23 Gennaro
SAN RAIMONDO DI PEGNAFORT
Il dar la storia de' sommi uomini, e di quei specialmente che fissarono l’attenzione del secolo in cui vissero, e de' futuri, qual si fu san Raimondo da
Pegnafort terzo maestro generale dell'ordine dei predicatori opera è di gran lena atta a riempiere grandi volumi colla semplice narrazion delle gesta anziché poche pagine, secondochè esige la natura di una compendiosa leggenda.
Nondimeno come a traverso di una lente si raccolgono i raggi di una vastissima e brillantissima prospettiva,raccoglieremo noi qui le luminose azioni di una vita di cento anni tutta impiegata nell'esercizio delle più sublimi virtudi, tutta rivolta al progresso delle scienze, al bene delle cattoliche scuole, e del .suo Ordine non meno che dei regni di Spagna, della santa Sede e di tutta la Chiesa. Nella Catalogna provincia assai ferace e deliziosa, e precisamente nel suo castello di Pegnafort correndo l'anno di Cristo 1175 sotto il pontificato di Alessandro III da nobilissimi genitori discendenti dagli antichi conti di Barcellona, e per affinità coi re d'Aragona congiunti ebbe Raimondo i natali.
Fin dai più teneri anni sfavillarono nel bennato garzone le più rare doti di bontà e d'ingegno, che nudrite da nobile e cristiana educazione dettero i più lieti presagi di sua futura grandezza. Trascorsa negli esercizi di una soda pietà la sua prima gioventù,cominciò subito nel corso degli studi a di scoprir l'eccellenza de' suoi talenti con sì rapido e felice progresso nelle scienze, che di venti anni imprese a dare lezioni pubbliche di filosofia in Barcellona. Il disinteresse mostrato nel ricusare ogni stipendio, la superiorità con che esercitava cotesto difficile impiego resero tosto celebre il suo nome; onde non solo vedevasi alle sue lezioni un prodigioso concorso, ma gli stessi più abili professori non si adontavano nei loro dubi di consultarlo.
Inteso peraltro·a formare più il cuore che lo spirito de' suoi discepoli, con uno zelo illuminato, prudente e vivo,mentre spiegava loro le sottigliezze e rarità di un scienza così sublime, sapeva nel loro animo istillar la pietade,
ed eccitarvi l'amore delle più perfette virtù . Conciliatasi pertanto la benivoglienza e la stima di' tutti potè fin d'allora a tutti far bene, soccorrere gli infelici riunire gli spiriti divisi, e terminare le differenze che tra i suoi concittadini.
Dopo aver resi i suoi primi servigi alla patria, in età di quasi trent'anni ne parte, e in compagnia di Pietro Rubere ecclesiastico di gran virtù e poscia domenicano, muove per l'Italia col nobil disegno di perfezionarsi nella scienza del diritto canonico e civile. Giunto pertanto in Bologna, e fatto con raro esempio in quella sì celebre università nuovamente discepolo, cosi divide il suo tempo tra l'orazione, la lettura e le opere di carita verso il prossimo, che diviene ogni giorno più dotto, più umile, più raccolto. L’indefessa applicazione allo studio lo pose tra pochi anni non solamente in istato di conseguire la laurea di dottore in ambe le leggi , ma di coprire eziandio la cattedra di canonica nella stessa università rinunziando come in Barcellona qualunque emolumento. Il senato per altro tocco l'animo d’ammirazione e gratitudine amando felicitarsi dello stabile acquisto di un professore di tanto merito, volle assegnargli sulle rendite pubbliche un onorario, cui Raimondo accettò per distribuirlo ai poveri, siccome fece dopo averne pagata la decima al suo curato. Ma diversi erano sopra di lui i disegni del cielo. Il vescovo di Barcellona Berengario, quarto di questo nome, tornando da Rom a passò per Bologna l' anno 1219, e ravvolgeva nell'animo il disego di ottenere da san Domenico alcun i de' suo i discepoli per istabilire1 ordine in Barcellona e d'indurre Raimondo di Pegnafort a seco riedere in Catalogna .
