7 Gennaro
SAN LUCIANO MARTIRE E SACERDOTE
San Luciano detto d’Antiochia era di Samosata in Siria. Avendogli la morte tolto il padre e la madre, egli distribuì ai poveri tutti i suoi beni, affine di servire a Dio in un più perfetto distaccamento dalle cose visibili. Egli sostituì lo studio delle sante scritture a quello della retorica e della filosofia, in cui aveva fatto i più rapidi avanzamenti, e si tolse per maestro uno detto Macario, che allora insegnava con grido a Edessa. Fatto sacerdote, in nissun’altra cosa si occupò più, che nel recare gli altri alla virtù co’ suoi esempli e discorsi. Egli non si ristette a questo; persuaso, com’era, che un sacerdote è tenuto d’impiegare per la chiesa il suo ingegno, imprese a dare una nuova edizione dei libri santi, correggendovi gli errori che erano incorsi nel testo dell’antico e nuovo Testamento, tra per l’esattezza dei capisti, e tra per la malizia degli eretici (2). Questa nuova edizione meritossi una stima universale, e fu d’un grand’uso a san Girolamo (3).
S’è avuto alcun sospetto della fede del nostro santo, dietro la svantaggiosa testimonianza che ne rende santo Alessandro vescovo d’Alessandria (1). Infatti dic’egli che Luciano visse fuor della comunione della chiesa sotto tre vescovi consecutivi d’Antiochia (2), cioè Donno, Timeo e Cirillo. La ragione di questa separazione era per lo attaccamento che questo santo avea mostrato al partito di Paolo di Samosata (3). Ma ci ha tutta l’apparenza che egli fosse stato ingannato per non aver potuto conoscere ben addentro gli empi dogmi di questo scaltro eresiarca. Egli è per lo meno certo che morì in seno alla chiesa cattolica (4). Luciano avvegnacchè sacerdote d’Antiochia, trovavasi però a Nicomedia nel 303, quando l’imperatore Diocleziano vi fe’ pubblicare i suoi primi decreti contro la religione cristiana. Egli fu nel numero degli arrestati per la fede. Dal fondo di sua prigione scrisse ai fedeli d’Antiochia una lettera che finisce così: “Tutti i martiri vi salutano. Vi ho fatto sapere che papa Antimo ha finito il suo corso col martirio”. Tal parlava Luciano nell’anno 303. Da ciò si deduce ch’egli dovette essere rimasto nove anni in prigione, poiché, secondo la relazione di Esusebio, non ricevette la corona del martirio, che dopo la morte di San Pietro d’Alessandria avvenuta nel 314. Comunque ciò fosse, egli fu in fine condotto davanti il tribunale del governatore, o dell’imperatore stesso. Ei colse questa occasione per presentare al giudice una dotta apologia della religion cristiana. Avendo il giudice sentito il santo confessar generosamente Gesù Cristo, rimandollo in prigione, con proibizione di recargli alcucna sorta di nutrimento, alfin di vincerlo colla fame; e quando questa fu inasprita da una lunga inedia, gli fece imbandire una mensa di vivande offerte agl’idoli, acciocché l’appetito stimolandolo a mangiarne, mostrasse, col prendere di quei cibi, di partecipare alle idolatriche superstizioni. Ma questa tentazione non lo potè abbattere; perciocché mentre lo sollecitava la fame e lo stimolava a gustare il cibo esibitogli, il timor di Dio, al dire di san Giovanni Grisostomo, teneva legate le sue mani e lo faceva scordare del naturale bisogno; e mentre riguardava quella contaminata ed esecranda mensa, si ricordava della mensa spirituale e divina da Gesù Cristo apprestata ai suoi fedeli, e talmente s’infiammava di desiderio verso di questa, che volentieri soffriva la fame e la morte, piuttosto che cibarsi delle impure offertegli vivande.
