28 Gennaro
SAN CIRILLO PATRIARCA DI ALESSANDRIA
Cirillo di Alessandria tiene luogo fra le potenze intellettuali di primo ordine; si è uno di que' santi la cui vita si associa eminentemente ai fasti della chiesa orientale. Nacque di illustri genitori in sul declinare del secolo IV.
Addimesticatosi fin dalla giovinezza con le virtù più generose, non visse, non respirò che per esse. Disposto dalla sua pietà ad essere nomo di chiesa, fu educato con grande successo all' amore delle più utili discipline. Ebbe in verde età il coraggio di pesare con giusta bilancia le tante inezie uscite dalla testa dei novatori, le tante dispute di parole e di interpretazione in cui si erano perduti i più gravi ingegni. Versato nello studio profondo de' Padri, uso a formulare sempre con logico procedimento le sue idee, ricco in ogni maniera di doti attinte alla coltura delle lettere amene, nemico della cicca servilità di ripetere l'uno dopo l'altro gli elogi dell'antico sapere, depositario di una erudizione vastissima, si giovò di tutto per appianare la strada alla verità. Ma più contribuì a fare di lui un oggetto di grande interessamento l'energica potenza della parola, con cui annunziava il suo pensiero.
Il grido in che era salito Cirillo e per la severità del costume e per l'ampiezza della dottrina, mosse lo zio Teofilo, patriarca di Alessandria, a dirlo prete alessandrino, e a dividere con esso lui il grave peso del ministerio.
Appassionato per lo studio della scrittura, sostenitore operoso delle verità ortodosse, giunse Cirillo a rimovere un lembo di quel velo che nella Nitria nascondeva i segreti dell'origenianismo, e le viete tradizioni dell'antropomorfismo.
Non eravi tenore di occupazione ad uso di tempo che non cospirassero con incessante accordo all'aumento di simili cognizioni, quando per un secreto invito dell'orgogliosa imperatrice Eudossia volò con lo zio e con un seguito di vescovi egiziani da Alessandria a Costantinopoli. Fu allora, che Cirillo ebbe prova non essere immuni gl'ingegni più grandi dal cadere in errori; che vide sulle sponde del Bosforo il Crisostomo starsi tranquillo al lamentar di Teofilo, al fulminare di Eudossia, travagliarsi nell'arte d'impegnare le passioni in servizio della virtù, e di esporre con verità franca ed ardita la follia non meno che la bruttezza del vizio. Avviluppato in tutti i casi che gittarono nel 403 il concilio della Quercia, sorvolò alle insorte tempeste, e di ritorno in Egitto gli passarono per mano i più rilevanti affari, tinse di suo colore gran parte degli scritti di quella età. Sostenuto da Antimio, il vincitore di Uldino, raffermato da Pulcheria a sorella di Arcadio e di Marina, sedeva sul trono di oriente il giovine Teodosio. Alla innocenza e ai meriti di Crisostomo aveva applaudito la giustizia del cielo; Papa Innocenzo I ricusava comunicare con Attico patriarca di Costantinopoli e cogli orientali a causa del Boccadoro perseguitato fin dopo morte, quando la chiesa alessandrina ebbe a deplorare la perdita di Teofilo: poi allo spegnersi del parteggiar di Timotero, ad allegrarsi nel 442 della elezione di Cirillo a patriarca. Abbattutosi con una età posta fra il fatalismo degli antichi e la provvidenza del cristiano, fra il dubbio ed il dogma, fra Pelagio e Nestorio, rivelò egli la pubblica corruttela, alzò una voce che forte risonando tra prosperità e sventure valse da poi ad accordare migliaia di voci disparate, a informare la vita de’ suoi contemporanei, a conquidere le resie in che si avvenne.
