4 Gennaro
SANTA GENOVEFFA VERGINE
Nacque la beata vergine Genoveffa (1) nel villaggio di Nanterre non più lontano da Parigi che sette miglia da Severo e Geronzia l’anno 422. E quanta fosse la grazia di che Iddio la colmò fin dalla sua prima età ed a qual grado sublime di santità dovesse ella giungere, apparve chiaramente allorché passando san Germano vescovo di Auxerre per quel luogo, essendogli ita incontro gran moltitudine di uomini e donne per avere la benedizione, vi andò fra gli altri, dietro al padre ed alla madre, questa buona fanciulla in età allora di circa sette anni, la quale avendo Germano veduta da lontano, illustrato da un lume divino, predisse le grazie straordinarie onde il Signore l’avrebbe arricchita. Imperciocchè fatti accostare a sé i genitori di lei: <<è questa, disse loro, vostra figliuola? Nostra risposero. Ed egli: felici voi di così veneranda prole. Ella sarà grande avanti il Signore, e sarà oggetto di ammirazione per molti che profitteranno delle sue virtù e la imiteranno>>. Di poi rivolgendosi alla fanciulla, e fissamente in volto mirandola: Figlia mia, le disse, volete voi esser sposa di Gesù Cristo e consacrare a lui la vostra verginità? Sì, voglio, ella rispose, e bramo sommamente di tutta dedicarmi al Signore: Deh! Pregatelo voi che degna mi faccia di compiere questo mio desiderio>>. Di che maravigliandosi il vescovo, come in sì poca età fosse così gran dono di Dio e principio di fede, la condusse seco alla chiesa, dove, finché egli fece la sua orazione, la tenne la mano sopra il capo; - E la mattina seguente il santo vescovo Germano prima di partire volle rivedere Genoveffa, e ricordandole la promessa fattagli il giorno innanzi, avendogli ella risposto, che bene se ne ricordava e che sperava d’essere fida ad essa coll’aiuto di Dio, il santo vescovo compiacendosene grandemente, affisso gli occhi in terra e vide una piccola moneta di rame con l’immagine della croce, la quale raccolta, diedela a Genoveffa come pegno di religioso dono, e consigliandola di appenderla al collo e di ricusare ogn’altro ornamento quantunque prezioso, aborrisci, o figliuola, soggiunse, le collane di perle e di gioie ed ogni altra vanità mondana, adornati delle bellezze dell’anima che queste sole piacciono a Di. Non cercare la vanità del secolo che conducono alla perdizione; ma sì procacciati la grazia celeste, che ti farà degna della beata immortalità.
Da questo punto Genoveffa riguardandosi come affatto appartata dal conversare cogli uomini, e non si sentì più altro ardore che per Gesù Cristo, né altra voglia che per gli esercizi della cristiana pietà. Le sue delizie erano stare con Dio tutto il tempo che non attendeva al lavorto de alle domestiche faccende. Il divoto suo animo era soltanto allora contento che essa poteva andare alla chiesa, al qual proposito contasi un fatto meraviglioso. Dovendo Geronzia un giorno di festa ire al tempio, disse a Genoveffa che si stesse in casa e dormisse. La quale quantunque fosse umilmente sommessa ai materni comandi, pensò tuttavia potere almeno questa volta di pregare la madre acciocché la conducesse con sé, parendole che la qualità di sposa di Cristo meritar le potesse di visitarlo con qualche frequenza. Ma Geronzia, la quale non sapea la vera cagione che la muoveva ad istantemente ciò chidederle, vinta da subitanea impazienza le diede uno schiaffo. Ma Iddio punì quest’impeto precipitoso; perocchè fu privata in un subito del lume degli occhi, e così stette quasi due anni. Se non che ricordandosi Geronzia di quello che il vescovo Germano aveva predetto di Genoveffa, un dì la chiamò, e le disse: <>. Il che avendo ella prestamente fatto, la madre prese l’acqua, e levando gli occhi al cielo, ingiunse alla figlia che sopra vi facesse il segno della croce. Il qual atto avendo parimenti Genoveffa eseguito, la madre si stropicciò due o tre volte gli occhi colla detta acqua, e le parve aver ricevuto alquanto del vedere: sicché tornata a fare il medesimo riebbe del tutto la vista. Pervenuta frattanto la serva di Dio alla età di quindici anni fu presentata al vescovo di Parigi con due altre vergini perché lor desse il sacro velo. Sebbene GEnoveffa fosse la minore d’età, il prelato volle tuttavia che gli fosse offerta innanzi alle altre, e la consacrò e benedisse prima di questa, senza dubbio a ciò mirando ch’era avvenuto innanzi a san Germano. Convien sapere che secondo l’uso di que’ tempi le vergini, benché consacrate con rito solenne a Dio, dimoravano ritirate nelle proprie lor case, ed ivi al Signore servivano in ispirito e verità, lontane da ogni commercio del mondo, se non quanto esigeva il bisogno e l’esercizio delle opere di carità.
