19 Gennaro
SAN MARIO E COMPAGNI MARTIRI
Le imprese di san Mario e di sua invitta famiglia, che dettero generosamente il sangue e la vita per la confessione della fede santissima di Gesù Cristo, furono sgraziatamente dal vortice dei tempi assorbite e confuse a tale, che gli scrittori non vanno neppure d'accordo intorno agli atti autentici del loro martirio (1). In mezzo alla varietà delle opinioni dando noi la breve storia di questi eroici atterremo alla sostanza de' precipui fatti, i quali d all'autorità dei martirologi vengono accreditati.
Mario (2) fu naturale di Persi a, oriundo d a nobile e cospicuo lignaggio, e di molti beni posseditore. Egli s impalmò con Marta (3) pulcella anch'essa persiana e d'assai ragguardevole stirpe, e n'ebbe due figli l'uno Audiface
e l'altro Abachuc denominato. Tutti abbandonarono la falsa religione dei loro antenati per seguire quella di Gesù Cristo, onde rigenerati nelle acque e nello Spirito Santo a Dio consacrarono tutte le loro ricchezze, ed imitarono i primi. cristiani di Gerusalemme nell’impiegarle al sollievo dei grami e poveri cristiani .
Conceputo avendo Mario nel fervore di sua preghiera il pio disegno di venire a Roma colla sua famiglia per visitarvi ì sepolcri dei santi apostoli, si posero in viaggio e lo sostennero, com' è da credere, colla recita frequente
delle orazioni e coll'esercizio delle salutari meditazioni, avendo sempre nella mente e nel cuore l'oggetto sublime d'imi tare le virtù dei principi degli apostoli, desiderando seguirli fino all'ultimo supplizio, e suggellare col sangue il testimonio della loro credenza. Giunti sulle rive del biondo Tebro nel 269, e rese grazie all'Altissimo d'averneli campati d'ogni pericolo, incominciarono a ricercare i corpi dei santi per le carceri e pei sepolcri. Reggeva allora la chiesa san Dionisio martire romano sommamente commendato dai santi Basilio e Dionisio vescovo di Alessandria, e l'imperio era governato da Claudio II (1). Il quale avendo r acceso il fuoco della persecuzione, o ridestandolo c on più furore Lucio Domizio Aureliano che gli successe, vedevansi molti cristiani barbaramente uccisi, e moltissimi chiusi nelle dure prigioni. Mario colla sua famiglia qual altro Tobia si occupava a ricercare i corpi degli uni per onorarli di sepoltura, ed a soccorre re gli altri nella loro bisogna. Mentre c on tutta frequenza e sollecitudine facevano qui e colà delle indagini, vennero nella XIV regione aldilà del Tevere nell'antico campo, che dicevasi dei portator di lettighe. Quivi trovarono in carcere un venerevole personaggio chiamato Quirino o Cirino, il quale aveva sofferte molte battiture per lo nome di Gesù Cristo, ed era stato spogliato di tutte le sue sostanze. Al vederlo Mario e Marta di lui consorte e i suoi figli Audiface ed Abachuc caddero tosto per riverenza a' suoi piedi, e lo scongiurarono a pregare per essi: vi si trattennero otto giorni, e colle lor facoltà lo provvidero del bisognevole. Ciò praticarono con tutti gli altri detenuti spargendosi per devozione il capo di quell'acqua che avevano adoperata nel lavare i piedi dei santi. Claudio intanto di quei giorni ordinò che i cristiani, i quali si trovassero, o a qualche pena dannati ovvero stretti nelle prigioni, tutti fossero senz’altro esame messi subito a morte . Già dugentosessanta fedeli sulla via Salara condannati a cavare l'arena, divulgato appena il fiero editto, si videro per di lui comando arrestati, e chiusi da prima entro una bottega di vasellaio fuor delle mura di porta Salara, poscia condotti nel romano anfiteatro a morire sotto la grandine di acutissimi dardi, la sciando in fine gli spenti corpi alla voracità delle fiamme. Giocondo spettacolo era