Troppo bella era Alessandria perché veduta non invaghisse gli Ebrei, amanti del commercio, a istanziarvisi fino dai tempi del gran Macedone. A giorni che discorriamo, eravi a capo della sinagoga quel Gamalielo di cui parla Girolamo, e che avverso allo zelo di Cirillo animava i suoi ad infierire contro a’ cattolici. Secondato da Teodosio, ebbe Cirillo forza di resistere alla stemperata brama di quelli, e di disperderli per le province dell’Asia. Uomo di grande animo a non lasciarsi abbassare dalle ingiurie, di maggior cuore a difendere le dottrine ortodosse, intese compiere le eterne pagine, che sui misteri della fede dettava: offuscò la vanità di Socrate e di Damascio che il dicevano autore puranco del tragico fine di Ippazia. Pesandogli sul cuore che i seguaci di Novazio deporre non volessero il filosofare degli Stoici, e che rabbiosi si stessero in Alessandria per infettare l’Egitto, pensò cacciarli, e ne ebbe vittoria. Attraversando il sistema di Celestio per combattere Pelagio, e tronvando nell’opposizione agli errori il germe delle idee che venivano sviluppando i concili africani, gli caddero dalla penna più scritti sulla necessità di una grazia interiore, attuale e preveniente. Lontano dall’appropriarsi quell’orgoglio che si attribuivano gli eroi delle profane novità, fu visto cedere a’ consigli dell’amico Pelusiota, e con quella gioia celeste, che empie l’anima di chi ha compiuto una bella azione, registrare nei dittici alessandrini il nome venerabile del Crisostomo. Mancato a’ vivi Sisinnio, il clero di Costantinopoli si eleggeva a patriarca Nestorio, prete antiocheno, amico di Teodoro vescovo di Mopsuesta, erede dello spirito di Pelagio. Sotto il velo di simulate virtù si diè costui a fulminare contro i seguaci di Manete, fece calare i suoi d ardi sopra ogni setta tranne quella che mirava a stabilire la inutilità della redenzione. Appuntato fra breve di essere infetto dei sentimenti di Paolo di Samosata suo zio, poco stante di aver dato fratellevolmente la mano a 'nemici della grazi a, Nestorio non arrossì: anzi inorgoglito della eminente sua carica , ma più ancora del favor dei potenti, fu udito sostenere non essere Maria l vera madre di Dio.
Ben presto uno zelo diretto da' fanatici capi portò nell'oriente e nell'occidente danni oltre ogni credere, e precipitò ingegni di altissimo grido nel più fitto della resia, da cui per gli sforzi di Agostino, e per gli anatemi di papa Zosimo pareva la chiesa essere uscita. Anco il bene, che Cirillo in fra tanta empietà aveva desiderato alla corte di oriente, procacciato a Nestorio in più scritti a fine di farlo ravvedere, perì. Rimase a più monaci dell'Egitto il danno di avere accolto le dottrine del novatore; a più chiese dell'Asia di avere offuscato quanto ancor rimaneva dell'antica purezza; a Teodosio di aver soffocato nelle più atroci calunnie dell'eresiarca la voce del circospetto Cirillo.
In questo mezzo di tempo la vista dell'Africa incoraggiava i Vandali a piiù audaci imprese, e Celestino I pontefice era tutto inteso a mozzare a'barbari le strade d'Italia, a spedire in Roma il diacono Possidonio dagli affari nestoriani, per cui era ito colà a nome di Cirillo. Vigile in suo timore l'eresiarca, si era anch'egli. recato in miglior guardia, e presumendo con un colpo avventato dare buon termine ali' impresa, avea scritto al pontefice. Ma ben diverso dal disegno gli avvenne; perocchè fu mestieri in giungere a Cassiano, famoso per le sue conferenze, di voltare dal greco in latino la lettera di Nestorio; impegnarlo ad opporre alla nuova resia un sano e vigoroso trattato su la incarnazione; e confondere il novatore col simbolo stesso che era in uso in Antiochia, e che egli avea professato nel suo battesimo. Né pago di questo il pontefice volle dare al fatto l'indugio di un concilio romano, che decretò la deposizione di Nestorio, ove e gli nello spazio prefisso non abiurasse gli errori. A' fianchi di Giuliano di Eclena stava Nestorio aspettando l'ora pregna del suo dubbio avvenire. Quanto poi si turbasse all'uscir fama del sinodo, qual notte trista si oscurasse per lui in udire Cirillo rivestito della autorità del pontefice lascio pensarlo a chi legge. Avvalorò tosto Cirillo con evidenza di effetti il bracci o di Rufo di Tessalonica, di Flaviano di Filippopoli, perché con sdegno di zelo e di ragione richiamassero il novatore al patto sempiterno che avea dissipato. Poscia si die' a noiare de' suoi lamenti i vesco vi d ella Siria, perché in buona pace e in sicurezza di amore ne trattassero con Nestorio. Così tollerò Cirillo, sallo Iddio, fino all0estremo, quando stancossi la sua longanimità, e chiamato nel 430 in Alessandria un concilio di vescovi suoi dipendenti pubblicò quei dodici anatemi, che poi valsero a smascherare e confondere la destrezza di Nestorio.