Per parte del santo Patriarca, cui la provvidenza forniva ogni giorno il contingente per l'apostolico ministero, furono le di lui brame appagate. Ma per quella del professore trovò maggiori difficoltà, sì dal canto di Raimondo che non aveva cuor e di abbandonare un paese ove raccoglieva a gloria di Dio abbondantissimi frutti di spirito e di santità, sì dal canto della università e del senato che non volevan privarsi di uno dei più belli ornamenti della loro classica scuola, e che era un oracolo ad una infinità di persone che da tutte parti venivano per consultarlo. Quindi alcuni autori hanno creduto , che per vincere la nobil gara Onorio III pontefice massimo abbia le vive istanze del ve scovo munite di un suo comando, aggiungendo che in Ispagna dovea prender cura della educazione del giovane re di Aragona Giacomo I a norma delle risoluzioni degli stati in Lerida adunati. Il santo incontanente ubbidì.
Reduce però in patria non alla istruzione attese di questo principe, sì bene al servigio degli altari, al soccorso dei miseri e dei tapini, alla salute di tutti. Il vescovo lo provvide di un canonicato nella sua cattedrale, e lo promosse successivamente alle dignità di archidiacono, di vicario generale, di suo speciale rappresentante. Ma egli della dignità si valse per la riforma del capi tolo e del clero, e le accresciute rendite impiegò parte al decoro del tempio santo, e segnatamente a fondare il solenne uffizi o della festa di nostra Donna Annunziata cui trascuravasi nelle chiese di Spagna, parte al sollievo dei poveri e grami ch'egli appellava suoi credi tori. Siccome la sua carità senza limiti assisteva a tutti, così era da tutti amato e rispettato. Nondimeno il desiderio di menare una vita più penitente e perfetta, e meno esposta agli occhi degli uomini de' quali temeva le lodi, lo indusse a ritirarsi nel chiostro. Aveva egli per lo addietro ammirata in Bologna l'esimia virtù di san Domenico Guzman, e l'operazione dei prodigii che accompagnavano il suo apostolato . C on eguale ammirazione e piacere vedeva la vita tutt'angelica de suoi primi discepoli stabiliti poc'anzi i n Barcellona, quando la voce di
Dio lo chiamò a divider con essi le fatiche e le cure per la gloria dell'Altissimo, e in edificazione del corpo di Cristo. Avendo pertanto domandato umilmente l'abito dei frati predicatori, lo ricevè nel quarantesimo settimo anno dell'età sua, il venerdì santo, primo di aprile del 1222, ed otto mesi dopo il transito del santissimo fondatore.
L’esempio di un dottore di tanta rinomanza non fu senza imitatori giacché molti gran personaggi chiari non meno per folgore di nobil lignaggio e di dovizie, che per la loro pietà e dottrina, lo seguirono nel claustrale ritiramento, e nuovo lustro accrebbero all'ordine di san Domenico in tutta
la Catalogna (1). Niun novizio però al pari di Raimondo mostrò più di umiltà, di ubbidienza e di fervore. Fisso avendo nell'animo di rendersi più perfettamente simile al gran modello di tutti i santi, egli volle dipendere in ogni cosa dai lumi di un direttor e, e sopra la più perfetta abnegazione di sé medesimo pose le fondamenta di quella sublime santità che era l'oggetto continuo de' suoi voti. Le grazie che Iddio gli accordava nell'esercizio della preghiera lo rendevano sempre più vigile alla propria mortificazione, e sempre più ardente nel procurare il bene dei prossimi. Avendo per ciò chiesto ai suoi superiori una rigida penitenza per espiare, com'egli diceva, le vane compiacenze avute talvolta i segnando nel secolo, gli venne ingiunto di comporre con questo spirito una somma di casi di coscienza. Senza che avesse innanzi agli occhi alcun modello si applicò al difficil lavoro, e questa sua opera divisa in tre libri ugualmente utile ai penitenti e necessaria ai dottori secondo l'espressione di Clemente VIII (1), è la prima che siasi veduta in questo genere. L'autore tenendosi sempre lontano del pari da un rigore eccessivo che spinge alla disperazione, e da un' indulgenza arbitraria, che cerca scusare ciò che il vangelo condanna, nulla aggiunge a quanto la legge prescrive, né infievolisce dei precetti la forza, ma appoggiato sulla sacra scrittura, sulla tradizione dei padri, sull'autorità dei canoni e dei decreti di santa chiesa, si contenta di spiegarli, di mostrarne lo spirito e l'estenzione, e di farne l'applicazione ai casi particolari, ch'egli tutti dalle loro difficoltà scevera e decide. Questo è il giusto mezzo che si osserva in lutti gli scritti del nostro santo, e che è desiderevole mantengasi dai moralisti.
