San Gerardo Maiella
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14 Gennaro

SANT’ILARIO VESCOVO

Sant’Agostino e san Girolamo hanno fatto il più magnifico elogio del santo, di cui ora scriviamo la vita. Il primo, che sovente si giova della sua autorità contro i pelagiani, lo chiama illustre dottore della chiesa (1). Egli era, al dir del secondo, un uomo (2) eloquentissimo, e la tromba de’ Latini contro i seguaci d’Ario. San Cipriano e sant’Ilario, soggiunte egli in altro luogo (3), sono come due cedri che Dio ha trapiantato dal mondo nel campo della sua chiesa.14 gennaio sant'ilario

Nacque il nostro santo a Poitiers d’una delle più illustri famiglie delle Gallie (4). Egli spese la sua giovinezza nello studio dell’eloquenza. Sappiamo da lui stesso, che fu cresciuto nelle superstizioni del paganesimo, e che Dio lo condusse per gradi al conoscimento della verità (5). I soli lumi della ragione scoprirono innanzi tratto a lui, che l’uomo essendo creato libero, non era posto nel mondo, che per praticarvi la pazienza, la temperanza e le altre virtù; e che rispondendo egli a questa sua destinazione non potea fallirgli l’essere dopo questa ricompensato da un Essere supremo, e la conchiusione di sue ricerche fu che il politeismo era un ammasso di mille assurdità; che non ci potea essere altro che un Dio, e che questo Dio era essenzialmente eterno, immutabile, onnipotente, e la causa di tutti gli altri esseri. Pieno di coteste riflessioni, che la sua mente andava facendo, ei lesse la santa scrittura, e rimase forte colpito da quelle parole; io sono chi sono (6); parole onde Iddio si servì per far conoscere a Mosè, ch’egli traea l’essere da sé medesimo. La sua ammirazione venne allora ancora crescendo per lo concetto che i profeti gli diedero dell’immensità e dell’onnipotenza di Dio colle sublimi immagini, sotto le quali essi rappresentano questi due attributi. Dalla lettura dell’antico testamento egli passò a quella del nuovo. egli imparò dal primo capo di san Giovanni, che il Verbo divino, il Dio figlio è coeterno e consustanziale del Padre. A questo punto fermò la sua curiosità, naturale; sottomise il suo intelletto ad una rivelazione fondata sulla veracità stessa di Dio, ed adorò i misteri augusti, la profondità dei quali è di gran tratto superiore alle vedute dell’inferma ragione. Questi furono i mezzi che la grazia adoperò per menare il santo alla cognizione della fede. La sua gratitudine inverso Dio manifestassi di subito cogli effetti. Egli affrettossi ad accrescere il numero dei discepoli di Gesù Cristo col ricevere il battesimo. Dall’istante che Ilario fu purificato colle acque della rigenerazione, parve un uomo affatto nuovo. la sua vita fu tutta regolata sulle massime del vangelo. Egli confortava anche gli altri alla virtù, e li rendea fermi nella credenza del mistero adorabile della Trinità che gli eretici impugnavano colle loro bestemmie; e si può ben dire, che quantunque fosse egli ancor laico, parea che di già avesse la grazia del sacerdozio. Egli era prima della sua conversione maritato, e sua moglie (1) viveva ancora quando fu innalzato alla sede di Poitiers verso l’anno 353. Ma non sì tosto fu egli consagrato vescovo si separò da lei, e visse sempre in appresso in una perfetta continenza (2). Egli non si aspettava per nessun modo di divenir vescovo; e questo ei die’ a conoscere col contratto che fece per resistere alla sua ordinazione. Questa sua contrarietà veniva dalla sua umiltà, che gli nascondea il conoscimento di sue virtù e del suo ingegno; né gli lasciava vedere, salvo che i pericoli dell’episcopato.