Peritavasi l'eresiarca cercando tempo dal tempo, e di cortesi parole confortava Cirillo; se non che mentr’egli la tentenna d'oggi in domane, Teodosio mosse per lettera a rimprocciare l' alessandrino come autore di turbolenze e di discordie. Così scaduto di credito alla corte, temè i falsi giudizi che nuocono ad altrui, temè lo scandalo, e dichiarando a viso aperto la volontà del pontefice si dicea confondere le accuse di Nestorio suo detrattore, a dimostrare immuni di apollinarismo le sue formule, a purgarsi trionfantemente di Giovanni di Antiochia, e di Teodoreto di Ciro, dottissimo, che lo ispacciavano eretico. Né smentì punto la fama di uomo giusto, quando
ebbe a scorgere nei vescovi della Siria portata molt'oltre la iattanza di basse gare e d'ignobili sdegni contro a sé. Ma fra poco Teodosio tornò a mostrarsi o tenerissimo della fede, e inviando a Roma Petronio, uno dei primi uomini del suo secolo quindi vescovo di Bologna poi santo, pregava il pontefice a troncar le dispute dei dogmi, a quietare le coscienze, a condannare chi sentisse altrimenti dalle dottrine cattoliche. Non ebbe a tentare invano Petronio i mezzi della persuasione, né dubitare Cirillo di sua conforma a vicario apostolico nel concilio ecumenico da congregarsi in Efeso.
Veleggiando Cirillo nel 431 per al sinodo approdò in Rodi, ove con tutto nervo di ragioni scrisse agli Alessandrini per raffermarli nella fede.
Da una fiera tempesta balzato su le rive dei Caistro, si compiacque mirando l'aspetto di Efeso, le cui mura felici gli ricordavano il soggiorno della Vergine, la dimora con essa dell'Evangelista, le visioni di questo. Accompagnato dalla venerazione dei vescovi ortodossi, fece udire nuovamente all'Egitto l’efficacia delle sue parole, e affrettando in cuor suo lo sviluppo della giustizia e della verità, osò dir tutto a chi tutto ardiva. Intento co' padri a far rivivere l'unità cattolica, lamentava essersi dai Vandali chiusa a' vescovi dell'Africa ogni strada pe1 unirsi al sinodo esercitarsi sui pubblici affari una influenza assai viva cl a Giovanni patriarca a antiocheno, che lento a giungere in Efeso era sempre incongruente, sempre chimerico, forte nell'opposizione e nell'inventiva: trovarsi Candidiano, contee e commissario di Teodosio al concilio, interamente di accordo con Nestorio . Intanto in Efeso si faceva l'eresiarca più audace dell'audacia stessa: unica mira si poneva il distruggere le istituzioni cattoliche.
Ma Cirillo a guisa di uomo che in un difficile lavoro vuole prima di tutto farsi spacciato della parte più penosa, citava Nestorio a comparire nel sinodo.