Posciachè la ubbidienza gli mise una volta la penna in mano, Raimondo aggiunse ben tosto ad una occupazione così santa ed utile al prossimo le altre funzioni dell'apostolica vita, alle quali si era pezza fa preparato col ritiro e colla orazione. Istruire i fedeli mediante il ministero della divina parola, invitare i peccatori alla penitenza e riconciliarli con Dio nel sacro tribunale, sostenere le persone dabbene e consolarle nei loro travagli, procacciare ai poveri le limosine e i soccorsi dei ricchi, adoperarsi senza riposo la conversione degli eretici, dei giudei e dei mori mescolati tuttavia tra i cristiani, o metterli fuor di stato di continuare a corrompere la fede e i costumi dei fedeli, e finalmente far servire tutto il suo credito appresso i re ed i principi alla gloria della chiesa ed al sollievo dei popoli; tali furono le occupazioni di san Raimondo di Pegnafort dal giorno della sua religiosa professione fino a quello della sua morte, cioè a dire per lo spazio di cinquanta, o di cinquantadue anni.
Fin dal principio dell'ottavo secolo i Saracini divenuti padroni di quasi tutte le provincie di Spagna vi dominavano da tiranni. Sebbene i principi cristiani avessero contro essi rivolte le invitte armi, e nel secolo XIII i re di Castiglia, di Aragona e di Navarra avessero riportate sopra di essi molte grandi vittorie e tolta una parte del loro impero, pure quest'infedeli possedevano interi regni e molte piazze forti sulle frontiere dei paesi soggetti a cristiane potenze, d'onde facevano frequenti scorrerie sulle loro terre mettendo a sacco e fuoco le case, traendone fuori i pacifici abitatori, stringendoli di servile catena, e duramente trattandoli nella più barbara servitù.
Il nostro eroe non poteva non essere oltremodo commosso alla vista lacrimevole di tanti mali. Non potendo però tutto fare per sé medesimo, lo faceva per quelli che lui avevano eletto loro guida nel cammino del cielo. Tra i molti suoi penitenti due ne contava chiarissimi, l’uno di nazione francese ed era san Pietro Nolasco, l'altro don Giacomo I re di Aragona. D'ambidue si valse nell'ardua impresa di salvare i cristiani, e convertire o raffrenar gl'infedeli. Compiacquesi Raimondo d'aver trovato nel cuore di san Pietro Nolasco gli stessi suoi sentimenti di compassione e di zelo. Sicchè questi due
gran santi animati come da un solo spirito danno opera alla redenzione dei poveri schiavi, ed illuminati particolarmente da Dio gittano la pietra fondamentale dell'inclito Ordine della Mercede.
