù Cristo. Non è più tempo, anzi non fu mai lecito di credere cogli astrologi e con Erode agli oroscopi delle stelle; e perciò; non è da pensare che accadessero in un' epoca stessa la comparsa della stella e la nascita di Gesù Cristo: la sola connessione che v'era, fu d'avviso e d'indirizzo ai Magi proporzionato al viaggio che doveano fare, perché arrivassero nel tempo che Dio volea, ma non già d'oroscopo, che sarebbe pura stoltezza e fantasia di astrologi.Altro scoglio e più forte ancora si oppone alla sentenza che l'adorazione de'Magi sia stata posteriore alla presentazione di Gesù Cristo al tempio. Perché all'arrivo e alla dimanda de' Magi non solo Erode, ma tutta con lui Gerosolima trasecolò di stupore secondo san Matteo (1): Audiens autem Herodes rex turbatus est et omnis,Jerosolyma cum illo. Non s'era dunque sparso per quella città il minimo rumore di questo avvenimento. Ora tale silenzio è assolutamente incredibile dopo la presentazione al tempio; poiché in questa ipotesi il vecchio Simeone avrebbe già fatto echeggiare il tempio del suo cantico, ed Anna profetessa avrebbe riconosciuto anch'essa in Gesù Cristo il vero Messia, e l' avrebbe annunziato a quanti l' aspettavano (2); e con tutto ciò nessuno ne avrebbe parlato. Conchiudiamo adunque colla più comune sentenza, e coll'antica tradizione della chiesa, che l'adorazione de'Magi senza dubbio anteriore alla presentazione al tempio. Così mettesi in armonia san Luca con san Matteo; né più discordano i tempi, i luoghi e i fatti dell'istoria evangelica, ma seguono in serie connessa, e le cagioni precedono agli avvenimenti. L'orribile strage de' fanciulli comandata da Erode in Betlemme e nel suo circondario, non sarebbe già stata mossa per la sola vision d'una stella che altri in Giudea non avea scoperta, né per la venuta d'alcuni forestieri che più non s'erano visti; ma dalla fama ogni dì crescente in Gerosolima, e giunta al suo colmo nel giorno della presentazione. E allora Erode si sarà convinto veramente, che i Magi l'aveano beffato; perché non più pochi stranieri, ma molti eziandio de'migliori suoi sudditi e per santità venerandi pubblicamente l'aveano riconosciuto. Che se poi san Matteo, taciuta la presentazione al tempio, congiunse alla partenza de' Magi la fuga in Egitto,egli non esclude i fatti che fra mezzo avvennero. Perciocché l'uso di un ecco da lui scritto per connettere la storia di que' due maravigliosi avvenimenti, non esprime successione immediata, ma piuttosto ammirazione, e non fu mai legittimo argomento di cronologia. E per verità chi volesse fondarvisi nel versetto decimoterzo, e sostenesse trascorso un biennio tra il nascimento di Gesù Cristo e l’adorazione de' Magi, avrebbe contro di sé un altro ecco nel primo versetto di san Matteo, dove egli congiunge la venuta de' Magi al nascimento medesimo di Gesù Cristo: quantunque già fosse passato un biennio di tempo. In somma lo scioglimento di questa e d'altre difficoltà dipende da quel principio certissimo di critica, su cui si fonda l'evangelica cronologia: ed è che la successione immediata de'fatti come avvennero, non è quella con cui si narrano da un solo evangelista, ma quella che risulta da tutti e da tutta l'istoria evangelica. Perché questa non è intiera in ciascuno, ma solamente in tutti gli evangelisti messi fra loro in armonia. Come adunque san Matteo tra l'adorazione de'Magi e la fuga in Egitto tralasciò la presentazione al tempio: così san Luca tra la presentazione al tempio e il ritorno in Nazareth tralasciò la fuga in Egitto; eppure tanto l’uno quanto l’altro connettono i fatti da loro narrati come se fossero accaduti senza fatti intermedi. Ambedue concordano nell’affermare che la sacra famiglia ritornò a Nazareth, ma san Matteo ci dice che fu nel ritorno dall’Egitto (1), e san Luca dopo la presentazione al tempio (2): perché tralasciando egli tutto ciò, che avvenne nello spazio di dodici anni, passa a raccontare la disputa di Gesù Cristo con i dottori che in altra occasione avvenne nel tempio medesimo. Rallegriamoci dunque anche noi con la chiesa, che celebrando l’Epifania considera come prima e più solenne la manifestazione di Gesù Cristo alle genti in persona de’ Magi. E giacché noi conosciamo di questo bambino avvenimenti assai maggiori ignoti ai Magi, imitiamo almeno quest’oggi l’esempio loro, e non siamo inferiori ad essi nell’adorazione devota del nostro Redentore.
