18 Gennaro
SAN LEOBARDO RINCHIUSO
L'origine del maggior monastero, presso al quale visse rinchiuso in una celletta scavata nel masso san Leobardo, scelto da noi per darne vita in questo giorno, rimonta all'anno 372 dell'e a cri stiana. Era l'anno che eguitava quello dell’ordinazione episcopale di san Martino; e questo gran santo volendo formarsi un pio ritiro non lontano dalla città di Tours, si fabbricò un monastero sole due miglia distante. Scelse a tal fine un deserto, che da un lato formavasi da un pendio di mo nt e aprissimo, e di contro dal fiume Ligeri celebre ancora nell'elegie di Tibullo, che ora chiamasi Loira . Strettissima era la foce per cui vi si entrava, e il santo in quella così appartata solitudine eresse alcune cellette di legno, e in esse pose i discepoli. Ma crescendo questi fino ad ottanta, la maggior parte di essi allogaronsi in alquante buche da sé medesimi aperte a forza nel masso. A questo monastero fu dato il nome di maggiore , perché d'assai vinceva l'altro fondato nel Poitou da san Martino medesimo prima del suo episcopato, e vinse dipoi tutti gli altri che lo stesso santo seguitò a fondare. Nella volgar lingua francese chiamasi Marmoutier, ed è stato sempre un seminario di buoni vescovi.
Il primo a scriver la vita di san Leobardo fu il vescovo di Tours san Gregorio, che nella cronaca turonese si nota successore del beato Eufronio.
Visse san Gregorio nell'episcopato anni 21, assuntovi già nell' anno 582, e conobbe di persona san Leobaldo, e al medesimo fu direttore di spirito. Di questa vita si adornano i bollandisti, premettendovi il loro critico commentario; e di essa hanno fatto un qualche fondamento delle loro narrazioni Adriano Bailler ai 18 gennaio. Noi seguitiamo san Gregorio più da vicino, e sul Bollando ne raccontiamo i fatti, e ne accenniamo almeno il sentimento di devozione.
Nel territorio di Arvernia , se non di genere senatorio, però d' ingenua famigli a nacque Leobardo, e dato fanciullo alla scuola v' imparò con sua delizia spirituale non pochi salmi, che gli servirono di conforto nel rimanente della sua vita. Allorché fu giunto ad una età conveniente a poter dare il suo libero assenso di matrimonio, da poi con trarsi a più maturo tempo, fu dai genitori, e particolarmente dal padre con grande istanza esortato e stimolato a promettere gli sponsali a tenera fanciullina. Resistè il giovinetto, ma invano, perché suo padre con tali modi di lamentanza e di minaccia del gastigo di Dio lo sopraffece, che il tenero Leobardo aderì alla volontà paterna, e diede alla futura sposa i contrassegni di non dubbia promessa legittimamente richiesti in quel tempo. Intanto e il padre e la madre di Leobardo vennero a morte. Finito il tempo del lutto, egli, che aveva già considerato comodamente quanto importuna era stata la violenza del padre nel costringerlo alla promessa del matrimonio, mentre aveva altri figliuoli, si decise di recare al maggior fratello i doni nuziali, e rimettendoli a lui, liberar sé dalle nozze.
A questo effetto prende seco tutto quel suo apparato nuziale, e con un altro comun fratello recasi all'abitazione del primo. Entrò nella casa di lui, ma n'ebbe grave rammarico; perché vi trovò quel suo fratello di tal maniera cotto dal vino in eccesso bevuto, che non riconosciuto da esso, fu ancora rigettato villanamente fuor della casa. Leobardo se ne partì sospirando e piangendo, e ritraendosi cavalcando in parte fuor di via, trovò una capanna piena colma di fieno, e presone quanto bastava, lo diede al pasto del suo cavallo, che aveva legato fuori di essa; e nella buca fatta del fieno si adagiò al riposo ed al sonno. Ma in sulla mezza notte si risvegliò, e subito toltosi al suo covacciolo, alzò le mani al cielo , e prostratosi in terra rese grazie a Dio, che gli aveva data la vita, che in vita lo conservava, che lo sostentava coi frutti della terra, ed altre simili cose diceva di ringraziamento al Signore.