Spuntò l'aurora del giorno di san Lorenzo, decimo di Agosto 1223, e il re di Aragona, accompagnato dai predetti servi di Dio e seguito da tutta la sua corte, recossi alla chiesa di santa Croce cattedrale di Barcellona. Monsignor vescovo Berengario pontificalmente celebrò, e san Raimondo arringando dopo cantato il vangelo rivelò in presenza di quell'augusta assemblea, che Iddio s'era degnato manifestare al re, a Pietro Nolasco, a lui. Medesimo la sua volontà, che fosse fondato un ordine destinato a riscattare i fedeli gementi
sotto i ferri dei Saracini. Un grido di giubilo uscì spontaneo e lietissimo da ogni labbro, ed echeggiò per le superbe volte del tempio. Lo stesso san Raimondo scrisse le costituzioni adattatissime allo spirito dell'ordine, le fece approvare da papa Gregorio IX, ed avendo dato l' abito colle sue proprie mani a Pietro Nolasco lo creò primo superior generale del novello istituto (1). Mentre il santo perfezionava l'opera del Signore a vantaggio dei fedeli ritenuti in servitù, si adoperava altresì col suo zelo per ritirare i peccatori dalle vie della iniquità, ed inspirare al giovane re di Aragona sentimenti degni di un seguace di Cristo, e di un sovrano che formar doveva la felicità de' suoi popoli e la consolazione della chiesa. Correva l'anno 1229 quando Gregorio IX pontefice massimo inviò in lspagna legato a latere il cardinale Giovanni d'Abbevilla vescovo di Sabina all'oggetto 1 °, di esaminare la validità del matrimonio di Giacomo I colla principessa Eleonora di Castiglia sua prossima parente, 2° di eccitare i principi ed i popoli cristiani alla guerra contra i mori, 3di bandire cotesti barbari dalle usurpate province a danno ed onta del nome cristiano . Il legato adunò un concilio a Tarragona, ove il re si trovò in persona, e san Raimondo ebbe l'onore di accompagnarlovi.
Il matrimonio fu dichiarato nullo dai vescovi dei due regni; ma l'infante don Alfonso loro figliuolo fu riconosciuto crede presuntivo del paterno reame.
Il cardinal legato sorpreso essendo in tal circostanza della rara virtù e capacità di Raimondo, volle associarlo alla sua legazione, ricevere i suoi consigli, e commettergli di predicare contro i mori la Crociata. Il servo di Dio intraprese una missione di tanta importanza con tutta saviezza, zelo e carità. E perché il commercio cogl’infami maomettani, ebrei ed eretici aveva prodotto una spaventevole corruzione nei costumi dei cristiani spagnuoli, egli dalle cattedre di verità, e dai tribunali della riconciliazione li corresse
a tutt'uomo. Scorse senza mai stancarsi evangelizzando la Catalogna, l'Aragona, la Castiglia, e molte alti·e province e regni di Spagna, e ovunque il legalo del papa era aspettato, egli lo preveniva a fine di preparare i popoli a degnamente riceverlo, e godere i frutti dell’apostolica beneficenza.
Potente nelle opere e nel sermone ottenne che, fattosi da per tutto un prodigioso cangiamento nel pubblico costume, e disarmata perciò colla penitenza la collera del cielo, potessero i cristiani con tutta facilità. riportar dei vantaggi sopra i loro nimici. I quali attaccati nel medesimo tempo da tre sovrani furono per tutto battuti volgendo ovunque a precipitosa fuga le terga.