IL BATTESIMO DI GESÙ CRISTO NEL FIUME GIORDANO
Passiamo al secondo mistero, che nella Epifania principalmente si celebra dalla chiesa greca, e che si aggiunge all’adorazione dei Magi dalla chiesa romana. Questo è il battesimo di Gesù Cristo per mano di san Giovanni Battista, e ne abbiamo narrazione più o meno estesa da tutti quattro evangelisti. San Matteo ce lo descrive in questo modo (3). “Arriva allora Gesù Cristo dalla Galilea al Giordano presso Giovanni per essere da lui battezzato. Ma Giovanni gli si opponeva dicendo: Sono io che debbo essere battezzato da te, e tu vieni da me? E Gesù rispondendo dissegli: Lasciami fare per ora; ché così ci si addice a compimento d’ogni giustizia. Allora lo lasciò fare. e Gesù, battezzato che fu, salì tosto dall’acqua: ed ecco che a lui s’aspersero i cieli, e vide lo spirito di Dio scendere in forma di colomba, e venire sovr’esso lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: Questi è il mio diletto Figliuolo, nel quale io mi compiaccio”. Da questo breve racconto di san Matteo e bastevolmente palese, che qui la manifestazione della divinità di Gesù Cristo fu solenne e pubblica a quanti erano presenti; né con indizio di fenomeni naturali, come ai Magi con la stella, ma con sensibile testimonianza del divin Padre e dello Spirito Santo, e con altissima celeste rivelazione, quel conveniva al popolo d’Israele. Anzi vi ha pur circostanza che, solo accennata da san Matteo, e da san Luca, e meglio chiarita da san Giovanni evangelista, ci mostra ancor più straordinario l’avvenimento. Imperocchè allora la missione del Battista ebbe il suggello, e giunse al fine, cui Dio l’aveva ordinata.
Egli dovea riconoscere e pubblicar presente l’aspettato Messia; e però san Giovanni evangelista s’insegna (4), che il Battista lo additò veramente a quanti erano accorsi, gridando dopo il battesimo di Gesù Cristo, e la rivelazion prodigiosa. che l'accompagnò: Questi era colui, del quale io dicea: chi dietro a me verrà, mi andò davanti, perché fu prima di me. Io battezzo coll’acqua. Ma in mezzo a voi vi ha tale, che voi non conoscete. Desso è che viene dietro a me, che mi andò; davanti; a cui non sono degno di sciogliere il correggiuol delle scarpe Ecco l'agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo. Questi è colui, del quale ho detto: dietro a me verrà tale, che mi andò davanti, perché fu prima di me. ed io nol conosceva; eppure affinché fosse conosciuto in Israele, io sono perciò venuto a battezzare coll’acqua. ho veduto lo spirito scendere di cielo a guisa di colomba, e si fermò sovra di lui. Ed io nol conoscea, ma chi mia ha mandato battezzando coll’acqua mi disse: Quegli su cui vedrai discendere e fermarsi lo Spirito, egli è quel desso che battezza nello Spirito Santo. Ed io l’ho veduto, ed ho attestato che questi è il Figliuol di Dio”. Fu questo dunque il momento, di che doveano giovarsi gli Ebrei, se avessero voluto accogliere il Salvatore. San Giovanni Battista ne avea già predicato a bastante la vicina comparsa; l’espettazione era comune, e la persona che annunziava e additava a que’ ciechi il loro Messia non era persona volgare, ma la più santa del popolo giudaico. Egli non era solamente profeta che lo mostrasse per simboli e figure; ma più che profeta, perché testimonio degli occhi l’accennava presente: “ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Tanta poi era la venerazione, che i Giudei gli portavano, da sospettare perfino che egli fosse il Messia (1), e quantunque interrogato di ciò, negasse d’esserlo, e si dichiarasse soltanto precursore di lui; convenia però che fosse tolto ogni dubbio dalle menti del popolo; e fu per questo che sul capo a Gesù Cristo si aperse la gloria del cielo, e in messo a