2 Gennaro
SAN MACARIO D'ALESSANDRIA
Macario il giovane (1) nacque in Alessandria. Ivi egli esercitò da prima un mestiero basso agli occhi della gente, poiché ebbe uopo di fare il mercante di treggea o confettura per averne onde vivere. Ma toccogli il cuore dalla grazia, in sul fiorir degli anni, fe' un eterno divorzio dal mondo per consecrarsi tutto a Dio, e passò più di settant' anni nei deserti, solo intento agli esercizi della penitenza e della contemplazione. Si ritrasse nella Tebaide, o alto Egitto l'anno 335 o colà apparò pienamente tutte le massime della più sublime virtù, sotto la condotta dei più abili maestri della vita monastica. Siccome egli ardea di un indicibil desio di alzarsi al più alto grado della perfezione del suo stato, determinossi a lasciar la Tebaide per andar a vivere nel basso Egitto. S'ignora in qual tempo precisamente eseguisse codesto suo disegno; ma egli non ci ha dubbio, che questo non avvenisse prima del 373. Eranci nel basso Egitto tre grandi deserti, che si toccavano l'un l'altro; quello di Scetti, così detto da una città di questo nome fabbricata su i confini della Libia; quello delle Cellette, così nomato dalle piccole celle dei solitari .che vi si vedevano; e un terzo verso occidente cui la montagna di Nitria avea dato il nome. Macario avea una sua celletta in ciascheduno di questi deserti. A Nitria egli accogliea, e istruiva i forestieri; ma abitava di ordinario alle Cellette, ove fu innalzato al sacerdozio. Ciascun anacoreta ci yivea separato dello intutto da' suoi fratelli, e non vedeane pure la piccola cella, nè escia dalla sua, che il sabato e la domenica, nei quai giorni tutti si raunavano alla chiesa per celebrarvi i santi misteri, e per ricevere il corpo ed il sangue di Gesù Cristo. Se ci mancava alcuno, si pensava, fosse egli malato, e si andava a fargli visita. Quando uno straniero voleva stabilire suo
1.Questa vita è tratta da Palladio vescovo d'Elenopoli, ed alunno del santo c . .2 0; da Socrate cct. 8- pag. 626. B . presso Rosweido, d'Andilly, Cotelicr, e Bollando p. 58. Vedi Tillellemont '.1lte au, St. monast. d'orient, l. I. cap. g. pag. 126. Non bisogna confondere questo san Macario con san Macario di Pispir (così nomato da un monastero di questo nome) discepolo di sant'Antonio, il quale, come noi sappiamo dalla vita di san Postumio, gli affidò il governo di ben cinquemila monaci. San Macario di Pispir con Amalas, discepolo dello stesso maestro, che gli lasciò il suo bastone, soggiorno fra loro, ognuno gli offeria la sua celletta, disposto a fabbricarsene un'altra per se. Tutti i:fratelli s' impiegavano nel lavoro delle mani, che consistea a far corbe e stuoie. Sempre avean essi Dio presente, e la taciturnità profonda che regnava in quelle boscaglie, contribuiva d'assai ad alimentare e a svegliare il fervore di loro orazione. Palladio racconta (1) un tratto assai maraviglioso della mortificazione di questi santi anacoreti. Era stato mandato a Macario un grappolo d'uva di fresco spiccata; egli ne regalò un suo vicino che era malato; questi lo diè ad un terzo, che lo recò ad un quarto; così che fece il giro di tutte le cellette, e in fine fu riportato a Macario. Questo grand' uomo al sommo contento della mortificazione de'suoi fratelli, non volle pur egli mangiarne. Comechè grandi fossero le austerità che si praticavano in quel deserto, tutte le avanzavan di molto quelle di Macario. Per sett'anni egli non visse d’altro che di legumi e d'erbe crude ; nei tre susseguenti egli si contentò di, tre o quattr' once di pane al giorno; e noi siamo informati da Palladio , ch’egli non consumava in tutto un anno, che un alberello d' olio. Nientemeno erano le sue vegghie da stupirne. Abbracciava tostamente tutte le austerità, che vedea da altri praticarsi; perciocchè ad un corpo robusto accoppiava uno zelo ardentissimo per la penitenza. Egli sentissi così penetrato dalla fama del monastero mezzo dell'orazione.
Un tale portento destò in tutti i monaci di Tabenna cotal maraviglia da non si poter esprimere; e passata che fu la quaresima, essi rappresentarono a san Pacomio, che non era da tollerarsi cotale singolarità, le di cui conseguenze avrebbero potuto nuocere di molto al bene generale del monastero . Il santo abbate prima di decidere nulla, si rivolse a Dio, e priegollo efficacemente, che gli facesse conoscere questo straniero. La sua preghiera fu esaudita, ed egli apprese per divina rivelazione, che l'uomo straordinario ch'egli avea accolto, era il gran Macario. Tosto egli andollo a trovare, e dop o avergli dato tutti i contrassegni di una tenera carità e di una viva gratitudine, rimandollo, pregandolo a ricordarsi avanti a Dio di tutti quelli che abitavano il monastero di Tabenna (1).