Laonde Genoveffa altamente compresa della elevatezza del grado cui era stata sollevata, per non essere ingrata a questo dono di Dio, ella non mangiava se non pane di orzo ed un poco di fave cotte, né beveva se non acqua, e questo stesso scarso cibo e questa bevande non pigliava se non nella domenica e nel giovedì, osservando negli altri giorni una compiuta astinenza. Il qual metodo di vivere osservò fino nell’età di cinquant’anni, dopo i quali, ad insinuazione di alcuni vescovi, ai quali essa professava un gran rispetto ed obbedienza, si contentò di aggiungere del latte ed alcuni pesci, ma sempre si astenne dalla carne, dal vino e da ogni altro liquore. La sua orazione era quasi continua, ed allorché orava teneva fissi gli occhi al cielo come se vedesse Gesù Cristo alla destra del Padre, e spargeva abbondanti lagrime. Passava una gran parte della notte in vigilie, orazioni e meditazioni, ed in quella del sabato non dormiva per meglio prepararsi colla vigilia a celebrare con maggior divozione la seguente festa della domenica; e dall’Epifania sino alla Pasqua rinchiudevasi nella sua camera, e passava tutto questo tempo nella solitudine, nel silenzio, nella contemplazione delle cose celesti, e nell’esercizio della più rigida mortificazione.
Essendole poi morti il padre e la madre, si condusse a Parigi presso una signora, dalla quale era stata tenuta fra le braccia allorché fu rigenerata coll’acqua del santo battesimo. Ivi parimenti recò quello spirito di penitenza che le avea fatto abbracciare le anzidette austerità, e si mostrò qual’era in fatto il modello delle vergini a Dio consacrate. Ma il Signore per esercitare sempre più la sua serva, e rendendola degna del nome di vera sua sposa, la visitò con una fastidiosa e molestissima infermità di convulsioni di nervi universale in tutto il corpo, che le cagionava acerbi dolori, e la rendea paralitica. Venne una volta fra le altre così fieramente assalita da questo male, che stette tre giorni come morta, nel qual tempo fu il suo spirito rapito in estasi, ed innondata l’anima sua da quelle interne ineffabili consolazioni che mai non si trovano nelle pazze allegrie del mondo, ma che il Signore ha preparato e comparte ai suoi eletti, che lo amano e servono fedelmente. E perché la virtù di lei fosse posta a più aspro cimento, e quais a durissima cote si raffinasse, volle Iddio esperimentarla anche col fuoco delle tribolazioni permettendo che ne fosse con false ed ignominiose imputazioni. Colta l’occasione della schiettezza con cui ella parlava dei favori straordinari che lo Spirito santo aveale impartito, i nemici del bene spacciaronla per una fantastica ed ipocrita donna, ed a forza di accagionarla, giunsero al segno di farla credere tale alla gente. Ma la santa vergine confidando in Dio, che mai non abbandona quelli che alla sua misericordia si raccomandano, sopportò con mirabil pazienza tutte queste avversità, ed anziché querelarsene, piangeva in secreto la cecità de’ suoi persecutori e calunniatori, e porgeva fervorose preci a Dio per lo ravvedimento loro e per lo migliore lor bene. In questa aspra battaglia continuò fino all’arrivo di san Germano d’Auxerre, che passò da Parigi andando la seconda volta in Bretagna. Perché accostandosi il santo prelato alla città, atteso il concetto che tutti avevano delle sue esimie virtù, il popolo gli andò incontro e lo accolse con dimostrazioni di gran riverenza e rispetto: ed