Al tacer di lui succedeva quel sentenziare de’ padri, che die’ l’ultimo crollo all'edificio del novatore già minato e dalle lettere e dalle apologie di Cirillo. Fu allora, che intorno a lui per aver cooperato efficacemente alla deposizione ed alla condanna di Nestorio si strinse esultante la fede, ed un grido concorde di trionfo ingrandì continuo tra Padri fino al trono della Madre di Dio. Cirillo varieggiando la veste de' suo i pensieri colle frasi della scrittura, uscì incontro a' nemii di Maria col dipingerli a Teodosio in tutto il lor vezzo.
Aprì quindi al clero della città imperiale le funeste conseguenze di una licenziosa ed incomposta libertà di pensare, che tante sciagura costava alla chiesa: scriveva a' suoi Alessandrini nulla esservi più amorevole e solenne in Efeso , che la gloria della Vergine. Ma gli scritti di Cirillo dovevano rimaner soppressi dai maneggi di Nestorio: Teodosio non doveva esser atto a rappresentare con dignità e con grazia che l'esterna figura di un romano imperatore. Occupato in vani divertimenti trascurava gli essenziali doveri dell'alto suo stato. Degenerando anche al di sotto della debolezza del padre, doveva essere stramero alla gloria degli avi, alla voce del concilio, e lo fu.
L'eresiarca favorito da Candidiano rappresentava alla corte essersi da Cirillo discussi i dogmi in tempo che si stava lontano Giovanni di Antiochia co' suoi
Vescovi; rimanersi sospetti allo scopo della religione i prelati dell'Egitto perché dipendenti dall'Alessandrino; doversi in altro si nodo di due vescovi per provincia riproporre la cosa; far d'uopo rendete eguali le forze de i metropolitani.
In questo mentre l'Antiocheno giungeva in Efeso, e sopportando impazientemente la superiorità di Cirillo collocava la sua causa là dove erano
Candidiano e Nestorio. Fattosi oppositore ai decreti del sinodo mescolatosi di fazioni, e colpito dagli anatemi seppe in Efeso indurre un concilio di prelati nestoriani a dir vera la dottrina di Pelagio, a deporre Cirillo e il vescovo Memnone, il primo per aver bevuto, come dicevano, agli errori di Apollinare e di Sabellio, il secondo per aver chiuso a' novatori templi di Efeso. Ma a petto dell'Alessandrino, che pura e maschia avea la mente, apparve bugiarda ogni accusa, e nel suo grado elevato di vicario del pontefice conservando l'integrità del dogma e il coraggio dell'eroe, udì la voce de'Padri annunziar cattolici i suoi anatematismi, la voce che poi rimbombar doveva come folgore sovra la testa del patriarca di Antiochia, e del vescovo di Ciro.
Pieno Cirillo delle care impressioni e dei soavi sentimenti, che la sua vita celestiale gli lasciavano in cuore, animava i Padri alla virilità del combattere
ed alla speranza del vincere. Ripetè l'uno dopo l'altro gli errori dei .Massiliani, e li pinse poveri di genio, privi di criterio, sedotti dalle apparenze.
Capace di conoscere a un tempo stesso e l'intimo degli uomini e le conseguenze degli avvenimenti, ebbe possanza di mostrare gli Euchiti, e gli
Entusiasti intesi a disputar su punti di credenza molte volte futili, sempre inconcludenti alta condotta morale. Protestandosi seguire il decreto del pontefice, manifestò nella piena sua luce la natura del pelagianismo, giunse al cospetto di uomini sommi, che lo avevano adottato, a cacciarlo da .Efeso. E poiché i Nestorian i si spacciavano professori della fede nicena, valse egli a
mostrare l'indole malnata di loro, a proibire l 'alterazione anche minima di
quel simbolo. Rinserrando in petto un animo fornito di una meravigliosa energia, bastò per sé solo a porre il concilio nel tentativo di scandagliare la mente dell’ambizioso Giovenale vescovo di Gerusalemme, che a danno del Cesariense e in opposizione al sinodo niceno pretendeva il primato della Siria e della Palestina. A un procedere così strano dell'Alessandrino alzarono le grida i novatori: ma trovò egli con soddisfazione nell'intimo del cuore e della propria coscienza un compenso delle sue onorale azioni. Aspettando impavido il flagello smossogli contro da Candidiano e da Jreneo conti, lo affrontò con costanza, e deponendo volonteroso le sue sorti nelle mani della
Provvidenza orò, perché venisse squarciato il velo che copriva gli occhi di
Teodosio.