La virtù di questo gran santo fu sovente posta alla prova delle tentazioni. Gli entrò una volta in capo che egli avrebbe fatto bene ad andare a Roma per servire i malati negli ospitali. Quest'era un laccio, che gli ponea innanzi lo spirito tentatore, onde solleticare il suo amor proprio e venirne a' suoi intenti. Macario però n on vi s'impigliò, e perciocchè egli era veramente umile, seppe scovrirlo, benchè nascosto sotto speziose sembianze. Non pertanto il pensiero di abbandonare il deserto s'infisse forte nella sua immaginazione. Esso gli dava eccessivo cruccio, pure n on p otea da se scacciarlo. Infine dopo molti contrasti, coricossi sul suolo della sua celletta, e si mise a gridare ai demoni: « Strappatemi di quinci, s' egli vi dà il cuore, perch'io son risoluto di non ne volere per nulla escire ». Rimase fino notte in questa positura, e con tale sua resistenza disarmò i demoni (2) . Ma non sì tosto si fu rialzato, che gli assalti cominciaron di nuovo. Egli però non se ne scoraggiò; riempie di sabbia due gran cestoni, se li indossa, e traversa così carico il deserto. Avvenutosi in una persona che il conoscea, questa domandollo, che ne volesse, e se gli offerì di alleggerirlo di una parte di quel fardello. Macario non gli die' altra risposta che questa: Io tribolo colui, che mi fa tribolare. Tornò egli la sera tutto spossato alla celletta, ma la tentazione più nol molestò.
Macario volendo, secondo che narra Palladio, gustare in una piì1 perfetta maniera le sante dolcezze della contemplazione, cinque giorni almeno di seguito si chiuse nella sua celletta, e dicea all'anima sua : posciachè tu ti se' scelta il tuo soggiorno su in cielo, ove dei conversare con dio e coi suoi angeli santi, guardati bene di non iscenderne, lasciarti ire ai pensieri della terra. i due primi giorni la sua anima rimase inondata da quelle ineffabili delizie, che porta l'intima unione con Dio. Ma siccome la vita di quaggiù non è uno stato di godimento, e l'uomo non vi può sostener una contemplazione non mai interrotta, il terzo dì egli ebbe a provare inquietudini così violente, ed agitazioni cosi terribili, che fu costretto ad abbandonare i1 suo divisamento, e :riprendere il primo tenore di vita. Questo avviene in tutte le anime contemplative: quando Dio lor non si mostra che con delle consolazioni, esse vorrebbero starsene sempre alla sua presenza; ma ben presto dal peso di loro mortalità ne vengon distolte, o dai bisogni della natura, o dagli artifizi del demonio rimosse. Spesso Dio da esse si nasconde, alfine che elle rientrando in sè stesse, s'accorgano di loro debolezza, e si convincano che la vita presente è un tempo d i combattimento e di prova;
Questo avvenne appunto al nostro santo. Iddio che si piace compartire alle anime pure straordinari favori, fece conoscere e a Macario le cose più segrete ed impenetrabili ad intelletto umano. Trovandosi egli un giorno in chiesa v'ebbe una visione, che gli raffigurava i demoni intenti a tentare i fratelli. Essi metteano in opera ogni astuzia o per farli dormire o almeno per distrarli. Alcuni di que'solitari, rafforzati interiormente da una virtù soprannaturale, li poncano in fuga; mentre gli altri erano lo zimbello di loro seduzioni. Macario penetrato da dolore, ne piangea amaramente. Finita l'orazione egli avvertì ciascuno dei fratelli delle distrazioni da essi avute; loro ne scoperse la sorgente negli agnuati del demonio, ed esortolli ad addoppiare lo zelo ed il fervore di questo santo esercizio (1).
Non ci ha virtù, che meglio s'addica a un solitario, che un perfetto distaccamento dai beni della terra. Il nostro santo provò colla sua condotta quanto fosse intieramente persuaso di questa verità, e dichiarò in un incontro quali fossero su di ciò i suoi sentimenti. Un anacoreta di Nitria lasciò in morendo cento scudi, ch'egli avea messi insieme u far della tela (2). Si tenne consulta da tutti que' solitari cosa s'avesse a fare di quel danaro. Alcuni erano d'avviso di dispensarli ai poveri, altri di farne un presente alla chiesa, Macario, Pambone, e gli altri ch'eran detti Padri, essendone chiesti del loro parere, dissero che convenia seppellirlo con quel morto, e dirgli sopra queste formidabili parole: Pera con te il tuo danaro (3) . Questo esempio sparse fra tutti que'solitari tal terrore, che nessuno in seguito lasciò più nulla dopo la sua morte.