da una parte mirare la nobile schiera dei soldati di Cristo aspettare con lieto viso e colle benedizioni sul labbro il dolce istante di volarsene al cielo in mezzo a un coro di angeli, che ne cantavano il trionfo; ma orrendo era dall'altra vedere il barbaro saettamento, fremere in suo senso la terra nel contaminarsi di sì esecrando macello , e muggire l'aria imbrunita dall'atro fumo di uomini consumati. Mario appena il seppe risentì fortemente nell'animo le sensazioni di gaudio e di orrore, e colla consorte e co’ figli corse avaccevole al luogo, ove i santi corpi restavano tuttavia in preda del fuoco. Non tardarono un momento a sottrarneli; gli avvolsero in candidi pannolini, che avevano comperato all'uopo, e ne seppellirono quanti poterono nella via Salara entro una grotta presso il colle dal cocomero denominato. Interrarono anche con essi il santo martire Blasto il quale fu tribuno di Claudio, e compiuti cotesti offici di carità e pietà cristiana coll'assistenza di san Giovanni prete, passarono con lui su quel luogo medesimo molti giorni nelle vigilie, nei digiuni, nelle preghiere. Per quantunque questi atti dai nostri eroi si praticassero di nascosto, giunsero tuttavolta all'orecchio dell' imperatore, il quale comandò che si facessero delle perquisizioni all'oggetto di trucidarli. Ma essi eran fuggiti dalla mentovata collina, e tornati in Roma all'antico campo oltre il Tevere ricercando di san Quirino. Dolentissimi peraltro di non averlo trovato, un buon prete nominato Pastore loro narrò come l'atleta di Cristo di notte tempo fosse troncato col ferro, e gettatane la gelida spoglia nel fiume, questa si rimanesse insepolta nell'isola di Licaonia oggi detta di san Bartolomeo. Lncontanente Mario con tutta la famiglia e col pre lodato sacerdote fra le notturne ombre vi si recò. Raccolsero il corpo devotamente, e sotto il 25 marzo 269 (1) nel cemeterio di Ponziano sulla strada di Porto gli dieron tomba. Aggirando si poi Mario co' suoi di buia notte per le trasteverine contrade udì una moltitudine di cristiani in un certo cenacolo salmeggiare, e tutto festoso picchiò all’uscio per esservi introdotto. Quelli temendo qualche sinistro, a motivo della persecuzione in cui gemeva la chiesa, gli ricusavano. Ma Callisto uno de' vescovi rifugiati a Roma (2) e che era alla testa di quella adunanza: "Confortatevi, diceva, o fratelli, e non vogliate temere. È Cristo, che batte al n ostro ostello: schiudiamo la nostra bocca, e vie più confortandoci lodiamo Dio , perché egli è che ci chiama ». Disse, ed aprì. Al vederlo, Mario, Marta e i due giovani figli si gli prostrarono innanzi devoti, e godendone tutt'i raccolti fedeli si dettero a vicenda il santo bacio di pace. Indi, riprese le orazioni, lo zelante vescovo rivolto a Dio Padre del Signor nostro Gesù, il quale congrega le disperse cose e le congregate conserva, pregò d’accrescere ai suoi servi la fede e la fiducia pei meriti del Salvatore, e tutto il popolo rispose Ammenne. Si trattennero in quel luogo per ben due mesi.
Alla fine dei quali avendo intesa la conversione di un uffiziale per nome Astero andarono a rallegrarsi con esso lui della grazia che gli aveva fatta il Signore, e stettero nella di lui abitazione trentadue giorni.
Qui fu però dove Mario colla sua donna e coi figli fu preso. Tutti al cospetto portati del truce imperatore, questi di propria bocca gl' interrogò.
Risposero elli con quella fermezza, che inspirava la giustizia della loro causa, e vedendo il monarca che si erano burlati della di lui avarizia col dare tutt'i loro beni nella persona dei poveri, dei confessori, e dei martiri, a Gesù Cristo, li rimandò al governatore Musciano che li aveva fatti arrestare.