Aveva il concilio partecipato alla corte imperiale tutto che di mano in mano era accaduto nelle sessioni ma a causa di quei subbugli che portavano un dì peggio che altro scisma ed odi, ninno di tanti scritti era pervenuto a Teodosio. Interpretando egli il silenzio del sinodo o a disprezzo di sua persona, o a conferma dei netoriani ragguagli, e mal sofferendo che da Cirillo, giusta il dire di questi, si fose recata a confusione ogni cosa, ed estorta la condanna di uomini in suo giudizio piissimi, mandava in Efeso Palladio Magistriano con ordine a’ Padri di secondar la giustizia, con intimo a Cirillo di rimettere in giusto assetto le cose. Certo, il tempo si addensava nero sul capo di lui; ma non sapeva indursi a temere. Contavansi per lettera a Teodosio gli’inviti, le interpretazioni, le aspettative, le preghiere fatte a’ nestoriani, i barbari trattamenti praticati agl’inviati abbenché vescovi, le ragioni dedotte dalle sacre pagine, e dai Padri della chiesa a fondamento della con dannazione degli eretici. Dimandava Cirillo di far passare alquanti vescovi alla corte per chiarirla dal vero; rappresentava i maneggi di Candidiano e di Ireneo; scriveva a’ monaci e al clero di Costantinopoli per sincerare Teodosio. Così dove più, dove meno, ma da per tutto sentivasi la voce di Cirillo. Stimolato dal sinodo, discorreva intrepido all’imperatore l’archimandrita Dalmazio come l'Alessandrino fosse stato applaudito dagli ortodossi, perseguitato dai novatori: poi seguitava a dire i mali che Cirillo aveva dall'Antiocheno: colpa del legato cesareo lo scisma in Efeso, l'avvilimento, la servitù de' padri: abbastanza essersi sofferto. Rispondeva Teodosio al concilio rimaner soddisfatto della condanna di Nestorio, pesargli però le acerbezze usate da Cirillo contro l'Antiocheno, restargli dubbiosa la sentenza, richieder prelati per informarsene, tempo per acconciar la discordia.
Ma la causa di Cirillo doveva esser travolta dai brogli di Candidiano; il cuore di Teodosio doveva esser sedotto dalla politica di Ireneo, dai sofismi di Acaeio, vescovo di Berea per età e per senno gravissimo. -- E di fatto giungeva ad Efeso Giovanni, conte ed elemosiniero, che diceva venire a nome di Teodosio per ricomporre la pace. Alle assolute parole minaccioso aggiungeva l'esecuzione dei decreti contro a Nestorio, contro a Cirillo e contro a Memnone. Quindi procedeva alla cattura dell'eresiarca: cacciava da poi prigione Cirillo e Memnone: dava questo in custodia a Giacomo conte, fidava quello a Candidiano. Assembratosi il sinodo per librare la cosa, narrava a Cesare esser bugia che Cirillo e Mennone fossero stati deposti dal concilio cattolico; non aver essi neo di quella colpa di che nel conciliabolo efesino la malignità nestoriana li figurava tinti. Confortate dal pianto de' buoni erano le mura che chiudevano l'Alessandrino: egli senza tema v'innalzava un monumento che atto esser doveva a narrare a' posteri la gloria del suo nome. Ma Giovanni per astio privato giva guastando il ben pubblico, e piangendo Cirillo con neri colori a Teodosio il poneva in punto sempre peggiore; sollecitandogIi l'esilio ascondeva la pazza intrapresa dell’Antiocheno e del suo conciliabolo: se non che mostrò fra breve il cielo, che sempre va unito il trionfo coll'innocenza.
