29 Gennaro
SAN FRANCESCO DI SALES VESCOVO
Tre leghe lungi da Annecy città della Savoia è il castello di Sales che dà il nome ai Conti di quella famiglia. Ivi da Francesco signore di Sales di Boyssi di Ballayeson e Villaroget, e da Francesca di Sionas, illustri per sangue non meno che per la pietà, l'anno 1567 a' 21 di agosto primogenito nacque il nostro santo. Francesco egli venne chiamato dal nome di entrambi i genitori, avuto altresì riguardo alla camera, ove surse alla luce, detta di san Francesco. Come che venuto al mondo di soli sette mesi, debole al sommo e di ben dilicata complessione, ne' primi anni si ebbe molto a temere della vita di lui. Ma Iddio questa serbò all'ornamento del suo casato, all'onore della Savoia, all'amore di tutto il mondo, al sostegno della cattolica chiesa. Pertanto superati i pericoli dell' infanzia ei venne grande e robusto, di amabile aspetto, di maschile bellezza.
A cotaii doti Francesco accoppiò singolare docilità, perspicace ingegno, eccellente memoria, pronto concepimento, sodo giudizio. Di buon' ora la madre colle parole e coll'esempio in cuore gl'instillò massime di virtù, sentimenti di pietà. In fatti appena il bambino cominciò a parlare, ripeteva spesso: «il mio Dio e mia madre mi amano molto». Questa in oltre gli leggeva levite de' santi unendovi delle riflessioni adatte alla capacità di lui, lo conduceva alla chiesa facendogli concepire pel luogo santo e per le cose tutte della religione un profondo rispetto, lo menava con sé alla visita de' poverelli e degli ammalati porgendo per mano di lui, che molto in cuor ne gioiva, assistenza a questi, limosine a quelli.
Era Francesco in età di sei anni quando il conte di Sales a formarlo buon cattolico e gentil cavaliere lo pose nel collegio pria della Rocca, poi di Annecy. Nell'uno e nell'altro collegio egli attese con gran premura allo studio e a tutti gli esercizi di religione, ond'era agli altri giovanetti additato per modello. Il padre dopo alcun tempo lo mandò in Parigi, e nelle scuole dei padri della Compagnia di Gesù ei dette opera alla rettorica, alla filosofia; apparò il greco, l'ebraico, la teologia; e si occupò eziandio della cavallerizza, della scherma e della danza. Per verità Francesco non aveva inclinazione alcuna per questi esercizi di corpo, tuttavia non osò trascurarli atteso il volere paterno. In quella città menava una vita di ritiro, dando più ore ogni giorno alla orazione, alla lettura di libri divoti, alla visita delle chiese. Egli frequentava più d'ogni altra quella di santo Stefano des-Grès, perché prossima al luogo di sua dimora e lontana dai clamori della città. Quivi un giorno per mano di Maria santissima, cui fino dall' infanzia professava la più sincera e tenera divozione, fece voto a Dio di perpetua verginità.
Finito ch'egli ebbe in Parigi i suoi esercizi, per ordine del padre ritornò al castello natio, donde si condusse poco dopo in Padova per attendere allo studio delle leggi civili e canoniche, nelle quali da ultimo, con grand' applauso di tutta l'università, di 24 anni dichiarato venne dottore. In mezzo alla corruttela presso che generale degli studenti, che i vi accorrevano da tutte parti per la celebrità dei professori, Francesco conservò sempre illibato il suo pudore; e coll'aiuto del cielo potè render vane le trame insidiose ed i più occulti aguati dei discoli, i quali osarono pii1 d'una volta di esporre ad aperto pericolo la sua pudicizia. Conseguentemente tra per le angustie e gli sforzi fatti a tutt' uomo affine di star saldo in sì perigliosi incontri, ne' quali cade talvolta anche la più matura virtù; tra per le veglie, i digiuni, le discipline, i cilici che raddoppiò affine di tener pienamente la carne soggetta allo spirito; e per l'assiduità allo studio in fermò gravemente. Da cotal malattia, nella quale diede a vedere quant' ei distaccato fosse dal mondo, e quanto bassamente pensasse di sé, fu liberato diresti quasi a prodigio. Di ritorno quindi stabilmente fra suoi viaggiò per Roma, Loreto, Ancona e Venezia. Sebbene Francesco in questi luoghi non trascurasse di osservare attentamente quanto v'ha di raro e magnifico, dacchè il padre gliene avea fatto comando, e da lui altresì n'attendeva un'esatta relazione; nondimeno più giorni accordò alla sua pietà, pascendo la bell'anima sua di santi pensieri ed affetti alle tombe de' Principi degli apostoli e di tanti martiri insigni;
e meditando in oltre con abbondevoli lagrimc di grata riconoscenza il mistero ineffabile dell' incarnazione del Verbo nella santa casa della Verginella di Nazaret. In questo viaggio, delizioso tanto per l'anima sua, ebbe a comprovarsi apertamente per ben due volle la cura speciale che Iddio aveva di lui. Poiché in Roma costretto una sera per la indiscretezza o piuttosto capriccio del suo albergatore a cangiare di alloggio ch'avea preso al di là del fiume, avvenne che le acque del Tevere per la dirotta pioggia sopravvenuta crebbero fuor di misura, e nella notte medesima svelsero da' fondamenti la casa, ch'ei aveva abbandonata poche ore prima, colla morte di quanti v'eran per entro. In Ancona poi fatto uscire a forza da una feluca, ove mediante lo sborso del pattuito prezzo era già entrato per andare a Venezia, vide co' propri occhi poco lungi dal porto per una improvvisa tempesta affondarsi la feluca stessa, senza che un solo de' viaggiatori o marinari potesse salvare la vita, tutto che vicino alla spiaggia. In seguito egli fece ritorno in seno della sua famiglia, che lo accolse colle più vive dimostrazioni di affetto e di gioia.