Questo giudice fece loro diversi interrogatori, ai quali Audiface quasi sempre rispose, e così bene come allo stesso imperatore. Per la qual cosa non potendo il giudice vincerli colle minacce, dette di piglio ai tormenti. Sottopo-se dapprima Mario, Audiface ed Abachuc a crudeli sferzate, e ciò sotto gli occhi di Marta che, emulatrice delle virtù dell'invitta madre dei Maccabei, con animo più che virile accresceva a tutti il coraggio «Gloria a Dio e al nostro Signor Gesù Cristo» diceva Mario:» a te gloria, o Signor nostro Gesù, che ti sei degnato annoverarci tra i servi tuoi » esclamava Audiface, quando di fune avvinti si alzavan da terra, e stendevansi sull'eculeo. «grazie a te rendiamo, o Signore” spesso gridavano i pazienti, non ostante che l'adirato
Musciano facesse ad essi abbruciare con ardenti fiaccole i fianchi, con unghie di ferro stracciar le membra, poi tagliare atrocemente le mani che la stessa
Marta raccolse, appenderle quindi rovesciate alle terga, e così laceri e molli di sangue menarli in giro a gran dilegio per Roma; -- trarneli fuora nella via Cornelia alla distanza di 13 miglia fino al luogo appellato ad nyrnphas Catabassi, e quivi giunti, tra la detta strada e quella di Porto, spiccare infine ai tre confessori i santi capi dal busto, e Marta immergere in un pozzo di acqua, poscia eh' ebbe provato un interno e triplicato martirio alla vista ferale degli spietati tormenti del consorte e dei figli --. Le fredde salme dei santi Mario, Audiface ed Abachuc alle voraci fiamme furono consegnate. Ma una pia dama chiamata Felicita ne le ritrasse, e tumulò nelle sue terre con quella di Marta, cui tirò fuori dal pozzo. Il loro trionfo cadde nel giorno 20 gennaro dell'anno di Cristo 270 siccome il segnano quasi tutti gli antichi martirologi, quantunque il romano lo riporti al dì 19 dello stesso mese, perché nel giorno 20 si recita in Roma ed altrove l'officio dei santi martiri Fabiano e Sebastiano.
I corpi però dei sopraddetti quattro santi, che morirono per Cristo, furono trasportati a Roma sotto il pontificato di Pasquale I, e collocati nella chiesa di sant'Adriano, da dove furono scoperti nell'anno 1590. Le loro reliquie sono anche nelle chiese di san Carlo e di san Giovanni Calibita di Roma.
Se ne mandarono poi a Soisson di Francia in Piccardia, a Gernblours nel Brabante, e soprattutto per, l'opera di :Eginharto genero e segretario di Carlo Magno all'abbadia di Selghenstadt da lui fondata nella diocesi di Magonza.
Questo santuario interessò la speciale. divozione del popolo pei tanti miracoli, che ad intercessione di questi martiri Iddio operò, fra i quali e notato Gisalbcrto, che da enorme gibbo depresso, e su' due brevi bastoni camminando tutto mostruoso e ricurvo, prosteso innanzi alle loro sante reliquie pregò fervorosamente mentre i monaci recitavano il mattutino, ed issofatto scosso come da mano invisibile restò libero e sano, saltellando dritto e snello pel tempio, e benedicendo Dio e i coronati suoi servi.
I santi per la fede vinsero i regni, operarono la giustizia, e conseguirono in Gesù Cristo nostro Signore le promesse della sua eredità, ed una corona di gloria non peritura. In questa fede nudrita nella orazione, e sempre viva nelle opere buone, vinceremo anche noi il mondo, e accogliendo in un corpo mortale la celeste rugiada saremo nella immortalità cittadini dei santi, e della loro gloria consorti.
(DEL P. TOMMASO GIACINTO CIPOLLETTI EX MAESTRO GEN, DE' PRED,)