16 Gennaro
SAN MARCELLO PAPA E MARTIRE
Dopo che il pontefice Marcellino con un glorioso martirio coronò la santa sua vita vacò la cattedra di san Pietro per più di tre anni, cosa giammai in addietro accaduta. Finalmente nel 308 venne a tale dignità elevato Marcello, il quale in giorno di domenica fu consecrato il 27 di giugno. Era questi romano; alcuni il credono figlio di un Marcello discendente dagli antichi consoli di questo nome, altri il dicono figlio di un Benèdetto della regione in Via lata, e vuolsi della nobilissima famiglia Savelli, ovvero Colonna.
Si suppone che in principio appartenesse ad un collegio di cherici, che regolarmente, e sotto una tal quale disciplina vivessero. È però certo ch'essendo poi divenuto prete, e compagno di Eusebio, Melchiade e Silvestro, i quali l'un dopo l'altro gli succedettero nella sede romana, distinguevasi per la sua straordinaria pietà, pel suo zelo, e per la rigorosa osservanza delle leggi canoniche. Salito con sì belle disposizioni a governare la chiesa universale non ismentì l'opinione ch’erasi giustamente di lui conceputa. Respiravano alquanto in allora i fedeli dalla terribilissima persecuzione di Diocleziano e di Massimiano, e Massenzio usurpatore del dominio in Roma ed in Italia teneva in qualche pace i cristiani, non già perché foss'egli a questi inclinato, ma perché credea di suo privato interesse il non molestarli. Ebbe adunque agio Marcello di provvedere, perché i cimiterii fossero restaurati; anzi a sua insinuazione fu da Priscilla edificato quello, che ne porta il nome nella via Salara, ove fra gli altri furon poi sepolti i corpi de' martiri Papia e Mauro da lui battezzati. Premurosissimo perchè non difettassero i fedeli degli opportuni ministri istituì in Roma 25 titoli o parrocchie per l' amministrazione del battesimo, della penitenza, e per la cura di coloro che o venivano al cristianesimo, o soffrivano il martirio. Creò vescovi 21, preti 25 e 2 diaconi. Due lettere gli sono attribuite, la prima ai vescovi di Antiochia, in cui fra le altre cose dicesi, doversi la chiesa romana chiamare primate, e capo di tutte le altre, né potersi concilio alcuno celebrare senza l'autorità del pontefice; la seconda è diretta a Massenzio. L'una e l'altra però non sono ricevute come genuine dai critici., e specialmente dal Pagi, che al tomo I della sua critica al Baronio ne assegna convincenti ragioni.
Una delle principali azioni di Marcello fu di sanare le piaghe prodotte nella cristianità dalla persecuzione di cui si è parlato; imperocchè taluni dei fedeli intimoriti più dalla morte del corpo, che da quella dell'anima, e spaventati dalla squisitezza de' tormenti erano miseramente caduti nell'idolatria , incensando que' numi vani e bugiardi. Comandò adunque che venissero sottoposti alla salutevole penitenza ordinata dai sacri canoni, sì perchè fossero ai non caduti di esempio, sì ancora perchè egli amava di rimetterli alla partecipazione de' divini misteri. Un ordinamento sì giusto e sì santo, chi lo crederebbe? eccitò nella chiesa romana turbolenze e dissenzioni gravissime, tanto più che anco tra i buoni non mancavan coloro che tenessero per la dolcezza.