Intanto la fama della sua dottrina e de' suoi illibati costumi lo avea precorso in Savoia. Per lo che giunto appena colà fu ricevuto per avvocato nel celebre senato di Chambery. Lieto il conte di Sales dell'ottima riuscita che il figlio avea fatto nelle scienze e nella pietà, e da lui come dal suo primogenito ripromettendosi nuovo lustro alla casa, gli conchiuse un ricco ed onorevole matrimonio, e gli ottenne in pari tempo dal duca di Savoia la nomina ad una carica di senatore. Risoluto Francesco di abbracciare lo stato ecclesiastico, obbligato già con Dio a perpetua verginità pel voto fatto, rispettosamente ricusò l'uno e l'altra, senza mani festare per altro in tal congiuntura al padre il motivo di siffatta sua determinazione. Bensì lo confidò al suo cugino Luigi di Sales canonico della cattedrale di Ginevra, scongiurandolo ad ottenergli il bramato assenso da' genitori, i quali tutt'altra mira avevan su lui.
Il canonico condiscese volentieri alla sua domanda: ma nell’occuparsi con felicità di successo appo i coniugi di Sales in pro di Francesco, per lui medesimo richiese ed ottenne dal papa la nomina alla prepositura della chiesa ginevrina allora vacante, senza averne antecedentemente fatto parola con chicchessia Laonde se Francesco ebbe non poco a gioire sentendo ottenuto il consentimento da' suoi genitori, pel quale potea senza ostacolo consacrarsi al Signore; alieno affatto com'era da ogni onorificenza o sentimento di ambizione non potè non raccapricciare altamente trovandosi con bolle apostoliche del 7 marzo 1593 nominato alla dignità di prevosto. Comunque di mala voglia gli fu forza di cedere, e conseguentemente a 12 maggio dello stesso anno ne prese il possesso.
Poco stante Claudio di Granier vescovo di quella chiesa, il quale avea ben conosciuto la purità del cuore, l'eminenza del sapere, e tutte le altre doti di Francesco, lo promosse agli ordini sacri, e a lui diacono appena affidato volle il ministero della divina parola. Nel quale avendo egli frammischiato la prima volta alcuni punti di controversia, con vinse con le sode ragioni tre celebri e famosi calvinisti, e con la sua eloquenza e pietà cavò dagli occhi di tutto l'uditorio abbondevoli lagrime. E se in quel primo discorso mescolò egli alcun che dell'umana sapienza, fu tuttavia corretto dall' evangelica; sicché la
virtù della croce non ne restò diminuita, come dal fin qui detto può facilmente raccogliersi. Gli applausi e le lodi, che in tal circostanza egli e tutti i suoi ricevettero, furono senza numero; anzi il vescovo Granier che v'era presente non potè a meno di lodarlo in pubblico nella gioconda commozione
del suo cuore e nelle dolci lagrime che gli cadevan dal ciglio . Innalzato poscia al sacerdozio Francesco apparve ricolmo dello spirito apostolico, e tutto infiammato di zelo per la salute delle anime : al quale oggetto, ed anche per isfuggire gli elogi che riscoteva in Annecy, con maggior sua gioia si conduceva a predicare spesso ne' borghi e villaggi vicini, affine d’istruire i poveri della campagna d'ordinario ignoranti delle cose di religione. Egli era intendo pari tempo a proscior dalle colpe i peccatori colla sacramental confessione ed in questo caritatevole uffizio solea sempre preferire i più poveri e schifosi, desiderare i più fetidi e piagati, siccome quelli, solea dire «a quali poteva forse mancare chi volentieri si occupasse di loro»; nascondendo sotto questo specioso pretesto la sua carità. Se non che Iddio a coltivar gli assegnava un campo quanto più vasto, altrettanto deserto per l'empio saccheggio cui avea soggiaciuto. Era questo l’intero ducato di Chablais coi tre circostanti baliaggi di Gex, di Ternicr e di Gaillard, ne' quali, siccome altrove, l'eresia di Calvino sbucata dalla vicina Elvezia dominava secura, dopo averne colla seduzione, colla prepotenza e colle armi bandita la cattolica fede. In quel torno Carlo Emanuele duca di Savoia aveva ricuperalo al suo dominio que' luoghi, e volgendo in mente l'unico pensiero di farvi sulle ruine dell'error dominante trionfar come prima la religione cattolica, ne scrisse con calore al vescovo di Ginevra. Questi a cagione dell'età e dell'inferma salute trovandosi impossibilitato ad occuparsene di persona ad onta del vivo suo desiderio, congregò all'uopo il suo clero per venire alla scelta dei mezzi opportuni: ma quest' impresa venne riguardata da tutti piena non solo di pericoli, che anzi di un disperato successo, e quindi non fuvvi un solo ecclesiastico che assumer volesse siffatta missione. Allora Francesco