Il re di Castiglia e quello di Leone presero molte piazze forti nell'Estremadura e nell'Andalusia, e don Giacomo I li cacciò per sempre dalle isole di Maiorica e di Minorica. Dopo questi primi gloriosi successi volendo il legato apostolico tornare in Italia fece tutti gli sforzi per condursi Raimondo, ma non potè vincerne la modestia. Gregorio IX peraltro udita la relazione del suo legato spedì all'uomo di Dio nel 1230 un Breve, ordinandogli di portarsi a Roma senza replica e senza dilazione (!,,). Per quantunque il santo fosse allora occupato nella fabbrica della chiesa di santa Caterina vergine e martire e dell'annesso convento del suo ordine, e addetto a tanti rilevantissimi affari della sua missione e del regno; pure tutto abbandonando prontamente ubbidì. Il papa lo fece suo cappellano, che è quanto dire auditore delle cause del palazzo apostolico, lo creò gran penitenziere della chiesa romana, e lo scelse suo confessore. Dice Clemente VIII nella citata sua bolla, che la penitenza ordinaria da lui imposta a Gregorio IX, era di udire con bontà le preghiere ed i lamenti di coloro i quali erano senza protezione, e di fare prontamente spedire gli affari delle vedove e dei pupilli. Perlochè il pontefice lo chiamava Questo gran vicario di Cristo assai versato nella scienza del diritto canonico avea da molto tempo conceputo il disegno di far rivedere i decreti e le costituzioni de' suoi predecessori emanate dopo la collezione di Graziano, che è quanto dire di Alessandro III fino allo stesso Gregorio IX. Difficilissima impresa e di molto travaglio, che fu affidata al nostro santo. Il quale vi si applicò con tanto studio, sì gran diligenza e prospera riuscita, che in men di tre anni fu la sua opera nello stato in che il pontefice la bramava (I) L'autore ha unito diversi decreti de' concili alle costituzioni dei papi, ha diviso l'aurea sua opera in cinque libri, ciascuno dei quali contiene molti titoli, e sotto di essi si veggon con gioia le decretali disposte secondo l'ordine dei tempi: ciò che non era stato osservato nelle precedenti raccolte. Avendo sua santità approvata questa nuova collezione conosciuta sotto il nome di Decretali, ordinò nel 1234 che essa fosse seguita nelle scuole e nei tribunali.
Vacò frattanto l'arcivescovado di Tarragona, e Gregorio IX giudicò di non poter meglio, che a Raimondo, affidarla cura di quella chiesa metropolitana e primaziale di tutto il regno di Aragona . L'umilissimo religioso non risparmiò preghiere, sospiri e lagrime, per esserne dispensato. Non parendo a sua beatitudine d'accettar la rinunzia, il servo di Dio cadde per grave doglia pericolosamente malato, e allora fu che il pontefice ammise il rifiuto a condizione che gli nominasse idoneo soggetto. Propose il santo il pio e dotto don Guglielmo Mongrin canonico e sagrestano della chiesa di Girona.
Il papa lo elesse, e con dolore consentì a Raimondo di far ritorno alla patria per ristorare la sua salute.
Appena ebbe abbandonata Roma e la corte, che il Signore rendendogli la sanità l'onorò del dono dei miracoli (2). Difatti giunto al porto di Blancs a 12 leghe da Barcellona gli fu presentato un uomo per fiero colpo privato di tutti i sentimenti. Pregò il santo, e fattogli sopra un segno di croce lo ridonò ai sensi; egli si confessò col più vivo dolore, e dopo l'assoluzione ricadde nel primiero letargo, e poco dopo morì. Reduce poi il santo dopo tante commissioni onorifiche alla sua terra natale così povero come il giorno di sua professione, fu come un angelo di pace ricevuto da tutte le classi di persone, e pareva che la salute della Spagna fosse legata alla presenza di lui. Il quale riprendendo i consueti suoi esercizi scrisse poi un trattato delle obbligazioni dei prelati nella visita delle loro diocesi e nel governo del loro gregge, scrisse pure un opuscolo sul commercio a regola dei cristiani negozianti.
Ad istanza poi del re e dei prelati intervenne a due celebri assemblee degli avvocato e padre dei poverelli.
stati, tenuta l’una in Moncon nell’ottobre 1236, l’altra in Tarragona nel gennaio 1237, e parlò con tanta efficacia a favore della spedizione militare contro i mori sommamente fortificati in Valenza, che indusse i vescovi a gli altri signori a generosamente contribuire alle spese della guerra, la quale riuscì a segno, che la città e tutto il regno di Valenza caddero lo stesso anno sotto il dominio de’ cristiani.