luce divina lo Spirito Santo apparì visibilmente, e Dio Padre con voce parlando eguale al tuono davanti al Battista e al popolo manifestò qual voce l’unigenito suo, che solo potea salvare il genere umano, inescusabili pertanto erano gli Ebrei, che non aveano voluto riconoscere il Messia, dopo che Giovanni l’avea riconosciuto, e testimoniandone la presenza gli avea pubblicamente invitati a riconoscerlo. Quindi è che Gesù Cristo poco prima della sua passione rinfacciò nel tempio ai sacerdoti questa testimonianza medesima del Battista, e non sapendo essi come rispondergli, non volle rendere più loro verun conto di sé. Credeano gli orgogliosi che il vero Messia fonderebbe un nuovo imperio mondano; e Giovanni loro annunziava un regno celesta. S’immaginò che allora, e non poi, farebbe ingresso trionfale in Gerosolima e nel tempio; e Giovanni fa risuonar di sua voce la solitudine, che perciò si popola, e la riva del Giordano, che ripete coll'eco gli inviti a penitenza. L'aspettavano gli stolti in abito da guerriero, e Giovanni in quell' abito stesso che usava Elia ( 1 ), e ancor più simile di spirito a lui che di corpo, dimostra colla vita austerissima e colle parole, qual esser dovea l'apparecchio per riceverlo; e intanto tremendamente predice il giudizio di Dio sopra il popolo che l'avrà rigettato. Egli confessa che prima noi conoscea, ma ne descrisse il battesimo e la grazia, la podestà di giudice che assolve e condanna, l'umana età minore dell'età sua, e l’età divina eguale all'eternità sicché non poteano errare sulla persona. Sapea che egli sarebbe venuto a battezzarsi da lui, e tal dì, di cui quest'oggi rinnovasi la memoria, veggendo venire a sì quel giovane ammirabile, per interna favella di spirito che meglio dell'esterna favella s'intende dai santi, egli ne sentì la presenza e n'esultò come quando era chiuso nell'utero materno. Il colloquio loro è brevissimo, e simile in Giovanni in atto d’umiltà, che osservò Elisabetta innanzi alla Vergine Maria. In somma la santità decorosa di questa scena divina era degna che non solo fosse veduta da tutti gli uomini, ma contemplata dagli angeli a cielo aperto. Sembrerà tuttavia cosa strana che Gesù Cristo a modo di peccatore volesse assoggettarsi al battesimo di san Giovanni: ma bene osservarono i padri della chiesa che non fu solo esempio d’umiltà, né battesimo per lui, ma per noi. In quella sua prima comparsa, e pel suo battesimo egli elevò col contatto delle divine sue carni l’acqua naturale a materia di sacramento, e di quel primo che genera la chiesa, e forma il corpo morale di cui egli è capo. Fu dunque il principio d’ogni santità, e lo disse Gesù Cristo medesimo a san Giovanni, affermando che così conveniva per compiere ogni giustizia. Anche i celesti prodigi, che dopo quell’atto apparvero sensibilmente, non servirono solo a manifestar la divinità di Gesù Cristo, ma gli effetti spiegavano del battesimo da lui prescritto. Non era d’uopo per lui che si aprisse il cielo; poiché non altri che lui poteva aprirlo, ed egli n’era disceso per aprirlo agli uomini, e loro l’apre difatto col suo battesimo. Non era d’uopo per lui che sopra di lui scendesse lo Spirito Santo; poiché non altri che lui in compagnia del divino suo Padre potea mandarlo; ed egli lo manda di fatto, affinché si fermi nell’anima di chi si battezza. Non era finalmente d’uopo per lui, che fosse dichiarato figliuolo dal divino suo Padre; poiché non altri egli era, ed era unigenito: ma d’uopo ora per noi, che solamente col suo battesimo diventiamo figliuoli adottivi del divino suo Padre, e fortunati fratelli di Gesù Cristo. Deh! Chi sarà sì freddo di cuore, che non si senta commosso a tanto benefizio, e non assicuri la sorte che gli è stata offerta?