avendo egli richiesto di Genoveffa, udito che i maledici a tutto potere cercavano di oscurare l’illustre illibatezza della vita di lei, con gravità degna d’un sant’uomo espertissimo nella cognizione delle vie del Signore, allontanò da sé que’ ribaldi, certificò l’innocenza e bontà dell’ancella di Dio, ne commendò le virtù, ed entrato in città se n’andò dov’essa abitava, e con molta amorevole ed umiltà salutandola, predicò tutto il popolo a buona vita di lei, facendo ammutolire, anzi agghiacciare la bugia sulle labra di chi era stato ardito di calunniarla e schernirla, dissipata questa prima tempesta, permise Iddio che contro la pazientissima Genoveffa se ne suscitasse un’altra più fiera. Attila re degli Unni, per la sua durezza crudeltà appellato il Flagello di Dio, nell’anno 454 entrò nelle Gallie con esercito formidabile.
Ed avendo cominciato a mettere a sacco, ed a rovinare col ferro e col fuoco le provincie di quella fertile e popolata regione, i parigini, temendo le sue forze e il suo furore, deliberarono con le mogli, figliuoli e facoltà loro lasciare la città, e ripararsi in luoghi più forti. Santa Genoveffa piena di fidanza nel Dio degli eserciti, non si lasciò invilire in mezzo ad una costernazione sì universale. Confortò anzi con molta costanza uomini e donne a non dovere, come perduti d’animo e disperati, abbandonare la città, nella quale nati erano ed allevati, ma piuttosto contro l’armi nemiche fortificarti, e co’ digiuni, colle orazioni, colle penitenze placar l’ira di Dio, che certamente non permetterà che soffrano alcun danno. All’incontro, uscendo dalla città e ritirandosi in luoghi da lor creduti più forti, facil preda diverrebbero del re barbaro, e ne sarebbero crudelmente oppressi. E per darne ella stessa l’esempio radunò buon numero di donne, colle quali andò al pubblico battistero, dove con rigorose vigilie e ferventi orazioni replicate per più giorni e accompagnate da penitenze implorarono il divino aiuto e liberazione del minacciato castigo. Pare che tante sollecitudini dovessero iratamente accogliersi dall’atterrito popolo parigino; pur furono pigliate inala parte, poiché da questa occasione incitati i nemici di lei non dubitarono di sacrilegamente qualificare l’ancella di Cristo di visionaria, falsa profetessa, e di collegata coi nemici della città; e già crescendo il tumulto trattavano di coprirla di sassi, o gettarla nel fiume. Quando per divina disposizione sopravenne l’arcidiacono della chiesa di Auxerre, al quale san Germano due anni prima aveva commesso di recare alla santa le eulogie, cioè alcun regali di cose benedette in testimonianza della stima che faceva di lei, e della confidenza che avea nelle sue orazioni. Dove udendo l’arcidiacono quello che i parigini fra loro trattavano, e le iniquità che intendevano commettere,animosamente si oppose al reo disegno, perorò in favore della santa, e rilevato l merito, la sua virtù, fece conoscere tutto l’orrore della meditata scelleratezza. Così avendo alquanto calmanto gli spiriti, poiché vide ammolliti i più ardenti persecutori di Genoveffa, determinò d’appigliarsi ai consigli di lei, ciò che avendo essi eseguito, ebbero il contento di vedere, che, com’ella aveva predetto, così’ avvenne. Attila non recò alcun danno a Parigi e nemmeno si avvicinò a quella parte: al contrario le città dove avevano quei cittadini pensato di rifuggirsi, quantunque forti e ben presidiate, furono depredate