Ma per quanto ei seppe adoperare, alfin gli fu giuoco forza arrendersi alle premure dei fedeli, che lo stimavano tanto più degno di essere vescovo, quanto più mostrava di opporsi alla sua scelta. Essi però non sbagliarono nell’opinione che avevano concepito di lui. In fatti la sua specchiata virtù e la prontezza dell’alta sua mente lanciarono da lungi cotali raggi, che attirarono sopra di lui gli sguardi di tutta la chiesa. Dopo la sua consacrazione Ilario non si risguardò che come un uomo d Dio. egli predicò i santi comandamenti della sua legge con uno zelo instancabile. I peccatori tocchi da’ suoi discorsi concepivano vivi sentimenti di compunzione, e davano un addio alle loro male pratiche. Tutta fiata egli non si preoccupava delle sue funzioni per tal modo, che trascurasse la propria salute. Egli avea posto certe ore per la pietà, e in questo esercizio raccendea incessantemente il suo fervore, ed otteneva le benedizioni copiose che Iddio versava sulle sue fatiche. La sua penna fu eziandio consacrata alla gloria di san Matteo che abbiamo ancora, in cui trovasi accoppiata l’eleganza alla solidità. Il santo commentò i salmi collo stesso gusto, quando fu tornato dal bando. Le persone celibi, ed in generale tutti gli uomini pii non potrebbero leggere mai di troppo queste due opere (1). D’allora in poi Ilario rivolse tutte le sue veglie a combattere l’arianismo, e a vendicare la fede delle empietà di quella setta. Trovasi ne’ suoi scritti uno stile nobile, sublime e fiorito; avvegnachè per avventura alcune volte di troppo studiato. In generale i suoi periodi sono lunghi, il che qualche volta ne rende in senso imbarazzato; ma questa oscurità non rattiene che le persone non abbastanza istruite (2).

Poco però sarebbe, se le opere sue non fossero commendevoli che pel loro stile. Esse ci deggiono essere assai più preziose per quello spirito di pietà, il quale ne è come l’anima (3). Ilario non vi si propone altro fine (4) che d far conoscere il nome santo di Dio, e d’infuocar tutti i cuori della sacra fiamma del suo amor. Da questo muovea il suo zelo a raccomandar l’orazione, la meditazione della legge del Signore, la necessità di offerire le nostre azioni a Dio (5) e di riferirle a lui come a nostro ultimo fine (6). Che dovremo noi dire della generosità del suo animo, per cui agognava al martirio, né per nulla contava la paura dei tormenti e della stessa morte? Pieno di riverenza per la verità, egli n’andava in traccia con ardore, e a tutto si cimentava, quando tratta vasi d’imprenderne la difesa. Questo fec’egli quando l’imperato Costanzo, che adopera vasi da parecchi anni a tutt’uomo per istendere l’arianismo in oriente, far volle lo stesso in occidente. La vittoria che questo principe avea riportato dal tiranno Magnenzio, avendogli permesso di soffermarsi alcun tempo ad Arles, i vescovi ariani, ch’egli proteggeva, ne tennero un concilio in quella città, e trassero nel loro partito l’empio Saturnino, che n’era il vescovo. Ciò avvenne l’anno 353. Due anni dopo trovandosi l’imperatore a Milano vi si tenne un secondo concilio di ariani, ove fu proposto di sottoscrivere la condanna di sant’Atanasio. Tutti quelli che nol vollero furono sbandeggiati. Tra questi furono Eusebio di Vercelli, Lucifero di Cagliari, san Dionigio di Milano, del quale Aussenzio avea usurpato la sede. Ilario dolente delle sventure della chiesa, scrisse il suo primo libro a Costanzo. Egli pregava questo principe per li motivi più forti a non voler perseguitare gli ortodossi, e a render la pace alla madre comune dei fedeli. E per meglio conoscere l’orrore in cui egli avea l’eresia, separossi dalla comunione de’ vescovi occidentali che aveano abbracciato l’arianismo. Questi erano Orsaccio, Valente e Saturnino. Anzi ei recossi ad accusare quest’ultimo al concilio di Beziers. Costanzo informato da Saturnino di ciò ch’era avvenuto, ordinò a Giuliano Cesare (1), che comandava nelle Gallie, di esiliare in Frigia sant’Ilario e san Rodano di Tolosa. I vescovi delle Gallie, che erano quasi tutti ortodossi, rimasero uniti di comunione col nostro santo, né vollero mai acconsentire che la sua sede fosse occupata da un intruso, di maniera che anche dal suo esilio verso la metà dell’anno 356, mostrando somma allegrezza per essere divenuto degno di sofferire per amor di Gesù Cristo. Mai gli uscì di bocca un lagno de’ suoi nemici, né dei disagi inseparabili da un lungo e penoso cammino. La sua anima della più intima maniera unita a Dio trionfò con costanza di tutte le persecuzioni suscitategli contro dall’inferno. Sant’Ilario impiegò il tempo ch’egli stette in Frigia (2) a scrivere molte dotte opere, la principale e più stimata delle quali è il suo Trattato della Trinità, che è diviso in dodici libri. Prova in esso il santo con una maniera la più soda consustanzialità del Padre, del Figliuolo e dello Spirito santo: insegna che la chiesa è una, e che tutti gli eretici sono fuori del suo seno; che essa è distinta dalle loro differenti sette per ciò stesso che, conservando sempre l’unità, tutte le combatte e confonde, benché da sé sola faccia fronte a tutte; che ella trova il più bel vanto de’ suoi trionfi nelle continue divisioni che regnano tra i partigiani dell’errore (3). Egli mostra che l’arianismo non può essere la dottrina vera, perché non fu rivelato a san Pietro trascelto fondamento irremovibile della chiesa fino alla consumazione de’ secoli; a san Pietro, la fede del quale non mancherà mai, perché Gesù cristo ha pregato, che ella non venisse mai a fallir; a san Pietro, che ha ricevuto le chiavi del regno de’ cieli, e di cui Iddio ratifica lassù i giudizi, benché pronunziati qua giù sulla terra (1). Egli strigne ancora altrove gli stessi argomenti (2), che in fatti sono decisivi, né l’eresia può assolutamente cansarne la forza. Il punto della divinità di Gesù Cristo è trattato eziandio con tali sublimi concetti, che non lasciano agli ariani alcuno schermo. Il santo dottore la dimostra coi miracoli operati alle tombe degli apostoli e dei martiri, com’anco per la virtù delle loro reliquie; la dimostra ancora con fatti strepitosi e mirabili (3), contro ai quali non si può mover dubbio senza rinunziare ai primi principi, e soprattutto dagli orribili ruggiti che metteano i demoni in presenza delle sacre ossa di quelli che avevano versato il sangue per Gesù Cristo (4).