ardente di zelo per la salute delle anime spontaneamente si offrì per anelarvi, né l'autorità del padre, le lagrime della madre, le preghiere degli amici, atterriti altamente dai pericoli cui andava senza dubbio ad esporsi, valsero a ritrarlo dal suo pensiero. Laonde preso congedo dai suoi e la benedizione dal suo vescovo, seguito dal cugino canonico di Sales che mosso da sì bell'esempio gli si esibì a compagno, nel settembre dell'anno 1594 lieto partì per la sua missione, Pria di entrar nel ducato s'inginocchiò, fece fervorosa orazione a Dio, poi abbracciando il cugino gli disse: “Noi entriamo in questo paese per farvi la funzione di apostoli. Se vogliamo riuscirvi, bisogna imitarli. Rimandiamo i nostri cavalli, camminiamo a piedi, e contentiamoci com' essi del necessario". Preso allora il breviario e la sacra bibbia, ciò che formava tutto l'equipaggio, a piedi e col bastone in mano proseguì il cammino per istrade alpestri e scoscese. Fissò il suo alloggio nel castello d’Allinges per essere in luogo sicuro. In Thonon prima città del ducato di Chablais, ove a soli sette erano ridotti i cattolici, egli diede principio al suo ministero fecondo di fatiche, di stenti, di ostilità, di persecuzioni. In fatti egli dovea necessariamente due volte ogni dì fare a piedi e a traverso ad un bosco due leghe, poiché da Allinges tanto dista Thonon, e spesso sotto piogge dirotte, e su per geli e nevi asprissime: per celebrare la santa messa al coperto dagl' insulti degli eretici dovea pure ogni giorno camminare in direzione opposta qualche altro miglio, e valicare altresì il fiume Duranza su di una lunga e stretta trave, che ricoperta per lo più di ghiaccio lo sforzava a gittarsi carpone, e a strascinarvi pendendo su la ruinosa corrente colle mani e coi piè la persona -- : fu trattato da mago, da seduttore, da ipocrita, da ministro dell’anticristo, da apostolo del demonio: compri assassini gli attentarono alla vita nella propria abitazione e all'aperto nel bosco: fuggito e con bastoni, assalito colle armi, discacciato a colpi di pietre, per fuggito e vilipeso da tutti: gli vennero chiuse in faccia le locande e le case per obbligarlo a dormire sulla nuda trra, e a passar la notte fredda e piovosa o sotto una tettoia, o a cielo aperto: gli fu tutto negato, e perfino il pane che volea comprare col suo denaro. Ma di questi maltrattamenti indegni e altrettali che sopportava sempre con inalterabile allegrezza, non faceano che vie più animarlo ali' opera grande, per modo che a fronte di tutti gli sforzi dei ministri dell'eresia, i quali avean per anche proibito sotto gravi pene ai calvinisti di andare alle sue prediche, la mansuetudine, la dolcezza, la pazienza, la perseveranza, la carità evangelica e gli esempi della sua vita a poco a poco gli resero umani quegli abitanti, che da principio in piccolo numero, di poi in folla corsero ad udirlo. Né più vi volea che udirlo per rimaner penetrati e convinti delle verità che egli annunziava.
In seguito della conversione di molti calvinisti che apertamente abiuravano
l'eresia nelle mani del santo, questi sostenuto ed aiutato dal duca di Savoia, di consenso altresì del suo vescovo, fece ristaurare in Thonon la chiesa di santo Ippolito, ove con rabbia estrema degli eretici e de' lor predicanti potè la vigilia di Natale dell'anno 1597 celebrare con pompa gli augusti misteri, e comunicare eziandio di propria mano più di ottocento persone.
Frattanto egli addoppiando vie più le sue fatiche, sulle quali Iddio spandeva celestiali benedizioni, faceva ogni giorno meraviglioso guadagno di anime. Ma una pestilenza, che indi a poco afflisse quella città, come diede a Francesco bella occasione di palesare fin dove giungesse il suo zelo per la salute altrui, così bastò per dare all'eresia l'ultimo crollo. Poiché gli eretici più accaniti al veder quest'uomo apostolico dedicarsi generosamente al servigio degli appestati, volare sulle ali della carità ovunque fosser malati, prestare soccorsi indistintamente a tutti per le anime come pei corpi, tanto diversamente dai loro ministri premurosi soltanto di sé si lasciarono vincere, ed abiurarono l'eresia. Altrettanto fecero intere borgate, dove con pubblica professione del cattolicismo vennero erette parrocchie, alle quali si assegnarono cooperatori evangelici. Cosicchè tolti alla fine tutti gli ostacoli, spianate tutte le difficoltà, Francesco nell'anno 1598 ebbe il contento di vedere pe’ suoi continuati sudori bandita da que’ luoghi l’eresia, e ristabilito l’esercizio della cattolica religione.