e deserte. Questi avvenimenti servirono a rendere ognuno persuaso della santità della serva di Dio e dei dono soprannaturali dei quali il Signore l’aveva arricchita, onde fu di poi riguardata con singolar rispetto e riverenza come una degna sposa di Gesù Cristo. E tanto più crebbe la reputazione di lei e la fama della sua santità, in quanto che il Signore si compiacque di fare per suo messo molti prodigi, fra’ i quali è memorabile il seguente. I Parigini, dopo lunga guerra, strettamente assediati dall’armi di Ghilderico re dei franchi, e perciò afflitti da grandissima fame e carestia. Languivano di miseria e di stento i travagliati cittadini, né trovar modo sapevano per ristorarsi. Il paese era guasto e rovinato tutto all’intorno, né scorrere da veruno potevasi senza gravissimo pericolo di perder la vita. mossa a compassione Genoveffa di tanta calamità si esibì ella di porsi alla testa di coloro, che giù per la Senna spedir si volevano in cerca d qualche alimento. Il perché salita sopra una nave pervenne ad un luogo nel quale era un grossissimo arbore, il cui tronco ed i rami pendendo a basso, essendo d’impedimento a noia al passar delle barche, comandò a’ nocchieri che accostassero la nave alla ripa, donde uscita in terra, mentre consultavano fra loro in che modo potessero sgombrare il passo, ella ricorse al suo solito aiuto dell’orazione, e si vide subito facilissamamente sbarbao l’albero, e ridotto quel luogo sicuro ai naviganti. Seguitando poi Genoveffa il preso viaggio fu sino ad Arci-sur-Aube ed a Troycs, e fatta larghissima provvisione di viveri, con prospero corso, passando per l’oste emico, a Parigi si ricondusse.
D’altri prodigi operati per intercessione di questa santa fanno menzione gli autori contemporanei della sua vita. ella guarì moltissimi infermi, mondò lebbrosi, illuminò ciechi, restituì le forze ai paralitici, ritornò in vita un fanciullo morto ch’era caduto e s’era annegato in un pozzo, e fece altre cose meravigliose per le quali il Signore restò glorificato in questa sua serva. Per mezzo di lei ancora, e per le sue orazioni si convertirono molti peccatori e parecchi si pacificarono che aveano delle discordie e delle inimicizie. Avvenne una volta che avendo ella inutilmente pregato un gran signore e a perdonare un’offesa ricevuta da un suo famigliare, nel licenziarsi da lui gli disse <>. In fatti nel tornar a casa fu quel signore assalito da una acerbissima febbre che lo fece rientrare in se stesso e detestare la sua ostinazione: onde la mattina seguente si recò a visitare la santa. E chiestole umilmente perdono, avendo ella fatto sopra di lui il segno della croce, immediatamente restò guarito. Childerico, re de’ Franchi, quantunque gentile, portava un gran rispetto a questa santa vergine e rese omaggio alla sua virtù, e pregato da lei si comportò sempre con molta clemenza. La stessa venerazione di esse ebbe ancora Clodoveo, successore di Childerico,specialmente dopo la sua conversione alla fede di Gesù Cristo, ed a sua istanza principalmente fece fabbricare un magnifico tempio in onore de’ santi apostoli Pietro e Paolo, il quale di poi s’intitolò di santa Genoveffa, perch’ella vi fu seppellita, e ritiene tuttavia questo nome. Essa morì piena di meriti ai 3 o 4 gennaro dell’anno 512, cinque settimane dopo Clodoveo, primo re cristiano di Francia; e subito dopo la sua morte, il popolo innalzò sulla sua tomba un oratorio di legno, che