Il libro sui sinodi, o sullla fede degli orientali comparve alcun tempo dopo, cioè l’anno 358. L’obiettivo di quest’opera era di spiegare i termini di cui si servivano gli ariani, e d’accennare tutti i cambiamenti della loro dottrina nei differenti sinodi da essi tenuti. Era il nostro santo ancora in Frigia, quando seppe che la sua figlia Apra, che avea lasciato nelle Gallie, pensava di maritarsi. Egli avrebbe amato più presto che ella volesse passare tutta la vita rimanendogli vergine, stato più perfetto del matrimoni. Egli non perdette nulla di meno la speranza, che Gesù Cristo le facesse tal grazia. Ei gliela domandò per essa, e scongiurollo di mettere nel novero delle sue spose una figlia, di cui egli nulla più desiderava che la perfezione. I suoi prieghi furono esauditi, come siamo per vedere. Scriss’egli a sua figlia una lettera (5), in cui le faceva vedere, che se ella era generosa di tanto da non desiderare uno sposo mortale, degli abiti sontuosi, e tutto ciò che solletica la vanità de’ mondani; ella riceverebbe da Gesù Cristo una gioia infinitamente più cara, e di cui non potrà nemmeno ravvicinare l’idea. “Potreste voi, dicevate in seguito, disapprovare i miei sentimenti e il desiderio che io di vedervi conservar l’inestimabile tesoro della verginità? Io non bramo che il vostro bene, e il vostro maggior vantaggio. 