All'annunzio che le fertili province dell'Africa, da Tangeri a Tripoli , erano messe sossopra dall'invasione dei Vandali, e che le sole città di Cartagine, di Cirta e di Ippona erano rimaste quasi a galla nel rovinoso furore, Teodosio aveva unito alle forze di Placidia le sue. In mezzo poi ai trambusti nestoriani erasi da lui udita la perdita di una seconda battaglia, la quale irreparabilmente decideva il destino dell'Africa, e poneva in angustia la stessa corte di Costantinopoli. La saggia Pulcheria, tra tutti i discendenti del gran Teodosio la sola che ereditasse una parte del virile suo spirito e della sua capacità, colse il momento di questo infortunio per richiamare la corte a savi riflessi. Nemica costantemente alla cabala de' novatori istruita già da Cirillo su le questioni che agitavansi, indusse l'imperatore a' dar regola al male andare. Chiamati da Efeso a consulta alquanti vescovi per parte, lodò egli la condanna assoluta di Nestorio; rese a Memnone e a Ciriìlo quegli onori che aveano saputo. acquistarsi a prezzo di eroiche azioni; interdisse a' novatori ogni congrega; più tardi dannò alle fiamme ogni scritta fattasi contro i concili niceno ed efesino, contro la dottrina di Cirillo.
Poi che dal pontefice Celestino furono approvati i decreti del concilio, Cirillo commiato dai legati della sedia apostolica e da' padri. Credendosi in buon essere abbastanza da poter sostenere i disagi del mare, dalla foce del Caistro tragittò in Alessandria, ove con festa lo ricevettero i suoi,
Fattosi petto e braccia a combattere gli errori di Teodoreto vescovo di Ciro vergò più scritti. Pronto, operoso, sicuro nello scorgere il lato manchevole deg1i uomini e delle cose, confuse i Quartadecimani. Così operando gli tornava sempre più bello il giorno, in che fu da lui in Efeso acclamata Maria per vera Madre di Dio, in che Pulcheria le innalzò sontuosissimo il tempio in Costantinopoli. Queste memorie felici lo guiderdonavano delle durate fatiche, lo compensavano dei danni dell'età, lo avvaloravano a nuove sollecitudini.
Ricco di una pietà ch'era da per tutto lodata, di un'ammirabile purità di vita, di una carità, di una vigilanza pastorale indicibile, costantemente sentivasi ch’egli senza confronto era il maggiore del suo tempo. Possente ad unire i più discordi elementi, a convertire fin lo stesso pericolo a diventare istrumento de' suoi retti disegni, era egli l'uomo sostenuto da Dio per togliere dall'oriente lo scisma.
Se del conquiso nestorianismo crasi allegrato Celestino; malagevole è dirsi a parole quanto egli si rimanesse doloroso, allora quando si udì esser restio l'Antiocheno ad anatematizzare la dottrina di Nestorio, ad approvarne la deposizione. Ma saliva poco stante al trono di Pietro Sisto Ili, quel desso a cui Agostino avea indiritto la famosa lettera su la grazia, e all'amore della pace volgendosi ne scriveva a' vescovi di ritorno dal concilio efesino. Teodosio se ne mostrava sollecito: Cirillo aveva la magnanimità di fare i primi passi in verso i suoi detrattori. Tornava a dire espressamente anatema ad Apollinare; dava un’ampia spiegazione della sua dottrina su la incarnazione; quanto a' dodici anatemi prometteva di contentar tutti, tosto che questa materia potesse trattarsi con franchezza e cordialità.