Il vescovo di Ginevra mosso da un successo cotanto felice richiamò presso di sé Francesco nella mira di addossargli il peso dell' intera diocesi col farselo dichiarare coadiutore nel suo vescovato. A lui in fatto ne fece proposta, ma il santo che conosceva in tutta l'estensione l'ampiezza dei doveri di un vescovo vi si ricusò costantemente, pregandolo a scegliere all'uopo persona più adatta e più degna. A vincerne la ripugnanza non vi volle meno che l'autorità di papa Clemente VIII, che il vescovo implorò colla mediazione dello stesso duca dli Savoia Allora Francesco per timore di opporsi alla volontà di Dio più non ardì di resistere, e dette il suo consentimento: ma lo sforzo che fece per obbedire gli fu cagione di una pericolosa malattia. Ricuperata la sanità si condusse in Roma a piè del supremo Gerarca, il quale da sé medesimo volle esaminarlo. Ciò fatto, il papa, dopo averne encomiato la dottrina in pieno concistoro, si accostò a Francesco, lo strinse affettuosamente al seno, lo baciò, e nel nominarlo vescovo di Nicopoli e coadiutore del vescovo di Ginevra, non senza lagrime di gaudio gli applicò quelle parole dei Proverbi: Bibe, fili, de cisterna tua et fluenta putei tui; deriventur fontes tui foras, et in plateis aquas tuas divide (1). Fece quindi ritorno in Annecy, lasciando in Roma un gran nome e desiderio di sé.
Non molto tempo dopo egli partì per alla volta di Francia, affine di ottenere dal re Enrico IV il permesso di faticare alla conversione del popolo di Gex, dacché questo baliaggio nel trattato di pace conchiuso tra la Savoia e la Francia era stato ceduto ad Enrico. Nella dimora di più mesi,ch’ei dovè fare in Parigi a tale oggetto, raccolse gran frutto dalle sue prediche e da' suoi ragionamenti, co' quali non solo richiamò al retto sentiero molti traviati cattolici, ma ritolse eziandio dall'errore un numero di calvinisti sì grande, che il dotto cardinal di Perron, allora vescovo di Evreux, il quale ne fu testimonio, ebbe a dire: “Non esservi alcun eretico ch'ei non fosse sicuro di convincere; ma che per convertirli bisognava indirizzarli a monsignor coadiutore di Ginevra” . La conversione del ducato di Chahlais che sarà a tutti i secoli una prova del suo zelo per la salvezza delle anime, e quella ancora di tanti traviati cattolici ed insigni eretici operata nella stessa Parigi gli aveano procacciato una stima grande anche presso il re Enrico. Il perché, desideroso questi di ritenerlo in Francia pel bene de' suoi popoli, gliene fece fare istanza dal duca di Epernon colla offerta di una pingue pensione, e di uno de' primi vescovati del regno. Ma Francesco col mezzo dello stesso duca ringraziò umilmente il re, né lasciar volle la povertà della chiesa di Ginevra alla quale era piaciuto al cielo di destinarlo contro sua voglia. Enrico allora gli assegnò una ricca pensione, mal soffrendo che un uomo di tanto merito fosse costretto a vivere con ristrettezza; né Francesco potè ricusare cotanta generosità. Pregò per altro il re di permettergli che il denaro restasse in mano del suo tesoriere, a cui si sarebbe egli rivolto nel proprio bisogno. Il re condiscese a questa domanda, ma ben s'avvide esser questo un gentile rifiuto, perché ammirando il disinteresse di lui non potè non fargliene grandissimi elogi.
Appena ebbe Francesco compiuto ogni suo affare in Parigi, riprese il cammino ver la Savoia. Per istrada ebbe notizia della morte di monsignor di Granier vescovo di Ginevra. Costretto allora a caricarsi della direzione e governo di questa diocesi andò al castello di Sales, e col direttore dell'anima sua vi si rinchiuse per venti giorni, affine di prepararsi alla consecrazione, la quale ebbe luogo agli 8 di dicembre dell' anno 1602 nella chiesa di san Maurizio in Thorens, ove avea egli ricevuto il battesimo. Né qui dee preterirsi che nel momento della sua consecrazione Iddio si comunicò a lui in modo speciale e gli accordò molte grazie, restando per mezz'ora alienato da sensi. Ciò per volere del cielo raccontò egli stesso nella prima predica al popolo, mentr'era pure assorto in estasi; ed ebbe poi gran rossore quando intese da altri, aver egli stesso detto quello che avea fatto proposito di seppellir nell' oblio.