PRIMO MIRACOLO DI GESÙ CRISTO NELLE NOZZE DI CANA
Dopo che san Giovanni Battista con pubblica testimonianza ebbe più volte confessata la divinità di Gesù Cristo, e in lui riconosciuto il Messia; due ve’ discepoli suoi, fra quali Andrea fratello di Simone, si diedero a seguito di lui, e in breve ebbero a compagni Simone stesso, cui tosto fin da quell’epoca fu predetto il nome di Pietro come capo della chiesa, e poi Filippo da Betsaida, ed anche Natanaele, sicché sommavano a cinque, quanti poco appresso si trovarono uniti con Gesù Cristo alle nozze di Cana. Benché fossero pochi, non tutti dunque gli Ebrei furono indocili alla fede in Gesù Cristo, dopo la solenne comparsa a riva deel Giordano: era peraltro quella una fede ancora debole, e dovea nutrirsi a miracoli dal Salvatore: ed è perciò che la chiesa in questo giorno celebra la memoria del primo, perché sul primo riverbera la luce degli altri. il prodigioso avvenimento è descritto colle sue circostanze da san Giovanni evangelista al capo secondo, il quale dice che tre giorni dopo il colloquio ci Gesù con Natanaele si fecero delle nozze in Cana di Galilea, e che vi era stata invitata la madre di Gesù.”. Fu pertanto, prosiegue san Giovanni, chiamato anche Gesù co’ suoi discepoli a queste nozze: ed essendo venuto a mancare il vino, dice a Gesù sua madre: non hanno più vino. E Gesù le risponde: Signora, che ne importa a me e a voi? non è peranco venuta l’ora mia. Sua madre soggiunse a’ serventi: fate tutto ciò che vi dirà. Or quivi erano sei brocche fatte di pietra ad uso di lavanda secondo Giudei, delle quali ciascuna teneva due o tre mezzaruole. Gesù dice loro: riempite d’acqua le brocche; ed essi l’empierono fino all’orlo. Quindi Gesù loro dice: attingete adesso e portatene al capo di tavola; ed essi gliene portarono. Tostoché dunque il capo di tavola ebbe assaggiata l’acqua trasmutata in vino, egli che non sapea donde quel vino si fosse, ma ben lo sapeano i serventi che aveano attinta l’acqua, chiama lo sposo e li dice: ogni galantuomo presenta prima il vino, e il mezzanello allorché si è bevuto molto; e tu hai serbato l’ottimo vino fino a quest’ora? Fu questo il principio che Gesù diede a’ suoi miracoli in Cana di Galilea, e così manifestò la sua gloria, e in lui cedettero i suoi discepoli”. Queste ultime parole di san Giovanni evangelista, aggiunte alla storia del primo miracolo, rendono ragione chiarissima, perché la chiesa lo celebri nell’Epifania. Fu questa la terza manifestazione solenne della sua gloria, che Gesù mostrò non per altrui mezzo, ma per sé stesso; e Niceforo afferma che Simone Cananeo, il quale secondo lui fu lo sposo, sorpreso da tanto prodigio e riconosciuta la divinità di Gesù cristo, rinunziò alle nozze, e non abbandonandolo mai più, fu computato nel numero degli apostoli. Checché ne sia di ciò, certo è che la virtù di distruggere e di creare, o di cangiar senza mezzi con un atto solo di volontà la sostanza d’una cosa nella sostanza dell’altra, è unicamente propria di Dio, e posta la certezza del fatto