Mentre Raimondo gustava in Barcellona le dolcezze della vita privata negli esercizi della orazione, della penitenza e della carità, intese non senza amarezza del suo tenero cuore la notizia della morte del beato Giordano di Sassonia immediato successore di san Domenico nel governo di tutto il suo ordine. Crebbe a dismisura la sua afflizione quando il celebre Ugone da santo Caro, allora provinciale di Francia poi cardinale, e tre altri meritissimi religiosi deputati dal capitolo generale adunato a Bologna l'anno 1238 gli presentarono il decreto della sua unanime elezione al magistero generale di tutto l'ordine dei predicatori (1). Umile com'era di cuore, e giudicando un tal peso di gran lunga superiore alle sue forze, cercò dispensarsene in ogni modo; pregò, gemè e riguardò come una specie di persecuzione le vive i stanze che gli venivano fatte per accettarlo; ma indarno. Per la qualcosa temendo di resistere a Dio con un più ostinato rifiuto accettò l'impiego com'un'impostagli penitenza. Quali vantaggi non doveva attendersi l'ordine domenicano dal s aggio regime di un tanto uomo? Egli ne fece a piedi la visita senza nulla diminuire delle sue austerità, e fu tutta premura nell'ispirare ai suoi figli spirituali l'amore della regolarità, della solitudine, della mortificazione, della preghiera, dello studio e dei travagli evangelici, onde tutte le occupazioni dell'uomo apostolico da lui persuase coll'esempio e colla voce ripreser nell'ordine novella vita. Egli ebbe la consolazione di vedervi entrare molti cospicui soggetti, e di mandare nei paesi degl’infedeli e nella Bosnia gran numero di fervidi missionari. Egli die' miglior forma alla raccolta delle costituzioni, ne dichiarò ed illustrò tutti i passi che potevano soffrire qualche difficoltà, e questo corpo di leggi redatto da un uomo di tanti lumi nel diritto canonico , di tanto sapere e di tanta umiltà, approvato da tre capitoli generali riscosse pel tratto dei secoli gli elogi dei geni più vasti . Ma nel general capitolo di Parigi del 1239 egli propose e fece approvare un decreto, in virtù del quale si obbligavano i padri ad accettar e la volontaria rinunzia di un superiore, che avesse giusti motivi di ritirarsi dalla sua carica. N on cade dubbio che
l'accorto generale avesse in mira sé stesso quando si vide nell'anno seguente far uso di questo decreto, e con rammarico universale dimettersi dal generalato a motivo \ della sua avanzata e cagionevole età di anni 65 poco atta alle grandi fatiche annesse all’officio. Fu poi con vera esultanza ch’egli rientrasse nello stato di semplice religioso. Riprese allora e con più vivo ardore tutte le funzioni del sacro suo ministero, ed era sempre occupato o in scrivere, o in predicare, o in udire le confessioni, o in rispondere a quei che venivano a seco conferire i loro travagli o i loro dubbi; ma soprattutto nel procurare nuove conquiste presso i Saracini. Ed affinché i predicatori della fede potessero parlare con maggior efficacia, li volle provvedere di due mezzi che molto servirono ai progressi dell’evangelio. Il primo fu di pregare san Tommaso d’Aquino a scrivere un’opera, ove si trovasse un’esposizione chiara e metodica di tutte le verità della cattolica religione colle prove, e colla risposta agli argomenti degl’infedeli. Il santo dottore tostamente aderì, e scrisse i suoi quattro libri della fede cattolica, ossia l’aureo volume contro i gentili. Raimondo ricevè il primo quest’opera come un regalo venutogli dal cielo. Il secondo mezzo fu lo studio delle lingue, specialmente dell’arabo e dell’ebreo, per essere in grado di farsi intendere, di esaminare e confutare i libri del’infedeli scritti nella loro lingua, e ad essi comunicare nel proprio idioma i cattolici apologisti. Il santo introdusse sì fatto studio in più conventi dell’ordine, e trasse profitto dalla confidenza a cui l’ammettevano i re d’Aragona e di Castiglia per indurli a fondare a favore de’ suoi religiosi due collegi, un in Tunisi e l’altro in Murcia. Questi due mezzi riuniti produssero effetti, che nel 1256 scrivendo egli al padre Umberto quinto generale del suo ordine l’assicurava, che già dieci mila Saracini, tra i quali noveravansi molti celebri per dottrina, erano stati rigenerati nelle acque del santo battesimo.