Insignito che fu della pienezza sacerdotale si diede subito ad eseguire quanto nel ritiro avea stabilito per sé, per l'andamento della sua casa, e pel governo dell'intera diocesi. E in quanto a sé, come avea risoluto, vestì sempre abiti di lana, né mai usò veste di seta o di drappo alcuno di prezzo: non tenne né carrozza né lettiga: bandì in oltre dalla sua abitazione i mobili secolareschi e magnifici, ornandola soltanto di pochi quadri di voti: ordinò la sua mensa onesta e frugale, in cui si leggeva sempre o la santa scrittura, o talun libro di pietà: ristrinse il più possibile il numero de' suoi familiari che volle d'illibati costumi e di vita esemplare, assegnando loro il tempo alle faccende domestiche e alla preghiera, alla quale interveniva sovente egli stesso, e trattandoli da padre li esortava, gl'istruiva, li comunicava di sua mano. Ordinata così la interna disciplina della sua casa, quasi morto al mondo non di altro si occupò che del bene de' suoi soggetti. Da quel punto si astenne dalle inutili visite per impiegare tutto il tempo nell'adempimento de' pastorali doveri: prese una cura speciale dei poveri e dei malati, visitandoli spesso e sovvenendoli ne' loro bisogni: stabilì i catechismi, perché la gioventù si ammaestrasse nelle cose della religione: attese singolarmente alla istruzione
del clero, che esaminava di per sé medesimo pria di promuoverlo agli ordini; né conferiva mai questi a chi ne fosse immeritevole: fuggì sempre le liti giusta la dottrina dell'apostolo san Paolo per quantunque gravi fossero i torti a lui fatti; e se pure taluna lite sostenne, fu solo per la difesa dei diritti della sua chiesa.
Incominciò la visita della sua diocesi risoluto di non interromperla mai totalmente, dacché conosceva esser questo l'unico mezzo per far sentire la voce del proprio pastore a tante pecorelle disperse per quelle vaste montagne, e per ricondurre nel tempo stesso all' ovile quelle che se ne fossero allontanate. A que' dì si contavano nella diocesi di Ginevra 430 parrocchie cattoliche. Francesco a piedi tutte le visitò, sebbene molte di esse fossero situate sopra monti di difficile accesso, altre fra orribili precipizi, ed altre nel fondo di valli dirupate. A questo fine egli ebbe non rade volte a passar la notte entro rozze capanne, a dormire su poca paglia, ad arrampicarsi colle mani e coi piè per le balze e per le rocce con pericolo eziandio della vita: e spesso pure gli avvenne di stampare sul terreno orme di sangue per le ferite de' piedi nell'alpestre e lungo cammino. In ogni luogo, siccome padre tenero e benigno co' figli suoi, accoglieva e trattava tutti con somma bontà e dolcezza, spezzava il pane della divina parola adattandolo all'intendimento d'ognuno, udiva le confessioni di quanti accorrevano a lui, amministrava i sacramenti, componeva le discordie, troncava le inimicizie, esortava, correggeva, dava salutari consigli, soccorreva con larghezza i bisognosi, rivestiva gl'ignudi talora spogliandosi delle proprie vesti, visitava gl'infermi e li animava al patire, si faceva in somma tutto a tutti per lucrar tutti a Gesù Cristo (1).
Alcuni deputati di una valle distante circa nove miglia dal luogo ov'egli faceva la visita, vennero un giorno a visitarlo. Questi dopo avergli rappresentato che colla caduta di alcune rupi dalle soprastanti montagne più villaggi e molti abitanti co' lor bestiami erano rimasti schiacciati, lo pregarono perché nella estrema disgrazia e povertà in cui eran caduti volesse aiutarli presso il loro duca per essere sgravati delle tasse, e per ottenere altresì a tanti miseri qualche soccorso. Si commosse a tale racconto il ben fatto cuore di lui, e dopo aver assicurato i deputati di tutto il suo favore presso il principe, si offerse di anelare in persona sul punto a consolar que' poveri e quei tapini. I deputati gli rappresentarono allora esser la strada del tutto impraticabile, ed aver essi medesimi, tuttochè povera gente ed avvezzi a simili fatiche, oltremodo sofferto nel cammino. Il buon vescovo rispose ad essi che in loro compagnia si riprometteva di fare la strada, che essi giusta la dottrina dell'apostolo san Paolo per quantunque gravi fossero i torti a lui fatti; e se pure taluna lite sostenne, fu solo per la difesa dei diritti della sua chiesa.
Incominciò la visita della sua diocesi risoluto di non interromperla mai totalmente, dacché conosceva esser questo l'unico mezzo per far sentire la voce del proprio pastore a tante pecorelle disperse per quelle vaste montagne, e per ricondurre nel tempo stesso all' ovile quelle che se ne fossero allontanate. A que' dì si contavano nella diocesi di Ginevra 430 parrocchie cattoliche. Francesco a piedi tutte le visitò, sebbene molte di esse fossero situate sopra monti di difficile accesso, altre fra orribili precipizi, ed altre nel fondo di valli dirupate. A questo fine egli ebbe non rade volte a passar la notte entro rozze capanne, a dormire su poca paglia, ad arrampicarsi colle mani e coi piè per le balze e per le rocce con pericolo eziandio della vita: e spesso pure gli avvenne di stampare sul terreno orme di sangue per le ferite de' piedi nell'alpestre e lungo cammino. In ogni luogo, siccome padre tenero e benigno co' figli suoi, accoglieva e trattava tutti con somma bontà e dolcezza, spezzava il pane della divina parola adattandolo all'intendimento d'ognuno, udiva le confessioni di quanti accorrevano a lui, amministrava i sacramenti, componeva le discordie, troncava le inimicizie, esortava, correggeva, dava salutari consigli, soccorreva con larghezza i bisognosi, rivestiva gl'ignudi talora spogliandosi delle proprie vesti, visitava gl'infermi e li animava al patire, si faceva in somma tutto a tutti per lucrar tutti a Gesù Cristo (1).