è parimenti certissimo l’intervento immediato della divina onnipotenza. Qui non si potea dubitare del fatto: vi era dunque intervenuta la virtù del Creatore- quanto perciò crescesse il fervor della fede ne’ suoi discepoli, lo accenna l’Evangelista: ma noi possiamo inoltre ammirare l’economia del Signore nel manifestare se stesso, e la saviezza della chiesa nella scelta de’ misteri che celebra in questo giorno. Imperocchè la manifestazione a’ Magi servì pei gentili; la manifestazione al Battista servì pe’ Giudei; la manifestazione alle nozze di Cana servì pei discepoli; ed è pur grande conforto il riflettere, che la prima e la terza non fu senza il concorso dolcissimo di Maria o colla sua presenza, o colle sue preghiere. E a questo proposito non dee lasciarsi inosservato quanto valga l’intercession di Maria. Gesù Cristo le parla da quel Dio che egli è, figlio suo, ma pur suo creatore. I suoi miracoli non doveano andare disgiunti dall’insegnamenti suoi; anzi questi doveano precedere, ed essere confermati da quelli. Non avendo ancor cominciata la sua pubblica predicazione, non era tempo di miracoli: Nondum venit hora mea. Potea sembrare ancora, che la vergogna dello sposo per non avere più vino, o che l’allegria quantunque onestissima d’un convito non meritasse un miracolo di prim’ordine: Quid mihi et tibi est, mulier? Che importa a noi? che pretendete da me, creator vostro? Sa tuttavia la Vergine santissima, che per raccomandare agli uomini la fiducia in lei, sentirà la dolce violenza delle sue preghiere; e come dicono alcuno santi padri, ella profeticamente previde ciò che avrebbe operato: Quodcumque dixerit vobis, facite. È abominevole l’audacia di alcuni eretici, i quali preferirono la bestemmia, che Gesù Cristo allora riprese di colpa la madre e la disprezzò. Se egli a lei rivelò l’avvenimento futuro, ed elle mostra di averlo preveduto, le parole di lui non debbono discordare dai fatti. Per me questo miracolo straordinario, operato prima del tempo in grazia di lei, è una conferma anticipata e da lui voluta espressa nell’evangelio di que’ privilegi, che egli concede al patrocinio di Maria nel cielo. Chi mai potrà disperare della sua salvezza, che pur si volle e si brama da Gesù Cristo, se pentito richiede d’aiuto la madre di Dio? Egli libero del suo beneplacito, a desiderio di lei, perché non manchi il vino ad un convito, cangia le leggi della natura, ed opera da creatore, prima che sia giunto il bisogno d’autenticar con miracoli la sua dottrina: terrà egli dunque inflessibile il flagello dell’ira, se per anime da lui redente Maria pietosa lo prega a disarmare la mano? Dovunque fu predicato, o si predicherà l’evangelio, questo tratto di clemenza che previene le altrui necessità, questa forza d’intercessione che quasi accelera l’onnipotenza divina, questo singolar privilegio di ottener miracoli innanzi tempo, animò sempre ed animerà la chiesa ad invocare Maria; né l’intercession di Maria mai fallirà, purché si faccia quello che Gesù vuole: Quodcumque dixerit vobis, facite.