Raimondo considerava questi nuovi cristiani come suoi figli, ed impiegava volentieri il suo credito per provvederli nelle loro indigenze. Ma per rassicurare le conquiste della fede, e ripurgare dalla zizzania l’evangelico campo, e mantenere la tranquillità dello stato, consigliò il re di Aragona Giacomo I a prevenire le malvagge intenzioni degl’infedeli. Fece il re pubblicare un editto o di abbandonare sinceramente i loro errori e non far più professione dell’Alcorano né del Talmud, o di uscire entro un determinato tempo da tutti i suoi regni, i più s’appigliarono al secondo partito, e abbandonati ovunque gli antichi loro stabilimenti si rifugiarono parte nell’Africa, parte nel regno di Granata (1). Di ari guisa volendo Raimondo riparare gl'immensi danni che nella Spagna arrecavano gli Albigesi misti ai Giudei e Saracini convertiti solo in apparenza per conservare i loro beni, propose al re d'Aragona lo stabilimento della inquisizione nei suo i stati. II principe vi acconsentì, e dissipato l'errore, il gregge cattolico ebbe pace (2). Siccome il re aveva posta in san Raimondo suo confessore tutta la fiducia
seguendo i di lui consigli negli affari più rilevanti, così lo pregò di, accompagnarlo nell'isola di Maiorica. Tratto da motivi di religione, e bramando di assodar nella fede gli abitanti dell'iso la dopo la disfatta dei mori fatti già tutti cristiani, il santo vi consentì, e fu disposizione di provvidenza che egli, comecchè ricurvo pel doppi o peso delle fatiche e degli anni, s'accingesse a fare quest'ultimo viaggio per la salute del re. Questo monarca, che gli storici spagnuoli non dubitano paragonare coi più famosi eroi dell'antichità (3), gran politico e gran guerriero, che aveva date ai m ori trenta battaglie e riportate altrettante vittorie, amato dai popoli dei quali era la felicità, amico della religione e protettor magnanimo della chiesa , portando soverchio amore al debol sesso oscurava la gloria delle sue grandi e luminose
prerogative. San Raimondo insisteva sempre coll'invitto suo zelo per distaccarnelo.
Il re riceveva con pace le di lui correzioni, vegghiava sopra sé stesso per qualche tempo; ma molto meno felice in vincere sé medesimo che in trionfare dei suoi nimici, la presenza di un oggetto che lo aveva una volta ferito faceva in lui svanire i migliori propositi dell'ammenda. Avendo Raimondo trovato in Maiorica nel seguito della corte una persona sospetta reiterò subito appo il sovrano le istanze per indurlo a far cessare lo scandalo.