Alcuni deputati di una valle distante circa nove miglia dal luogo ov'egli faceva la visita, vennero un giorno a visitarlo. Questi dopo avergli rappresentato che colla caduta di alcune rupi dalle soprastanti montagne più villaggi e molti abitanti co' lor bestiami erano rimasti schiacciati, lo pregarono perché nella estrema disgrazia e povertà in cui eran caduti volesse aiutarli presso il loro duca per essere sgravati delle tasse, e per ottenere altresì a tanti miseri qualche soccorso. Si commosse a tale racconto il ben fatto cuore di lui, e dopo aver assicurato i deputati di tutto il suo favore presso il principe, si offerse di anelare in persona sul punto a consolar que' poveri e quei tapini. I deputati gli rappresentarono allora esser la strada del tutto impraticabile, ed aver essi medesimi, tuttochè povera gente ed avvezzi a simili fatiche, oltremodo sofferto nel cammino. Il buon vescovo rispose ad essi che in loro compagnia si riprometteva di fare la strada, che essi avevan già fatta , sebbene malagevole, soggiungendo loro queste parole: «Io, figliuoli miei, son vostro padre, obbligato a provvedere da me medesimo ai vostri bisogni». Partì in fatti co' deputati, percorse a piedi le nove miglia impiegandovi un giorno intero, tanto difficile ed aspro era il cammino. Colà giunto mescolò le sue lagrime con quelle di tanti sgraziati , li consolò , diede loro tutto il denaro che avea, ed oltre l' esensione dalle tasse ottenne loro dal duca abbondanti soccorsi. Mentre Francesco tanto bene operava in più parli della sua diocesi, soltanto a pro della città di Ginevra e suoi contorni non potea egli usare delle apostoliche sue cure. Ma per Ginevra, che da circa 70 anni prima era diventata centro e sede principale del calvinismo, che discacciando da sé il proprio vescovo col clero l'avea obbligato a portar la sua residenza in Annecy, per Ginevra non era ancor giunta l'ora del sospirato ritorno alla fede.
Tuttavia l'ingegnosa carità del santo pastore non lasciò mai intentato alcun mezzo per giovare a que' traviati figliuoli. Vi si era già quattro volte condotto pria d'esser vescovo, durante cioè la miss ione dello Chablais, per·conferire d'ordine di Clemente VIII con Teodoro Beza successor di Calvino, capo della setta, oracolo de' Ginevrini. Ma costui, tutto che si appalesasse convinto dalle ragioni che gli addusse Francesco, non ebbe cuore di sostener la vergogna di una ritrattazione presso i calvinisti suoi dipendenti, e di troncare una vergognosa passione da cui era dominato. Donde avvenne, che come allora i
Ginevrini impedirono a Beza di aver nuova conferenza col santo missionario pel timore che quegli aprisse gli occhi alla luce (1); così fin d'allora come uomo alla lor setta nemico e dannoso, e molto più dopo fatto vescovo di
Ginevra l'ebbero in odio, lo cercarono a morte, e ricusarono sempre di venire con lui a pubblica disputa, togliendo così que' ciechi a sé medesimi ogni via per ottenere la vera felicità. Per la qualcosa in quanto a Ginevra e agli altri luoghi tenacemente attaccati all'eresia non rimase a Francesco che il merito del suo buon volere presso Dio.Né il timore di perder la vita trattenne mai il santo vescovo dal procurare la salvezza delle anime. Poiché se dopo ottenuto l'assentimento e l'appoggio di Enrico IV re di Francia per ristabilire la religione cattolica nel baliaggio di Gex, come dicemmo, egli non vi si condusse subito; ciò fu per il sopraggiuntogli peso del vescovato che l'occupò in altre fatiche. Ma regolate appena le cose che sul principio del suo governo gli parvero degne della sua applicazione, vi andò sollecito in compagnia di alcuni ecclesiastici, passando in mezzo alla stessa Ginevra col pericolo quasi certo di cadere in mano de' suoi nemici, pieno di fidanza in Dio che lo difese apertamente. In questo incontro per opera dei calvinisti di Gex fu avvelenato, ma ben si verificò in lui la promessa fatta da Gesù Cristo a' suoi fidi seguaci: Si mortiferim quid biberint non eis nocebit (1). E quivi pure dopo aver abbattuta l'eresia di mezzo a mille stenti e fatiche ebbe la consolazione di veder tante anime ritornate al seno della cattolica chiesa.