Abbiamo già notato, che il nostro santo possedeva in sommo grado la prerogativa di scoprire gli artifizi del demonio. Egli ne die’ una novella prova rispetto a questo Palladio, di cui parlammo. Lo spirito maligno aveagli messo in cuore dello sbigottimento, col fargli parere assai più scarsi e piccoli gli avanzamenti ch’egli faceva nella virtù, e lo angosciava continuamente col pensiero, che non fosse adatto alla vita solitaria. Egli però non sì ristette al solo proprio giudizio nello diciferare queste sue dubbiezze; ma andò a consultare il suo maestro, e scopersegli il suo cuore. Questi gli disse, che il modo di vincere questa sua tentazione gli era di non farne alcun conto, di non ritirarsi dal suo disegno, e di dire fermo al diavolo:: < Il santo conosca per esperienza l’efficacia di un tale mezzo. Macario d’Alessandria era stretto coi legami di una santa amicizia con Macario d’Egitto, detto il vecchio. Quest’ultimo colle sue virtù era d’esempio al deserto di Scetti. Avvenne che passando un giorno questi due grandi uomini il Nilo in una scafa, trovaronsi di brigata con alcuni offiziali, seguiti da un grande codazzo. Penetrai costoro dall’aria serena e giuliva, che era pinta sul volto di questi due solitari, dicevansi l’un l’altro, che essi doveano bene gustare una felicità perfetta in mezzo alla loro povertà. Avete ragione, rispose Macario d’Alessandria (1) alludendo al nome suo, e a quello del suo socio, avete ragione di chiamarci felici, poiché tale è il nostro nome. Ma se noi lo siamo perché spregiamo il mondo, e che hassi a pensare di voi che vi godete a starvene ne’ suoi ceppi? Queste parole pronunziate con un tuono di quella voce energica, che esprime il convincimento interno del cuore, colpirono di siffatta miseria l’offiziale che avea parlato per primo, che al suo ritorno dispensò i suoi beni ai poveri, per darsi alla vita solitaria. Invano sarebbe stato il nostro santo tale modello degli anacoreti, se non avesse conservato in tutta la sua integrità il deposito della fede. Egli seppe preservarsi dal tossico dell’arianismo, le cui stragi laceravano al suo tempo il seno della chiesa. Mai pose egli orecchio alle novità profane degli eretici; ed era sì conosciuto pel suo attaccamento alla dottrina cattolica, che Lucio patriarca ariano d’Alessandria lo fe’ bandire nel 375 insieme con san Macario d’Egitto. Alfine dopo aver vissuto fino ad una estrema vecchiezza si addormentò nel Signore l’anno 394 o 395 (2). I Latini celebrano la festa Il dì 2 gennaro; i Greci l'onorano il dì 19 dello stesso mese con san Macario il ,vecchio. V' ha ancora a questi dì nel deserto di Nitria un monastero che porta il nome di san Macario (1).
Il ritratto che un celebre abbate dell' ultimo secolo ha tratteggiato di un vero solitario, pare sia stato copiato dalla vita del grande Macario. Quando un'anima, dic'egli, cerca Dio nella solitudine, ella non pensa pii1 che alle cose del cielo: ella pone affatto in obblio la terra, su cui nessun obbietto può più meritare i suoi affetti. Accesa dalla fiamma del divino amore ella non iscorge nella morte, che il beato istante in cui sarà riunita al bene supremo ch'ella sospira. Impertanto un grave sbaglio vuolsi evitare da coloro, che hanno volte le spalle al mondo, e gli è di farsi a credere che vivendo nella solitudine possino andare a Dio per un cammino facile sparso di rose, e che non saran per trovarci alcun intoppo da vincere; che la mano del Signore starà sempre accinta per allontanare da essi tutto ciò che potrebbe dar loro pena , e amareggiare le dolcezze del loro ritiro. All'opposto danno essi persuadersi
che le tentazioni loro terran dietro per tutto; che ogni stato cd ogni luogo vi
è esposto, e che la pace promessa dal Salvatore si trova in mezzo alle tribolazioni, come le rose in fra le spine. Iddio non ha detto a chi lo serve, che non s'avrà mai a trovare in nissuno cimento, ma solo che gli farà trarre costrutto dalle tentazioni (2). Questi sono i patti a'quali ne si promette il cielo.
E cosa v'ha di più atto a rincuorarci ? Ci ha egli la menoma proporzione fra
il tribolare d' un momento, e il mercarsi una corona immortale ?
Pare che san Girolamo n'abbia copiato alcuna cosa nella sua lettera a Rustico Ci ha un' altra regola sotto il nome dei due Macari, di Serapionc di Arsino e, o di Nitria, di Pafnuzio di Bubale prete di Scetti, e di trentaquattro abbati. Questa si trova nella Concordia Regul. auct. a Benedicto Anianensi abbate edita ab Ilugone M·enardo monaco sancti Beneclicti Pa,·igi 1658. in 4. to. Gli è probabile che questa sia stata composta dietro la vita e gli esempli di questi due santi solitari. Ella ordina che i fratelli serberanno il digiuno tutti i giorni, salvo le domeniche e il tempo pasquale; che vivel'anno nella più perfetta povertà, unicamente occupati nell'o razione, ed al lavoro delle mani, che essi eserciteranno l'ospitalità come un dovere indispensabile, e che terranno un rigoroso silenzio coi forestieri; che la libertà di parlare ad essi non sarà data che a quello che accoglierà gli ospiti.