Né scrisse invano Cirillo. Si mosse fra breve il patriarca antiocheno a volere veramente il meglio: eccitò in un concilio i suoi partigiani a secondarlo: commise a Paolo vescovo di Emessa a sedere in Alessandria arbitro della pace orientale. Costui che per natura era d'ogni grandezza capace, che col sapere era salito ai primi gradi della chiesa, crebbe in rinomanza, quando
depose gli umori di parte, e tranquillo su le spiegazioni di Cirillo salutò Maria vera Madre di Dio, Madre del vero Emmanuele, del Santo de' santi, del Dio ed uomo tutto insieme. Né gnari andò che Cirillo ahbondante di coraggio, forte di volontà, coadiuvato da Pulcheria, valse a sottrarre l’Antiocheno dal gigo nestoriano. Ammettendo questi la esposizione di fede dettata da Cirillo all'Emesseno, confessò chiaramente due nature ed una sola persona in Gesù Cristo, approvò la deposizione di Nestorio, e riconobbe Massimiano a patriarca di Costantinopoli. Con qual vantaggio della chiesa orientale procurasse da poi di sottomettere alla decisione dei punti di fede il celeberrimo Teodoreto di Ciro, per tacermi di altri, ognuno lo sa. Agitato da una vicenda di casi, cui niuna fu pari, Cirillo riposava su tanta gloria, e creando un'età di pure dottrine, finiva da santo la vita nel 444 in Alessandria. La sua festa è celebrata dai Greci il 18 gennaro, dai Latini il 28 dello stesso mese. Chi non è uso con Fozio e coi protestanti a ragionare stortamente, ad alterare, a difformare le cose a grado della prevenzione dello spirito, scorgerà nelle opere di Cirillo l'uomo di genio che attinse le inspirazioni dal vero, che seppe svolgere da filosofo i canoni dell'arte, che tentò la riforma del secolo, e vi riuscì. Poche parole crediamo sufficienti per annunziare gli scritti che ci lasciò. Mostra nel trattato dell'adorazione aver piena la mente di tutti i sensi allegorici e morali del Pentateuco. Veggiamo l'animo di lui ammisurato ed alto e sempre cheto nei tredici libri chiamati Glaphyres, cioè profondi e piacevoli: vi segnò una strada di luce vivissima alla storia del Pentateuco abbracciando Cristo e la chiesa. È lavoro degno dell'età di Girolamo e di Agostino il commento sopra Isaia e sopra i dodici minori profeti. Non vi ha sapiente che non ammiri e sublimi quei che dettò sull'evangelio di san Giovanni in dodici libri: vi si offre rapito al cielo colla virtù del pensiero, vi si fa censore profondo di Manete e di Eunomio. Rivela agli spiriti intelligenti la intenzione della somma Sapienza, e dell'eterno Amore nel trattato della Trinità, che ha per titolo il tesoro. Sotto la penna di lui si vestono della vera bellezza i sette dialoghi su la Triade, i due su la Incarnazione.
Nei tre trattati sopra la fede si nota l'espressione di una sovrana intelligenza, e si svelano i secreti di Cirinto, di Manete, di Potino, di Apollinare e di Nestorio. I cinque libri sopra Nestorio scoprono a chi legge per quale via siasi elevato l'ingegno di Cirillo all' altezza cui giunse. I dodici anatematismi con le due apologie formano la migliore storia dei pensieri di lui. Merita di essere raccomandato alla meditazione dei dotti il libro contro gli antropomorfi.ti. Peccato che a' nostri dì poco più facciasi che nominare in pagine appena conosciute i dieci libri contro Giuliano l'apostata, intitolati all'imperatore Teodosio! Le ventinove omelie sopra la Pasqua si voltarono in tante lingue quante se ne parlavano nell'oriente, e i vescovi greci le imparavano per recitarle. Offerì Cirillo alla religione alquante lettere canoniche, delle quali la seconda a Nestorio, e l'altra che vedesi indiritta agli orientali, furono adottate dai concili ecumenici efesino e calcedonese; la sesta trovasi fra i canoni della chiesa greca. Una edizione nitidissima di queste
opere fu data in Colonia nel 1546 a cura del Canisio; ma migliore si è quella di Giovanni Aubert, canonico di Leon, in greco e in latino 1638 Parigi.
Noi pieni di ammirazione per tutto quello che sente di grande, ricapitolammo brevemente i fasti di Cirillo sulla scorta di sommi autori. Riempì egli di sé la storia della chiesa, adoperò con ardore alla condanna degli eretici, contrariato dai novatori meritò da Celestino pontefice il titolo di Dottore cattolico.
(D1 MONSIGNOR GIOVANNI CARLO GENTILI DA SAN SEVERINO)