Dopo ciò, restituitosi in Annecy, a nuove fatiche e travagli si sottopose quest'uomo veramente apostolico. Ristabilì ne' regolari della sua diocesi l'osservanza esatta delle rispettive lor leggi. V'introdusse nuovi corpi religiosi, e vi fondò ancora un novello istituto, che può a ragione chiamarsi il capo d'opera de' suoi stabilimenti, sotto il nome di Religio se della Visitazione di santa M/aria (2). Poiché con quest'istituto fu sua mente di preparare un luogo di ritiro dal mondo per quelle donne che a cagione dell'età, della non buona salute, e specialmente dello stato loro vedovile non possono in altre religioni professare la vita del chiostro. L'anno 1604 concepì egli la prima idea di questa fondazione, allorché predicando la quaresima in Dijon la baronessa Francesca vedova di Chantal, che oggi veneriamo sugli altari, si pose sotto la sua direzione: e nell'anno 1610 il primo stabilimento, affidato da lui alla direzione della medesima Chantal, ebbe luogo in Annecy, che poi si moltiplicò ben presto e si diffuse per una speciale benedizione del cielo, vivente ancora il santo suo istitutore.
Ma lo zelo ond'avvampava il cuor di Francesco per la salute delle anime non rimase circoscritto dai confini della sua diocesi. Si estese a tutta la chiesa, ed a tutta la posterità. Ciò egli fece coi vari suoi scritti ed opere di pietà che diede alla luce. Fra le quali non può passarsi in silenzio, come nota a tutti, e adatta alla capacità di ognuno l'Introduzione alla ,vita divot , con la quale eg1i medesimo raccolse ubertoso frutto.
In oltre il santo vescovo guidava da sé medesimo un gran numero di anime per la via del cielo. Quindi spendeva intere giornate al confessionale, e buona parte della notte dirigendo per iscritto quelle che da lui erano lontane.
Attirati dalla fama della sua santità e della sua dolcezza accorrevano a suoi piedi da remotissime parti insigni peccatori per isgravarsi del peso enorme de' loro peccati. Siffatta dolcezza tutta propria di lui era figlia di una tenera compassionevole carità, non già di una molle condiscendenza, quasi che egli, come si dierono a credere falsamente alcuni, favorisse il rilasciamento; giacché come si serviva di essa a guadagnare e non a perdere i peccatori, così se ne serviva a formare di questi altrettanti penitenti veraci. cardinal di Savoia, che sul finire dell'anno 1618 andava alla corte di Francia per conchiudere il matrimonio di suo fratello principe del Piemonte con Cristina figlia del re Enrico IV, tolse Francesco a suo compagno in quel viaggio. Stabilite che furon le cose, la principessa Cristina scelse il santo vescovo per suo limosinare, dacché faceva somma stima di lui. Obbligato egli ad annuire alle ripetute istanze che sul proposito gli vennero fatte da . persone, ne accettò l'uffizio a patto di poter risiedere in diocesi non solo, ma di non percepirne l'onorario quando non ne adempisse i doveri. Intanto la principessa sposa, ad investirlo quasi fin d'allora di tale carica, lo regalò di un diamante di molto valore, pregandolo a volerlo conservare per sua memoria. Promise Francesco di farlo, purché i suoi poverelli non ne avesser bisogno. E poiché quella gli soggiunse, che in tal caso si contentasse di darlo in pegno, mentr'essa medesima avrebbe assunto la cura di ricuperarlo: «temerci, signora, le rispose, che coll'accader ciò troppo spesso venissi in fine ad abusare della vostra bontà». In questo suo nuovo trattenimento in Parigi egli riscosse generalmente straordinarie dimostrazioni di stima e di affetto, e vi operò importantissime conversioni. Gli furono rinnovate in tal circostanza ancora le reali premure, affine d'indurlo a rimanere in Francia, ed il Cardinal di Retz vescovo di Parigi fece di tutto, perché accettasse la sua coadiutoria; ma egli fu sempre costante a non abbandonare il grande, penoso e povero vescovato di Ginevra.
Ritornato in Annecy si occupò nuovamente di tutti i doveri propri di un vigilante pastore, porgendo al clero e segnatamente ai parrochi l'esempio nell'esercizio indefesso dell'evangelico ministero. Gli ufficiali del suo vescovato per difesa dei diritti della chiesa, durante la sua ultima dimora in Parigi, gli avevano vinta una lite, per la quale si erano erogate grandi somme di denaro. L'economo di casa, che per le abbondanti limosine ch'egli facea si trovava mancante de' mezzi per supplire ai bisogni della famiglia tutto che limitati, gli propose di esiger dalle parti soccombenti le spese fatte per detta lite. Francesco non vi acconsentì: disse anzi «Iddio mi guardi dal trattar così con chiunque si sia, ma particolarmente con i miei diocesani, che sono pur miei fìgli»: e mandando sul punto a chiamare que' gentiluomini che tanto gli dovevano condonò loro le spese generosamente, contento di poterne in tal guisa riguadagnare i cuori.