A questa lettera egli aggiunse due inni, uno per la mattina, e l’altro per la sera (1). Apra seguì il consiglio di suo padre, e morì santamente a' suoi piedi, quand'egli fu tornato dal bando.
In questo tramezzo l'imperatore fe' raunare a Seleucia nell' Isauria un concilio composto quasi tutto di eretici. Sua mira era di annientare i canoni di Nicea. Sant' Ilario nel quarto anno del suo esilio fu invitato a questo concilio dai semiariani che speravano di tirarlo al loro partito, e di trarne costrutto per confondere quelli che insegnavano punto per punto la dottrina di Ario. Egli vi si recò, e non tardò molto a far conoscere che era superiore a tutti i risguardi umani; perciocchè egli v'imprese coraggiosamente la difesa della fede, senza che nulla valesse a piegarnelo. Ma quando udì le bestemmie orribili, che si proferivano contro la divinità di Gesù Cristo, si ritirò a Costantinopoli. E avvegnachè v'avesse trovato un principe debole, che proteggea ora gli ariani, ora i semiariani (2), egli non si rimase dal presentargli un memoriale(3),in cui domandavagli permissione d'avere in pubblico delle conferenze con Saturnino autore del suo bando-. Esortavalo a dichiararsi
finalmente per la vera dottrina, che gli ariani si sforzavano di adombrare
colle loro empietà, e passava in seguito ai continui mutamenti di questi eretici, e metteva sottilmente in canzone quella moltitudine di simboli contraddittorii, che andavano di continuo facendo. «L'anno passato, soggiugnea, ne hanno fatto quattro; la fede non è più la fede dei vangeli, ma quella dei tempi, o piuttosto ci ha tante fedi quanti capricci; tale diversità nella dottrina, quale vi ha nei costumi; tante v' hanno bestemmie, quanti vizi. Gli Ariani, continuava egli, dan fuori tutti gli anni, anzi pur tutti i mesi, nuovi simboli per distruggere gli antichi, e dire anatema a quelli che vi si appiccano ( 4 ). Essi han sempre sulla lingua la santa scrittura e la fede apostolica; ma ciò fanno per ingannare i deboli, e combattere la dottrina della chiesa » . Finiva collo scongiurare questi eretici di rientrare nel porto, da cui i pregiudizi e lo spirito di partito li avea allontanati; perciocchè questo era l'unico mezzo di far cessare la confusione, in cui essi mal avventuratamente s'erano immersi. La disfida, che sant' Ilario avea proposto a Saturnino, mise in ispavento gli ariani; essi paventavano le conseguenze di una disputa, che si sarebbe sicuramente volta in discapito della loro causa; però impegnarono Costanzo a liberar l'oriente da un uomo, che altro non era a loro detto che un’imbroglione e turbatore della pace. Egli s'arrese ai loro voti. Il santo vescovo di Poitiers fu rimandato nelle Gallie verso l' anno 360 di Gesù Cristo. Non fu però rivocata la sentenza, che in avanti era stata fatta, di mandarlo in bando. Il nostro santo di ritorno alla sua diocesi traversò l'Illirio e l'Italia. Da per tutto egli rincorava i cristiani deboli e vacillanti nella fede . Da ultimo giunse a Poitiers, dove fu ricevuto colla più viva allegrezza. Tutti i fedeli risguardavano come un giorno di trionfo quello, in cui ebbero la fortuna di veder il loro vescovo. San Martino suo antico discepolo, non sì tosto intese la nuova del suo ritorno, corse a lui per riprendere i suoi primieri esercizi di pietà sotto la condotta di sì esperto maestro. La prima cura d'Ilario fu di riunire un concilio nelle Gallie (1). Vi si condannarono gli atti del concilio di Rimini, che aveva ommesso il termine consustanziale. Si passò in seguito all'esame del processo di Saturnino, che fu scomunicato e deposto come colpevole d'eresia e di molti altri delitti. Questo concilio portò i più felici effetti. Gli scandali cessarono; la fede fu rimessa in tutta la sua purezza; la disciplina della chiesa ricoverò il suo primo vigore; la pace successe al torbido, e la pietà ricomparve in tutto il suo fervore. Nulla più s'avea a temere delle persecuzioni degli ariani, che, perduto l'imperatore (2), aveano perduto il loro più forte sostegno. Allora sant'Ilario diede fuori la sua Invettiva contro Costanzo, in cui usa espressioni assai agre, quantunque egli avesse una straordinaria dolcezza. Si ha però a credere, che ciò facesse per forti ragioni che noi non sappiamo.