E questi infinitamente misericordioso, dandogli ad assaporare la dolcezza delle divote lagrime fra i sospiri fattisi più lunghi e focosi, gli pose in cuore di abbandonare il mondo per dedicarsi tutto al divino servizio. Egli allora, a guisa di sacerdote e custode dell'anima sua, cominciò ad esortar sé stesso dicendo tali parole: «Anima mia, che fai tu? perché ti arresti in dubbio sospesa? È certamente vano il mondo, le sue concupiscenze son vane, è vana la sua gloria, e tutte quante in esso le cose son vanità. È meglio dunque abbandonarlo, e darsi a servire Iddio, che acconsentire all' opere dell'iniquo”.
Avendo così parlato e risoluto, appena spuntò l'aurora, montato a cavallo cominciò a far viaggio verso la casa sua. Cavalcando però con qualche prestezza, pensava tuttavolta al che da fare, e al dove andare, e disse in fine a sé stesso: «Anderò al sepolcro di san Martino, da cui deriva la virtù che sana gli infermi: perché ho fiducia che la sua preghiera mi apra la via di pur esso che pregando ·Dio ha ricondotti dal sepolcro tanti morti alla vita”. E così pensando e dicendo prende l'opportuna strada, sempre facendo orazione, e giugne alla basilica di san Martino. lvi, rinunziato il cavallo, dimora alcuni giorni, e poi passa il fiume Ligcri (Loire), e perviene ad una celletta in vicinanza del maggior monastero, dalla quale erasi altrove portato un certo monaco di nome Alarico; e divoto vi entra, e vi rimane. Quivi di propria mano si preparò la pergamena da scrivervi; qui si esercitò nel richiamare memoria i salmi da fanciullo imparati, e nell' impararne de' nuovi; e così gli accadde di sempre meglio conoscere che la divina chiamata era stata buona. A questo tratto di storia il santo vescovo scrive così: ,, Perché non cada in sospetto ad alcuno che tutto quanto ho narrato sia favoloso, lo sa Iddio che l' ho ricevuto per narrazione fattami dalla bocca di quel benedetto".
Con questa costanza di vita così ritirata, operosa ed esemplare, in breve tempo ebbe nome ed onore di santo da tutti i monaci, mentr' egli con fatica somma e pazienza adoperando il sarchio, debolissimo rusticale istrumento benché di ferro, allargava alcun poco la celletta scavata nel masso, e ciò per formarsi in essa la sepoltura; e si faceva delizia i digiuni, l'orazione, il silenzio, e la lezione spirituale; non lasciando mai qualunque fissato uffizio di divozione, e scrivendo ancora per discacciar da sé i mali pensieri. Per altro in questo suo modo di vivere castigato e solitario gli venne addosso una fiera tentazione del demonio pel seguente motivo. Aveva un certo monaco una quistion litigiosa coi vicini monaci, e ciò tanto dispiacque a Leobardo che si sentiva strugger di voglia di abbandonare la sua celletta, e andare a trovarne un'altra, o a formarsela da sé stesso. Ma il vescovo di Tours san Gregorio lo seppe, perché gli era in costume di visitare il maggior monastero di san Martino, non contentandosi di onorare il santo nella basilica turonese. - Andatovi dunque un giorno il santo vescovo alla consueta orazione (4), parlò col tentato Leobardo, e n'ebbe tutta la confessione sincera. Allora gli manifestò il suo grave dolore nel vederlo in tal pericolo di vocazione negletta, e ne lo rimproverò con sapienti ragioni; e facendogli poi animo con parole soavi, gli diede a leggere alcuni libri, che scoprivano le malizie del diavolo nel distogliere i monaci dalla vita religiosa. Leobardo li lesse, li meditò, si compuns; e fattosi uomo nuovo per virtù singolare, fu ancora da Dio graziato di molti doni. Gli accrebbe Iddio l'acume dell' intelletto, e gli diede un'ammirabil facondia. A questo poi giovavano in Leobardo la dolcezza del suo parlare, la piacevolezza del suo esortare, la sollecitudine sua amorevole pei popoli e pei regnanti, e l'orazione assidua per tutti gli ecclesiastici e per gli altri che temono Dio.