Sembrava a dir vero che un nomo qual era Francesco intento sempre a beneficare altrui, adorno di conosciuta santità, ricco di tutte virtù, non dovesse soggiacere alle calunnie ed alle persecuzioni. Tuttavia non avvenne così: egli ebbe a tollerare le une e le altre per opera eziandio di persone beneficate da lui. In realtà egli venne calunniato presso il vescovo Granier suo antecessore quale ipocrita, maldicente, malvagio: presso il duca di Savoia e il re di Francia come macchinatore di sedizioni, di turbolenze, come nemico del sovrano e dello stato: presso il sommo pontefice come un uomo indolente, senza zelo, anzi nocivo alle anime. Oltre a quanto soffrì nella missione dello Chablais, fu bene spesso ricoperto di villanie, di oltraggi, di vituperi, d' insulti; fu infamato con satire e con libelli ancor sottoscritti; gli vennero scaricati contro due colpi di pistola nella pubblica strada: ma Francesco in ogni occasione osservando il silenzio, e dando sempre chiara prova della umiltà, pazienza, mansuetudine, carità, di cui era abbondevolmente fornito, rimise a Dio la propria giustificazione dalle calunnie, pregò con calore pe' suoi avversari, li beneficò, e giunse colle sue preghiere appo il duca di Savoia a liberar dalla morte, cui era stato già condannato, quello che tentò di togliere a lui la vita.
Frattanto a causa delle immense fatiche, sostenute sempre con tutto l'ardor dello spirito per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime, la di lui sanità veniva a poco a poco mancando. Per questo motivo ottenne in qualità di coadiutore nel vescovato di Ginevra il suo fratello Giovanni Francesco, uomo adorno di dottrina e virtù. Questi era già vescovo e limosini ere in sua vece della principessa Cristina. Francesco addossò al fratello quegli uffizi più faticosi che per mancanza di forze adempiere non potea da sé medesimo.
Si era per altro riservato il ministero della parola, che esercitava il più spesso possibile, facendo eziandio con frequenza il catechismo nel suo palazzo vescovile per istruire la gioventù nelle cose di religione.
Così decorse alcun tempo, quando egli cominciò a presentire già prossimo il suo fine: e ciò disse pure a' suoi amici partendo da Annecy diretto ad Avignone al terminar dell'anno 1622, ove lo attendeva il duca di Savoia
(1) L'anno 1610 Antonio Fabro uomo virtuoso ed intimo amico del nostro santo, essendo stato innalzato dal duca di Savoia alla dignità di primo presidente del sovrano senato in Chambery regalò a lui il proprio palazzo di Annecy; lasciando allora il buon vescovo la casa che teneva in affitto, come avean fatto i suoi antecessori, abitò sempre questo palazzo, avendo scelto per sé un piccolo camerino in cui altro non v'era che un Crocifisso, un tavolino, una sedia, ed il letticciuolo.
andatovi per abboccarsi con Luigi XIII re di Francia, il quale ritornava vittorioso dalla guerra contro gli Ugonotti nella Linguadoca. Mentre il re faceva la sua entrata solenne in Avignone, Francesco anzi che trovarsi presente pompa, alla passò quel tempo in unione con Dio nella preghiera. Obbligato quindi a seguire la sua corte in Lione, più ragguardevoli personaggi fecero dargli l'alloggio in quella città. Ma egli dopo averli ringraziati cortesemente, abitò nella camera dell'ortolano delle religiose della Visitazione per imitare in qualche guisa la povertà di Gesù Cristo.
Per soddisfare al desiderio comune predicò sebbene indisposto in Lione la vigilia ed il giorno di Natale. Il dì 27 dopo celebrato l'incruento sacrificio cadde in una eccessiva debolezza. Questa fu seguita da un colpo di apoplesia della quale dopo ricevuta l'estrema unzione morì il giorno seguente 28 dicembre 1622 in età di anni cinquantacinque, venti de' quali passò nel vescovato.
Dalla stima generale in che era meritamente tenuto può di leggieri immaginarsi quale per l'avvenuta morte fosse la dispiacenza appo ogni classe di persone. In adempimento della sua volontà la spoglia mortale di lui venne portata in Annecy, e sepolta nella chiesa delle sue figlie le monache della
Visitazione. Il suo cuore poi chiuso in una scatola di piombo restò in Lione nella chiesa delle religiose dello stesso ordine (I).
Il corpo di Francesco di Sales vescovo di Ginevra nell'anno 1661 fu dissotterrato per riporlo in una cassa d'argento sotto l'altar maggiore della chiesa stessa, avendo in quell'anno Alessandro VII beatificato il servo di
Dio. L'anno poi 1665 a' 29 di aprile fu canonizzalo dallo .stesso pontefice, che ne assegnò alla festa il giorno 29 di gennaro, nel quale il corpo del santo venne da Lione portato ad Annecy.
L'officio di san Francesco di Sales dalla sacra Congregazione de' Riti venne approvato a' 18 settembre del seguente anno 1666, e a preghiera del duca di Savoia inserito nel breviario romano per ordine dello stesso pontefice.
Negli esempi delle virtù luminosamente praticate dal santo in tutta la sua mortale carriera, nella celeste dottrina di cui sono ripieni gli aurei suoi scritti, trovi o lettore, chiunque tu sia, il mezzo certo e sicuro per esserne imitatore in terra e compagno nella gloria che non avrà mai fine.
(DI MONSIGNOR EMIDlO GENTILUCCI)