L’evangelista san Giovanni conchiude questa narrazione con attestare che questo fu il primo miracolo di Gesù Cristo. Non fu dunque solo, ma ne seguirono molti altri; e rinnovarsi la memoria del primo in questo giorno, perché si ammiri con esso la luce divina che splende nella sua missione. Egli è perciò che alcune chiese, come la chiesa d’Africa e la chiesa di Milano, al miracolo di Cana aggiungeano nell’Epifania la moltiplicazione prodigiosa de’ pani e de’ pesci: ma inteso rettamente lo scopo dell’odierna festa, s’intende altresì che questo non era necessario; perché la divinità di Gesù Cristo e l’imperio di lui sulla natura non isfolgorò meno nel frenare ad un cenno i venti e le tempeste, nel passeggiar come in terra sopra le onde del mare e sostenervi Pietro da lui lontano, nel richiamar dalla morte alla vita la figliuola di Iairo, il figliuol della vedova e Lazzaro imputridito; e finalmente nel resuscitare se stesso dopo che fu morto e guardato al sepolcro con armi da’ suoi nemici. È dunque celebrata nel primo la divina virtù, che operò tutti gli altri miracoli, e non solo per sé, ma per mezzo ancora degli apostoli e de’ santi, ne’ quali è tutta sua; talché restando perpetua nella vera chiesa, vuol che da ciò si riconosca qual ella sia, non altramente che in lui per quella stessa divina virtù fu riconosciuta la sua divinità. Ella è pertanto inutile quistione quella del giorno, in che sono accaduti i misteri dell’Epifania. Quantunque sia molto probabile per la tradizion della Chjesa, che i Magi adorassero Gesù Cristo a’ sei di gennaio, e che nell’anno trentesimo dell’età sua ricorrendo questo giorno stesso fosse Gesù Cristo battezzato nel fiume Giordano; non è facile conciliare col giorno medesimo l’avvenimento del primo miracolo. quindi è da credere che la chiesa romana congiunga tre misteri nell’Epifania, non perché siano avvenuti in un giorno stesso; ma per la connessione del fine a tutti comune. Ad egual modo nella venuta e nell’adorazione de’ Magi, non sono tre soli personaggi, che la chiesa considera; ma tutti re, tutti popoli delle genti che dalla predicazione degli apostoli al finimondo si convertirono, e si convertirono alla fede di Gesù Cristo. Se non saranno illuminati da una stella nel cielo, sarà sempre la grazia di lui che li chiamerà; e nessuno potrà conoscerlo, se non prima egli non manifesta se stesso, a cui vorrà. È pensiero talvolta molesto ad intelletti deboli nella fede, perché mai Dio, padre comune degli uomini, abbia permesso anticamente, e permetta ancora che non tutte le sue ragionevoli creature conoscessero, o conoscano la religione da lui rilevata, e quella vera chiesa, fuor della quale non v’ha salute. E benché sia temerità voler chiedere a Dio ragione di sua provvidenza nell’ordine della natura, e molto più nell’ordine della natura, e molto più nell’ordine della grazia, quasi non possa egli tra gli uomini esser benefico a suo beneplacito; vi ha nondimeno all’occhio d’un filosofo cristiano nella storia universale de’ popoli un’apologia che perpetuamente giustifica le vie del Signore. Non è la sola divina misericordia, che dee risplendere nel mondo popolato da libere e sperro peccatrici anime. La misericordia precede, e le nazioni consola che a Dio si convertono: ma quando in une l’abuso delle sue grazie sarà pubblico e pubblicamente protetto, succederà la giustizia, dove regnò la divina misericordia; e mentre questa ad altre passerà, la chiesa ristorerà le sue perdite con nuove conquiste auferetur a vobis regnum Dei, et dabitur genti facienti fructus eius. Quando Israele era il popolo prediletto di Dio, parea che gli altri da lui fossero abbandonati; eppur non era così nel segreto della sua giustizia. Compievasi il mistero maggiore di questa sua provvidenza, che avrebbe svelato egli stesso nella pienezza de’ tempi. Imperocchè la sinagoga, rea del più grave delitto commesso fra gli uomini, inaridì come il fico da Gesù maledetto, e in onta di lei fiorì di frutti carica la chiesa, e coprì co’ suoi rami la terra. Ed è per lo appunto la vocazione de’ Magi il primo lume che stenebra questo mistero. Così credo io che non come sola, ma solamente come prima sia celebrata dalla chiesa in questo giorno quella straordinaria maniera d’Epifania, onde dopo il suo battesimo fu manifestata sulla sponda del Giordano la divinità e la gloria di Gesù Cristo. Poiché la voce del suo divin Padre tuonò più forte ancora sopra il Taborre, ed egli di maggior luce apparve coronato in quella sua trasfigurazione di gloria davanti ai discepoli: e più splendida eziandio sarà stata la comparsa di lui nella sua risurrezione, come incomparabilmente più splendida sarà nel giudizio; e nel suo pieno meriggio si fermerà, quando a perfetta beatitudine de’ suoi manifesterà tutto sé con sempre nuovo spettacolo di gloria nella eterna epifania del cielo.