La chiesa di Gesù Cristo non è stata giammai senza travagli; anzi sono questi i cari doni che le lasciò in retaggio il suo divino sposo a luminosissimo testimonio della sua santità e della perpetua sua durazione; il perché mancando in essa le persecuzioni de' tiranni sorgon le interne ancor più terribili delle prime. Pertanto dalle opinioni si passò alle parole, da queste alle sedizioni, finalmente alle violenze e alle stragi. Di tutto ciò fu accagionato Marcello, che, come si accennò, non ad altro mirava che a sanare colla penitenza i gravissimi mali prodotti dall'apostasia. Un perfido cristiano, eh' avea empiamente adorato gl' idoli, forse per nome Eraclio (1), macchinò perché il santo pontefice venisse accusato cl' innanzi a Massenzio , il quale dopo averlo provato con vari tormenti lo fece chiudere in carcere, costringendolo a negare d' esser vescovo, a scendere dalla cattedra romana, ed a sacrificare agli Dei. Ricusò egli di obbedire a così iniqui comandamenti, e ad dimostrando ognor più col tiranno quella fermezza, che i vicarii di Cristo hanno sempre avuto d' innanzi ai loro persecutori, Massenzio condannollo a servire nella stalla imperiale, detta in que' tempi con voce latina catabolo. Rivestito di cilicio, macerandosi con penitenze e digiuni attendeva alla cura di quelle bestie: un' umiliazione così grande fu da lui sofferta con quel giubilo, che apporta ai santi il patire per Gesù Cristo, nè valse punto a diminuire il suo zelo : imperocchè trovavano i fedeli maniera di comunicare col loro capo. Se non che dopo nove mesi riuscì ai cherici, che di continuo il visitavano, di torlo alla viltà di quell' immondo luogo, e ripararlo in casa di una Lucina nobilissima romana matrona, la quale dopo di essere stata per tre lustri maritata a Marco ( 1 ), da 1 9 anni vivevasi in vedovanza, praticando a rigore gli insegnamenti di san Paolo, e giovando i cristiani con ogni maniera di officii.
Pertanto di notte tempo l'accompagnarono alla casa di questa pia gentil donna, la quale appena vide entrare l'illustre martire, corsa frettolosamente a lui. d'innanzi, prostrossi ai piedi del venerabile vecchio, e presogli divotamente il lembo del manto, e addimostrandosi indegna di tanto onore, incominciò a baciare quelle sacre lane, e riguardando l' estenuato e pallido volto di Marcello pianse per tenerezza, e con parole e con gesti invitollo a rimanersi con esso lei, cd a santificare di sua presenza una casa, ove nulla mancandogli sarebbesi potuto a suo agio, e finchè ve n'era d'uopo, occultare -Ringraziò il pontefice cortesemente la donna, e la benedisse lodando il Signore, che in tempo sì opportuno non gli era mancato di misericordia e di aiuto. Bentosto si convertì quell' asilo in tempio. Marcello teneavi notturne concioni: adempiendovi ai divini misteri, esercitandovi le pratiche del culto, le ordinazioni de' preti, e tutt' altro che a lui incombeva. Appena Massenzio il riseppe, arse di più forte sdegno, e fermo in volerlo solo ministro non di uomini, ma de' giumenti, ed abusando del suo tirannico potere, ordinò che quella casa venisse immantinente ridotta a stalla, e che Marcello vi dovesse, siccome in avanti, servire.
Fu il comandamento con prontezza eseguito, e tra il puzzo, lo squallore e i disagi vi finì i suoi giorni il 1di gennaio del 309.
Appena seguita la santa morte di lui fu dalla pia Lucina e da Giovanni prete della chiesa romana sepolto nel cimiterio di Priscilla nella via Salara, e poco dopo trasferito in quella stessa chiesa già da lui edificata, e che ora ne porta il nome di san Marcello (2). Tal chiesa decorata di un titolo cardinalizio, della stazione in quaresima, ed officiata da un cardinale arciprete con un collegio di canonici, per rinunzia del cardinale Androino, che n'era l'arciprete, e che ritiratosi poi in Viterbo morì coll'abito de' Servi di Maria, fu dal pontefice Urbano V (3) nel 1 368 concessa all' inclito ordine, dal quale tuttora è officiata, essendo stata per varie volte quasi per intero restaurata, specialmente dopo che nel 1519 ai 22 di maggio ruinò, lasciando con miracolo illeso quel Crocifisso che ivi, tuttora si venera.