Il nostro santo fece un viaggio a Milano nel 364. V'ebbe una disputa con Aussenzio, che avea usurpato la sede di quella città, e lo costrinse a confessar pubblicamente, che Gesù Cristo era veramente Dio, e consustanziale al Padre. Quest'eresiarca che aggiugnea l'ipocrisia all'empietà, presentò una confessione di fede equivoca. L'imperator Valentiniano vi si lasciò accalappiare, e lo credette cattolico; ma sant'Ilario scoverse questo mistero d' iniquità, e mostrò che Aussenzio era uno scaltro, che dissimulava i veri suoi sentimenti. L'evento non arrise al suo zelo, perciocchè gl'inimici della chiesa avendolo dipinto come un turbator della pace, l' imperatore ordinogli di sortir di Milano. Fu egli dunque costretto di tornare a Poitiers, ove morì l’anno 368. La sua morte avvenne ai 13 di gennaro, o al primo di novembre; perché il suo nome è notato nell’un giorno o nell’altro in martirologi molto antichi.
Il breviario romano fa la festa di sant’Ilario ai 14 di gennaro, giorno in cui forse si fece alcuna traslazione delle sue reliquie. La prima si fece a Poitiers sotto il regno di Clodoveo I, se si ha a credere al p. le Cointe. Ma sembra che una porzione di queste reliquie sia stata onorata nel Limosino, avanti la traslazione di cui abbiamo detto testè. Del resto le ossa preziose di sant’Ilario erano ad antico in una grande venerazione a Poitiers, ove si crede che gli Ugonotti le bruciassero nel 1561. Ma ci ha tutta la verosimiglianza, che il furrore degli eretici non si sfogasse che sopra una parte delle ossa del santo, o forse sulle ceneri rimaste nella sua tomba, perché le sue reliquie furono traslocate da Poitiers alla badia di san Dionigi in Francia.
Venanzio Fortunato vescovo di Poitiers ha scritto un libro dei miracoli di sant’Ilario, che è stato aggiunto alla vita dello stesso santo scritta da un altro Fortunato. Noi troviamo eziandio in san Gregorio di Tours, in Flodoardo ecc. il racconto di parecchi miracoli operati alla sua tomba.
Sant’Ilario fa osservare che la semplicità di cuore è la virtù più essenziale in un discepolo di Gesù cristo. “In fatti, dice questo Padre, il divin salvatore ci assicura, che nessuno può entrare nel regno dei cieli, se non diviene somigliante a un pargolo, e se con la semplicità, a questa età naturale, non si sbarbano dal cuore tutti gli sregolati affetti. E che veggiam noi, aggiungn’egli, in un fanciullo? Questi è ubbidiente ai cenni di suo padre; vuol bene a sua madre; non conosce né orgoglio, né odo, né avarizia; ascolta con dolcezza, e crede facilmente alle verità che gli sono insegnate. Felice l’uomo, che ha tali disposizioni in suo cuore! Egli cammina diritto in sula via che mette capo al cielo. Procuriamo dunque di tornare alla semplicità dell’infanzia, la quale sola può darci alcuna somiglianza con un Dio umiliato”. In questo consiste la follia della croce. Questa semplicità spegne in noi l’accortezza della carne e la sapienza del mondo, che è il principio della superbia, la sorgente dell’infedeltà, e il nemico inconciliabile collo spirito di Gesù Cristo. Questa sostituisce ai nostri vizi e alle nostre tenebre quella prudenza perfetta, la quale è madre di tutte le virtù, e quel lume celeste, che è il frutto della grazia. Questa c’ispira l’orrore d’ogni artifizio e d’ogni doppiezza; questa ci rende insensibili ai nostri interessi, e ci fa contare per nulla tutte le dimostrazioni di stima, di cui i partigiani del secolo sono vaghi cotanto. Iddio solo è la meta dei suoi desideri, né ella altro fine si propone, che d’essere stretta con lui perfettamente. Non è d’uopo cercare altrove, che nel difetto di questa semplicità, i miserabili sbagli in cui sono caduti gli eretici, e la terribile ostinatezza con cui hanno chiuso gli occhi ai lumi della fede. Da questa medesima sorgente derivano que’ sistemi empi e stravaganti, che fanno oggidì gemere la religione, nel tempo stesso che adontano le prime nozioni del senso comune. I padri della chiesa ponno ben mettersi a paro coi nostri preteso filosofi per la vastità delle loro cognizioni, e per la perspicacia dello ingegno, e tutta volta essi vivevano in questa spirituale fanciullezza tanto accomandata da Gesù Cristo. Questi grandi uomini sapevano, che Dio non si comunica che agli umili; che egli non s’accosta che alle anime semplici; che si diletta di abitare con quelli, che camminano con semplicità; e che egli respinge da sé tutti quelli, che se gli appressano con un cuore scaltrito.