vi rimase finché l’anzidetta chiesa fu finita. Poscia il corpo di lei fu deposto presso a quello di Clodoveo, donde dopo alcun tempo venne disotterrato per chiuderlo in una cassa magnifica fattagli costruire da sant’Eligio, la quale perché non fosse manomessa e depredata dall’empietà e rapacità dei Normanni, fu trasportata nel 845 ad Athis, poi a Draveil, e cinque anni dopo a Marisy vicino alla Fertè –Milon. Quindi fu riportata a Parigi nel 855. La cassa che ora i parigini ed i viaggiatori ammirano dietro l’altare maggiore del ridetto tempio fu fatta l’anno 1242 per opera dell’ab. Di santa Genoveffa, vi furono impiegate, a quello si dice, 193 marche d’argento, ed otto marche di oro. Essa è quasi tutta coerta di pietre preziose regalate dai re e dalle regine di Francia. Anche di presente il popolo di Parigi presta singolarissimo culto a quest’inclita sua protettrice. Se fu dessa che in vita tanto s’adoprò ad impedire i danni, che sovrastavano alla sua patria ed a’ suoi concittadini, per verità è da credersi che ora glorificata abbia pregato d’innanzi al trono di Dio, perché ormai cessassero i funestissimi mali, che desolarono quel vastissimo regno, e perché si riconciliasse con Dio, e col suo re, e riposasse tranquillo in seno alla cattolica religione. La santa vergine di cui abbiam compendiato la vita, fin dall’infanzia fu da Dio prescelta ad essere sua serva e sposa fedele: fu arricchita di doni straordinari dalla sua beneficenza, e sollevata ad alto grado di santità.
Ma quali furono i mezzi che Iddio le inspirò, ed egli stesso adoprò per santificarla? Furono come si è veduto, una totale mortificazione di sé stessa, una astinenza più ancora ammirabile, una singolare ritiratezza, e la continua orazione: le infermità, colle quali Iddio la visitò, furono le persecuzioni, le calunnie, ed i cattivi trattamenti ch’ella dovette lungo tempo soffrire a quei medesimi a’ quali procurava di far del bene. Se non che dopo tante umiliazioni ed afflizioni piacque al Signore d’illustrarla anche in questa vita col dono delle grazie, che col suo mezzo fece a coloro che pieni di fiducia in lui, divotamente all’intercessione di lei ricorevvano, e ne rendette il nome celebrato non solo in Occidente, ma eziandio nell’Oriente, dove san Simeone Stilita, che di que’ tempi vivea, e di cui diremo le gesta meravigliose al 5 gennaro, ne avea tal concetto che mandava a raccomandarsi alle sue orazioni. Impariamo dunque quali siano la vie per cui il Signore conduce i suoi eletti alla perfezione ed alla gloria celeste. Chiunque, dice sant’Agostino, vuol’essere cristiano dabbene e giungere al cielo, bisogna che si mortifichi e si prepari ai travagli, alle umiliazioni, alle mortificazioni, secondo quella misura che a Dio piace d’inviare a ciascuno, e sarebbe un inganno il pretendere d’andarne esente, perché procuriamo d’esser probi e timorati di Dio. Avvegnacché. Soggiunge sant’Agostino, perciò che bramiamo e vogliam essere buoni cristiani, dobbiam prepararci a patire più degli altri, attesoché dobbiamo esser seguaci del nostro capo, che è Gesù Cristo figliuol di Dio, il quale solo fra tutti gli uomini fu senza peccato, ma non senza flagello. Né per questo, conchiude il santo dottore, ci dobbiamo atterrire e spaventare, perciocché Dio ci sosterrà e proteggerà colla sua grazia, e farà sì che il tutto ridondi in nostro vantaggio ed in beneficio dell’anima nostra, come avvenne a santa Genoveffa.