Non sono per verità mancali degli istorici, i quali abbiano lasciato scritto, che Marcello fosse stato per ordine dl Massenzio cacciato in esilio, e che ivi finisse santamente i suoi giorni, appoggiandosi specialmente all'epitafio che ne compose san Damaso, epitafio che leggevasi nelle antiche iscrizioni, che viene riportato dal Baronio e da' Bollandisti, c che ancor noi crediamo acconcio di riferire, tanto più che da esso si conferma il motivo per cui fu tanto perseguitato.
« Veridicus rector, lapsus qui a cimina fiere
,, Praedixit miseris, fuit omnibus hostis amarus.
,, Hinc furor, hinc odium sequitur, discordia, lites,
» Seditio, caedes; solvuntur foedera pacis
» Crimen oh alterius, Christum qui in pace negavit
» Fini.bus expulsus patriae feritate tyranni.
,, Haec breviter Damasus voluit comperta referre
» Marcelli ut populus meritum cognoscere posset »
Noi non ci metteremo a definire una quistione sostenuta da ambe le parti da autorevolissimi personaggi; diremo solo che il martirologio romano, il Baronio, il Pagi, il Ciacconio, il Sandini, il Novaes, ed altri tengono per la prima opinione, tanto più che niuno de' secondi ci sa indicare in qual luogo fosse rilegato questo santo pontefice, per quanto tempo stesse m esilio, e se morisse in Roma o fuori.
Altra quistione parimenti si fa dai critici sulla durata del suo pontificato.
Ne assegnano alcuni il principio nell' anno 304, facendolo dopo pochi mesi succedere a Marcellino, escludono la lunga vacanza della sede romana, e ne stabiliscono la morte al cominciare dell'anno 310. Noi volentieri ci atteniamo all'opinione seguita dai critici i più severi, i quali gli attribuiscono un anno, 6 mesi e 20 giorni: appoggiandosi questa al calcolo de' fasti consolari.
Il perchè il pontificato di lui non comincerebbe già a decorrere da Costanzo e Galeri o fino a Massenzio : ma dovrebbe dirsi essere stato, mentre Massenzio era tiranno di Roma.
Che poi questo zelante pontefice mentr'era ancor prete insieme a Marcellino ed altri avesse offerto incenso agl'idoli, e consegnato ai persecutori i libri delle divine scritture, è una vera calunnia de' donatisti. Il silenzio in questa materia di tutti gli antichi scrittori delle vite de' pontefici, l inutile diligenza de' donatisti che pretesero di poter vessare i cattolici per questo fatto, che pur giammai non riuscirono a provare, ben ne addimostrano la falsità, Sant'Agostino che viveva nel IV secolo, e però in un'epoca tanto più vicina, assicura che per confutarla, bastava solo il negarla, non allegando gli avversari alcuna prova: il cardinal Orsi nella sua storia ecclesiastica (1) dice apertamente, e, non esservi oggi persona dotta, la quale non sia pienamente» convinta della falsità di tale calunnia» ; ed il Novaes nelle vite de' pontefici al tomo I (2) riferisce una lunga serie di autori, dai quali si rileva la verità della nostra asserzione.
Gli atti di san Marcello riferiti dal Surio contengono delle cose assai incerte e dubbiose: e ben poche notizie ne abbiamo ne' martirologi e ne' sagramentari.
Quelle che qui abbiamo riunite sono state desunte dai Bollandisti al tomo II, dalle vite de' pontefici e de' cardinali del Ciacconio colle aggiunte dell'Oldoino tomo I, dagli annali ecclesiastici del Baroni.o colla critica di Antonio Pagi tomo III (3), dal breviario storico cronologico-critico de' romani pontefici del P. Francesco Pagi (4), dalle vite de' pontefici di Antonio Sanclini (5), dalle vite degli stessi pontefici del P. M. Nardi de' Minori Conventuali (6), e dal periodo secondo delle istituzioni di storia ecclesiastica del P. don Paolo del Signore abate generale de' Canonici Lateranesi con illustrazioni del canonico don Vincenzo Tizzani della stessa congregazione, il quale in una lunga nota (7) parla del tempo, in cui Marcello sedette sulla cattedra di san Pietro.
(DEL CAV, FRANCESCO FABI MONTANI,)