(DALL’AB. ALBANO BUTLER)

NOTIZIE DELLE OPERE DI SANT'ILARIO

Gli scritti che ci rimangono di sant'Ilario sono: 1 I Commentari sui Salmi. Non furono a lui composti, che dopo i libri della Trinità, perché nella spiegazione del salmo 67 vi sono citati. Non si è avuto però riguardo a metterli i primi, pel rispetto dovuto alle nostre sante scritture. Il santo dottore vi è intento a dispiegare ugualmente la lettera e lo spirito dei salmi, e vi tiene una via di mezzo tra quelli che, attenendoi al solo senso letterale e puramente storico, credevano non doverne cercare altro, e quelli che tutto riferendo a Gesù Cristo immaginavansi che i salmi non avessero alcun senso proprio e letterale. Egli si pare che avesse spiegato tutto in Salterio. Ma Coustant non potè rappezzare che una parte di quest’opera nella sua edizione delle opere di sant’Ilario, che uscì nel 1693 a Parigi. In quella che il marchese Scipion Maffei pubblicò a Verona nel 1730, si trovano alcuni frammenti di commentari sopra i salmi, che si crede esser di questo padre, e che non erano stati a cognizione dell’edizione di Parigi. Martenne pubblicò nel 1733 sopra un mss, di Anchin dei nuovi commentari di sant’Ilario sovra alcuni altri salmi. Vedi la sua Aplissima Monumenatrum Colectio t. 9 p. 55.
I commentari sopra il Vangelo di san Matteo. Questa fu la prima opera di sant’Ilario. Egli servissi nel comporla di Origene, di cui cita parecchi passi. Ma insiste meno di questo padre sul senso allegorico. Il nostro santo dottore è uno de’ primi padri della chiesa latina, che siasi posto a commentar la scrittura, poiché questa maniera di travaglio era ignora in occidente prima di Retico d’Autun e di san Vittorino di Passavia, che scrivevano in quel cominciamento del quarto secolo. Bisogna per altro notare che quest’ultimo scriveva in greco. I commentari di cui parliamo racchiudono eccellenti istruzioni sopra tutte le virtù cristiane, e massime sulla carità, sul digiuno e sull’orazione.
I dodici libri della Trinità scritti da sant’Ilario nel suo esiglio in Frigia tra gli anni 356 e 359. Provasi nel primo libro, che l’uomo non può trovare la sua felicità che in Dio, e che la rivelazione è l’unico mezzo che noi abbiamo di conoscere la divina natura. Nei libri susseguenti il santo dottore stabilisce il mistero della Trinità, e ribatte le diverse obbiezioni degli eretici che la combattevano. Gli antichi avevano in tanto proprio pregio quest’opera, che la faceano andar avanti di tutto ciò che bisognava leggere per rassodarsi nella fede della Trinità, per premunirsi contro i lacci dell’eresia, e scoprirne le astuzie ec. Essi ne lodavano l’eloquenza e ne approvavano la dottrina. Vedi Cassiodoro, Rufino, San Girolamo, Sozomeno.
Il libro dei Sinodi, intitolato anche qualche volta della Fede degli orientali, fu scritto dal santo alla fine del 358 o al cominciare dell’anno 359. Egli è una specie d’avvertimento che sant’Ilario dà ai vescovi delle Gallie e della Gran Bretagna rispetto ai concili che erano per essere tenuti a Rimini e ad Ancira. Si può dividere questo libro in tre parti. Nella prima il santo dottore loda i vescovi delle Gallie sull’integrità della loro fede, che aveali mossi a non comunicare cogli ariani, e a condannare la seconda formula di Sirmio. Previene nella seconda gli abusi, che si avrebbe potuto fare dei termini di consustanziale e di somiglianza in sostanza. Nella terza loda i deputati del concilio di Ancira dell’essersi opposti all’empietà di Sirmio, e per avere astretto coloro, che n’erano gli autori, a disdirsi; indi confuta le ragioni che adducevano quelli che aveano stesa la formula di Sirmio per giustificarsi dello avere rigettato i termini di consustanzialità e d somigliare in sostanza. San Girolamo faceva grandissima stima del libro dei sinodi di sant’Ilario, cui anche trascrisse di sua mano trovandosi a Treveri. Quest’opera somministrò grandi schiarimenti per la storia dell’arianismo, e la lettura di essa ci fa concepire la più alta idea di chi ne fu l’autore.