Essendo il santo una seconda volta condotto innanzi al giudice, stette fermo nella confessione di Gesù Cristo. Invano si adoperavano i tormenti per ismuovere la sua fermezza; non se li potè trarre di bocca altra parola che questa: sono cristiano. Queste erano le armi di cui valeasi per vincere, persuaso,dice san Giovanni GRisostomo, che in simili pugne non bisogna eloquenza per riportane la vittoria, e che il modo più sicuro per tiornfare non istà nel parla bene, ma sì nel saper bene amare. Alcuni dicono che fu posto di nuovo in prigione, e che vi morì. San Giovani Grisostomo, che dovette esser di ciò informato meglio di ogni altro, ci assicura che fu decapitato. Rufino dice che fu segretamente sgozzato in prigione per ordine di Massimino, che in grazia del popolo non fu oso farlo morire pubblicamente.
Leggiamo ne’ suoi atti ch’ei fece di molti miracoli; e che essendo legato e coricato supino in prigione si consacrò i divini misteri sul petto, e dispensò ai fedeli che erano presenti. Egli provato dalla testimonianza di san Giovanni Grisostomo, e di alcuni altri antichi autori, che il martirio di san Luciano avvenne il 7 di gennaro. Questo dovette essere nel 312, perché egli soffrì nella persecuzione di Massimino, che finì coll’editto che Costantino e Licino fecero in favor dei cristiani verso il mese di novembre del medesimo anno. Il suo corpo, come narra san Giovanni Grisostomo, fu sepolto nel borgo di Drepano in Bitinia. Non molto tempo appresso l’imperatore Costantino il grande fece in quel luogo fabbricare una bella città, cui diede il nome di Elenopoli da quello di sua madre, e la esentò dalle tasse per dimostrare in quant’onore avesse egli la memoria del santo martire. La chiesa di Arles, sull’appoggio di una tradizione antica, pretende avere le reliquie di san Luciano. Ella crede che Carlo Magno, a cui esse furono portate dall’oriente, ne facesse il trasporto nella chiesa, ch’egli avea fatto fabbricare in onore del santo ad Arles. Quando san Luciano diessi alla lettura ed alla meditazione delle scritture sante, altro non vi si propose che di conoscere la volontà di Dio, di scoprire l’estensione de’ suoi doveri, di acquistare quella sottigliezza di coscienza, che mette su rigorose bilance i motivi di tutte le azioni, che tiene lontano da sé non solo la colpa, ma sì ancora ogni apparenza di colpa, e che rende l’uomo fermamente assodato nella pratica della virtù. Per questo la parola di Dio registrata nei libri santi, viene appellata lume, non potendo altro nome indicare meglio i salutari effetti ch’ella produce nelle anime ben disposte. Conciossiaché non è ella che disgombra quelle tenebre, il cui buio ne cela i confini del bene e del male, e che ne toglie la vista dal cammino che ci mena a salvezza? Non è ella che ci porge una vera conoscenza della nostra corrutela e della nostra fralezza, sorgenti malaugurate delle giornaliere brutture che insozzano le leggiadre fattezze dell’anima nostra? Non c’insegna egli la necessità di ricorrere continuamente a Dio perché ci rinforzi colla sua grazie, onde abbiamo a correre con allegria sul penoso calle della virtù? Non ci addita egli finalmente che dobbiamo, anche dopo aver adempiuto a tutta la legge, riguardarci come servi inutili, crederci ancora d’assai lontani dalla santità richiesta negli eletti, e per conseguenza obbligati a tendere sempre di bene in meglio alla perfezione? Ogni volta che noi ci ponghiamo a leggere la scrittura, mettiamo nelle disposizioni con cui leggeala san Luciano. Concepiamo per essa tutto l’amore che alla parola di Dio s’addice. Allora la leggerem con frutto, e ci meriteremo che ella divenga per noi una parola di luce e di vita.
(DALL’AB. ALBANO BUTLER)