Lo stesso suo costume esteriore destava i cuori ad amarlo, perché neppure si teneva orrido nei capelli e nella bar ha, ma moderatamente si tondeva a' suoi tempi.
Visse LeoBardo nella sua celletta così santamente ventidue anni, ricevendovi sempre nuove grazie da Dio. Fra queste si conta l'abituale virtù di risanare gl'infetti di maligne pustule colla saliva della sua bocca, che ne distruggeva subito l'interno veleno; e si conta pur quella di far vincere dai febbricitanti il freddo ed il caldo delle lor febbri con un bicchier di vino benedetto dalla sua destra col segno della santa croce.; convenendosi, riflette il santo vescovo istorico contemporaneo ed amico, il discacciar da' corpi le terribili malattie a chi aveva in sé medesimo estinti i pii.1 terribili incentivi del peccato. Ancora gli avvenne un giorno di vedersi innanzi un povero cieco, il quale piangendo la sua sventura, lo supplicava con umile istanza di toccargli colla sua mano gli occhi sepolti in tenebre. L' umilissimo santo quanto più potè si ritenne dal farlo, ma vinto dal pianger del cieco, e mossone a misericordia, fece orazione a Dio per tre giorni, e nel quarto gli pose la mano su gli occhi, così pregando: « Signore onnipotente, Figlio di Dio Padre, col quale e collo Spirito Santo regnate in eterno; voi, che concedeste la vista al cieco nato collo sputo della vostra beata bocca, voi rendete anche a questo vostro servo la luce degli occhi, affinché conosca che siete voi il Signore onnipotente ". E nel dir così, segnò la croce sugli occhi del cieco, e in quel momento se ne partiron le tenebre, e il Signore restituì loro la vista. Testimonio di questo miracolo fu l'abbate Eustachio, che al santo istorico riferì il fatto e le parole, da questo poi registrate nella sua storia. Finalmente il santo uomo Leobardo, rotto dall' assidua fatica di scavar la sua grotticella nel monte, sfinito dall' austerità del digiuno, e sempre più indebolito dall'incessante orazione, venne a informarsi. Nei primi giorni dell'infermità chiamò a sé l'amico vescovo e direttore dell'anima sua san Gregorio, lo richiese de'sacramenti della chiesa, e si dispose a morire; prenunziando ancora il sopravvivere che farebbe per alcuni giorni, e qual sarebbe stato il tempo dell'ultimo termine della sua vita mortale. Allorchè poi venne il suo tempo, volle finire con umiltà, ncll' abbandono di tutti; ond'è che mandava fuori della celletta il suo monaco assistente a preparar conforto di cibo alla sua sfinitezza; ma non andando cp1csti, perché lo scarso ci ho era pronto, allora lo mandò fuori a veder se il popolo usciva ancor dalla chiesa dopo la messa. Quel monaco andò, né si trattenne fuori che una particella di breve tempo, e tornato nella celletta, trovò san Leobardo a corpo steso e ad occhi chiusi, che aveva da perfetto solitario spirata l'anima. Dalla qualcosa, dice san Gregorio, si rendè manifesto che gli angeli si preser l'anima eroica di chi non aveva voluto uomo vivente testimone del suo transito al paradiso. Quell'assistente monaco alzò le grida sciogliendosi in lagrime, molti monaci accorsero, ne fu lavato e degnamente vestito il sacro corpo, e seppellito nella fossa scavata da lui vivo con tanto stento e così lunga pazienza.
Tal genuina istoria ci lasciò san Gregorio vescovo di Tours, che noi abbreviandola, abbiam curato che mantenesse più che poteva la divota pietà
Del suo santo autore, il quale fu caro a san Gregorio Magno sommo pontefice, e per l'ammirazione della sua grande sapienza in molte sue scritture manifestata, n'ebbe non richiesta, né desiderata, la cattedra d'oro per la sua chiesa turonese.
(DEL P. FILIPPO STANISLAO DEL PACE DELLA COMP, DI GESÙ)