9 Gennaro
SAN PIETRO SEBASTENO
San Pietro di Sebasta (1) era escito di un’antichissima famiglia ed assai illustre. Vi si contavano, come narra san Gregorio di Nazianzo, una lunga tratta di celebri eroi. Ma i loro nomi da molti secoli sono sepolti nell’oblio, e noi non sapremmo nemmeno che stati fossero, se la grazia non avesse renduto il loro ceppo fecondo di santi, di cui la chiesa ha conservato la memoria ne’ suoi fasti. Tra di questi furono vescovi nello stesso tempo. E quali vescovi! Un san Basilio il grande, un san Gregorio di Nissa, e un san Pietro di Sebasta. Essi erano stati cresciuti alla più sublime virtù da santa Macrina loro più vecchia sorella, che s’era incaricata di loro educazione, San Basilio soprannomato il Vecchio, e santa Emmelia (2) li avean dati alla luce. Loro avola era stata santa Macrina per soprannome la Vecchia, che san Gregorio Taumaturgo avea ammaestrato nella scienza della salute.
Pietro che la chiesa onora in questo dì era l’ultimo dei dieci figli, che nacquero di san Basilio e di santa Emmedia. Era ancor in fasce, quando perdè suo padre; egli ebbe (3) la fortuna di abbattersi in santa Macrina, che educollo nelle grandi massime della pietà cristiana. Ella non volle che si desso allo studio delle scienza profane. Seppe ella così bene mescer fra loro i differenti suoi esercizi, che nulla di tempo gli avanzasse per le frivolezze. Per questa varietà di occupazioni il giovinetto Pietro veniva ad esser scevro da ogni disgusto della noia, e si usava insensibilmente ad una vita seria ed applicata. Docile alle lezioni della sua rispettabil sorella, che ammaestravalo ben più cogli esempi che coi discorsi, egli avanzava tuttodì nelle cognizioni delle cose divine, e nelle vie della perfezione. Santa Emmedia avendo fondato due monasteri, l’uno di uomini, l’altro di donzelle, diede il governo del primo a suo figlio Basilio, e quello del secondo a sua figlia Macrina. Pietro che non avea altro desio, fuor quello di far fruttare i semi di pietà, che s’erano sparsi nel suo cuore, andò ad accrescere il numero de’ discepoli di suo fratello, al quale successe l’anno 362.
Egli fu veduto per molti anni esercitare gli uffizi di abbate sì con prudenza, come anche con virtù. La carestia crudele che afflisse il Ponto e la Cappadocia, gli porse l’occasione di dare le più illustri prove della sua carità. Un abbate che fosse stato men santo, avrebbe tenuto la mano stretta nella distribuzione delle limosine, sotto pretesto di mettere in serbo delle provvigioni pe’ suoi fratelli contro il terribile dei flagelli. Ma Pietro avea ad altra scuola attinto, che a quella dell’umana accortezza, i principi della rarità cristiana. Ei colle viscere di padre accogliea tutti i poveri, che ogni giorno ricorrevano a lui, e impiegava a ristorare le loro miserie non solo le entrate del monastero, ma sì ancora somme immense che ei traea da caritatevole persone. San Basilio che nel 370 u eletto vescovo di Cesarea in Cappadocia, ordinollo prete. Il santo abbate risguardò il sacerdozio come un nuovo impegno alla perfezione evangelica. Pertanto egli applicossi con raddoppiamento di fervore a’ suoi esercizi di pietà, ed ai doveri del proprio uffizio. Visse nel monastero fino alla morte di Eustazio (1), al quale ci succedette nel governo della chiesa di Sebasta nel 380. Egli trovò la sua diocesi nel più deplorevole stato; l’arianismo pubblicamente insegnato dal suo predecessore, ci avea messo le più profonde radici. Nessuno era più acconcio di lui a rimettere la verità sopra le ruine dell’errore; né dubitossi che la sua elezione non fosse l’effetto di una particolare provvidenza intesa ai bisogni della chiesa di Sebasta. La storia nulla ci rammenda di ciò che egli fe’ durante il suo episcopato. Sappiamo soltanto, che egli intervenne al concilio generale di Costantinopoli nell’anno 381, e che sottoscrisse cogli altri vescovi la condanna dei seguaci di Macedonio, che negavano la divinità dello Spirito Santo. Tutta l’antichità concorda nel dire, che egli si rese commendevole per la sua santità, per lo suo zelo, per la sua prudenza. Elgi morì al più tardi verso l’anno 387 (2).
Leggiamo in San Gregorio di Nissa (3), che quei di Sebasta l’onoravano con un culto pubblico insieme con parecchi martiri della loro città (1). Il martirologio romano fa menzione del suo nome ai 9 di gennaro. Egli non ci può essere cosa, che più si meriti le nostre meraviglie,quanto se la merita una famiglia tutta composta di santi. Ma a che attribuire questo prodigio? Innanzi tratto a Dio, poi agli esempli, alle preghiere ed alle esortazioni di santa Macrina la vecchia. Ella trasfuse ne’ suoi discendenti quello spirito sovra tutto di mortificazione, senza il quale non ci ha vero cristianesimo. Questi invece di traviare dalle orme della sua avola, furono tutti intesi a faral in sé stessi rivivere, e procacciarono eziandio d’inspirare negli altri l’amore di una virtù che era l’anima di tutta la loro condotta. Ascoltiamo san Gregorio Nisseno, com’egli parla della mortificazione dei sensi (2): “Noi dobbiamo, dice egli, avere alcuno attaccamento a cosa che sia sovra tutto quand’hassi a temere, che il piacere accenda in noi qualche passione. Nostra prima cura debb’essere di vegghiare contro ogni sensualità di ghiottoneria, la più antica peste del genere umano, e la madre d’ogni vizio. È mestieri guardar le regole della più esatta temperanza; non porre mai nostro ultimo scopo nello contenta mento dei sensi; né mettersi mai senza necessità a far cosa, in cui entri il diletico del piacere”. Egli vuole che sempre s’aggiunga la mortificazione della volontà a quella dei sensi. “Il cristianesimo, dice egli (3), che sprezza il mondo, deve anco rinunziare a se stesso, per tal modo che egli non dia mai retta alla sua volontà, ma cerchi in tutto quella di Dio. Dio è nostro padrone; dunque ne conseguita che la sua volontà debba essere colla stessa forza l’obbligo di morire a noi stessi, perché così Gesù Cristo viva in noi, e che tutti i nostri affetti, tutte le nostre azioni portin del suo spirito.
(DALL’AB. ALBANO BUTLER)