Don Giacomo prometteva senza però mantener sue promesse. Vedendo il saggio confessore che non poteva riuscirgli di rimuovere l' occasioneche offendeva l'onore e la coscienza del suo monarca, si credè obbligato di chieder congedo di ritirarsi egli stesso, e di torlosi anche in caso di un reale rifiuto. Ma come trovare un imbarco? Il re aveva vietato a tutti i marinari di trasportarlo fuori dell'isola sotto pena di morte. II servo di Dio che ignorava il divieto se ne andò al porto di Sollar, ma inutilmente, come a qualunque altro della riviera. Pieno però di fiducia in Dio dice al compagno: Un re della terra ci chiude il passo, ma il re del cielo vi supplirà. Ciò detto, stende la sua cappa sui flutti, ne attacca un'estremità in forma di vela al suo bacolo che gli serve di albero, fatto il segno di croce vi si pianta con sicurezza. Il timido compagno immobile lo guarda con ammirazione e timore, quando un vento propizio e dolce spinge attraverso di quella vasta marina l'inusitato naviglio pel tratto di sessanta leghe, e in sei ore di tempo salpa ed approda felicemente al porto di Barcellona. Quivi in mezzo alla turba acclamatrice covertosi della sua cappa restata anche asciutta fra l'onde s’invola agli occhi di tutti, entra a porte chiuse nel suo monistero, e incontanente prostratosi a piè dell'altare rese grazie a quel Dio a cui i mar i ed i venti obbedisco no rispettosi. Questo cumulo di prodigii risuonò per tutto il regno ed il mondo, e parlando altamente al cuore del re Giacomo I lo convertì (1) e lo rese ma i sempre sottomesso al santo direttore, regolando coi di lui avvertimenti la sua coscienza, la casa, e tutti i suoi stati. Raimondo era proprio l'oracolo non solamente del regno, ma eziandio della santa Sede; giacché i sommi pontefici Gregorio IX, Innocenzo IV, Alessandro IV, Urbano IV, Clemente IV e Gregorio X gli affidavano con tutta sicurezza le più gelose e malagevoli incombenze, e cardinali e vescovi così in privato come nei concili si attenevano ai di lui sentimenti sempre mai coronati dai più felici successi (2). Logoro pertanto il suo corpo e consumato per le fatiche, per le infermitadi
e per g li anni, fervido sempre il suo spirito si affrettava al luogo del suo riposo. Colpito dall'ultima malattia vide presso il suo letticciuolo il re di Castiglia don Alfonso X coll'augusta sua sposa, coi principi figli, e con don Emanuele suo germano, e il re d'Aragon a don Giacomo I con tutta la sua corte a bella p osta venuti a visitarlo, a raccomandarsi con fiducia alle sue orazioni, ed a ricevere la sua benedizione. Il santo dopo aver versata nel cuore di tutti quella gioia di paradiso da cui era preso il cuor suo , munito di tutti i sacramenti, nell'anno centesimo dell'età sua, nel giorno sei di gennaro del 1275 placidamente spirò.
I due Sovrani onorarono di loro augusta presenza i suoi funerali insieme con tutti i principi e tutte le principesse, coi prelati e signori delle due corti, e con tutto il clero e tutta la nobiltà di Barcellona (3). Si fece al suo sepolcro un grandissimo numero di miracoli, la narrazione dei quali nei Bollandisti riempie quindici pagine in foglio. La maggior parte di essi è riportata nella bolla di canonizzazione data da Clemente VIII di santa memoria nel 1601; e la di lui festa fu da Clemente X fissata ai 23 d i gennaro.
Il di lui sacro corpo dopo essere stato tre volte solennemente traslato riposava nella sua chiesa di santa Caterina di Barcellona. Ma la notte del 25 luglio 1836 avendo i furibondi ribelli alle leggi di Dio e degli uomini appiccato fuoco al magnifico tempio per incenerare e confondere le preziose reliquie del santo loro proteggitore, le voraci fiamme rispettarono la sua cappella, e il santo corpo fu trasportato da prima nella chiesa del Senato intitolata a santa Marta , e dopo circa un anno venne traslatato alla cattedrale chiesa di santa Croce, ove tuttavia riposa venerato dai buoni Spagnuoli.
Volga il gran santo dal seggio di gloria, su cui in cielo regna con Cristo, volga uno sguardo di protezione all' afflitta penisola, ed egli, che in vita mirabilmente in sé accoppiando lo spirito di Maddalena e di .Marta fu l'angelo che nella mistica scala della religione ascese al cielo coll'ardor de' suoi voti, e 1'angelo che di superne fiamme la man ricolma sulla terra scendendo le diffuse nelle tribù d' Israello e in tutti i popoli per l'eterna loro felicità, salvi a quest'ingrata stagione la patria, e vi riporti in tutto il suo splendore il trionfo della Croce di Gesì.1 Cristo.
(DEL RMO P. TOMMASO GIACINTO CIPOLLETTI EX MAESTRO GEN. DE' PRED.)