La lettera di sant’Ilario a sua figlia. Di questa abbiamo parlato nella vita del nostro santo, come anco de’ suoi inni.
I libri a Costanzo. Il primo composto al più tardi verso il cominciamento dell’anno 356 è scritto a foggia di un memoriale apologetico, a fine che l’imperatore accordasse ai cattolici la libertà di esercitare la loro religione coi loro vescovi. Il secondo è pure un memoriale. Sant’Ilario lo
presentò a Costanzo nel 356, trovandosi a Costantinopoli ove gli acaciani tenevano un concilio. Egli domandò all’imperatore la permissione di giustificare la fede cattolica, anche dinanzi al suo cospetto.
Il libro contro Costanzo. La mira del santo era non già di rampognare l’imperatore, sì di difendere la fede cattolica. E si trovansi a tratto in quest’opera delle espressioni che sembrano agre, piuttosto che darne la colpa ad uno zelo soverchio, egli si vuole attribuire a un amore ardente per la verità.
Il libro contro Assenzio, composto anzi l’anno 367. Sant’Ilario vi scopre tutti gli artifici d’Aussenzio vescovo ariano di Milano.
Il libro dei frammenti, che ci restano della storia, che sant’Ilario aveva fatto dei concili di Rimini e di Seleucia, porgerà dei materiali importanti a chi vorrà scrivere sull’arianismo. Trovansi, è vero, alcuni luoghi oscuri nelle opere di sant’Ilario; ma questa oscurità non è tale, come alcuno potrebbe immaginarselo; e già lo abbiamo osservato nella vita del santo. Egli fu sempre avuto in conto di un dotto vescovo, e di un eccellente dottore: fu riguardato come un astro scintillante, che Dio fe’ spuntare in un tempo, in ci le porte dell’inferno stavano già per prevalere contro la chiesa di Gesù Cristo, come un uomo eloquentissimo che colla forza dei suoi ragionamenti, colla bellezza dei suoi concetti, coll’unzione dei suoi discorsi, si rende donno ad un tempo dello intelletto e del cuore. Per questo san Girolamo lo rassomiglia al Rodano, che nella rapidità delle sue onde trascina tutto ciò che se gli fa incontro.
Le edizioni più apprezzate delle opere di sant’Ilario sono quelle di Coustant Benedettino della congregazione di san Mauro, e del marchese Scipion Maffei. La prima sortì a Parigi nel 1683, la seconda a Verona nel 1730. 

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  5. Diritti dell'Utente

    Gli Utenti possono esercitare determinati diritti con riferimento ai Dati Personali trattati dal Titolare. In particolare, l’Utente ha il diritto di:

    • revocare il consenso in ogni momento;
    • opporsi al trattamento dei propri Dati Personali;
    • accedere ai propri Dati Personali e alle informazioni relative alle finalità di trattamento;
    • verificare e chiedere la rettifica;
    • ottenere la limitazione del trattamento;
    • ottenere la rettifica o la cancellazione dei propri Dati Personali;
    • ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti;
    • ricevere i propri Dati Personali;
    • proporre reclamo all’autorità di controllo della protezione dei Dati Personali.
  6. Titolare del Trattamento

    Il Titolare del Trattamento è TC65 S.r.l., con sede in Via Trinità 41, 85054 Muro Lucano (PZ), Partita Iva 01750830760, indirizzo email: info@sangerardomaiella.it

Ultimo aggiornamento 27/07/2021